Visualizzazioni totali

giovedì 13 luglio 2017

Viaggio in UK (Roman nouveau, 25)

La mia ex fidanzata del Collegio in quel periodo abitava a Oxford. Lei e il suo odioso fidanzato erano due brillanti ricercatori di fisica in formazione cosmopolita nel vasto mondo dell'accademia planetaria. Sarebbero poi diventati dei cosiddetti cervelli in fuga. Poiché con Irene ero rimasto in ottimi rapporti dopo che ci eravamo lasciati, stando io a Parigi e dunque così vicino al Regno Unito avevo da tempo deciso di fare un viaggetto tra Oxford e Londra. A Oxford sarei stato ospite di Irene e Andrea, mentre a Londra avrei preso per un paio di giorni un letto in un ostello della gioventù.
Ero stato a Londra soltanto una volta con mio padre, a otto anni, e non vi ero mai tornato in età adulta. Mio padre aveva comprato un'auto nuova e così aveva più o meno vinto un viaggio per assistere a una gara di formula 3 nel circuito di Brands Hatch. Gli era sembrata una cosa abbastanza ganza da portarci me, e in effetti lo era. Oltre alla stupida gara di formula 3, avevamo visitato Londra, di cui però in età adulta ricordavo solo il museo delle cere di Madame Tissaut. Ricordavo anche che una sera la comitiva aveva assistito a uno spettacolo di cabaret: orecchiando una conversazione di mio padre con un compagno di viaggio compresi che si sarebbero viste donne nude. Questo mi mise molto a disagio perché ero un piccolo cattolico integralista, e il peccato mi appariva inestricabilmente legato al sesso, di cui il corpo femminile era evidentemente l'immondo ricettacolo.
Non osando parlarne apertamente a mio padre, che non era cattolico come me (ero un cattolico autodidatta, isolato in famiglia) e forse vergognandomi anche soltanto di nominare la possibilità di vedere una donna nuda, rimasi nervosamente taciturno per tutta la sera, fino a quando, al momento in cui secondo me le donne nude rischiavano di irrompere sul palco, dissi a mio padre che mi volevo fare un giretto fuori dalla sala in cui eravamo. Mi sarebbe bastato non vedere, per salvarmi dal peccato. Mio padre però, dopo qualche minuto venne a cercarmi. C'erano delle scale mobili sulle quali giocavo a salire e scendere: dal basso vidi mio padre uscire dalla sala e per non farmi beccare e riportare nella sala dei peccatori mi abbassai sulla scala ascendente mentre lui discendeva. Arrivato in cima, quando lui si guardò intorno non vedendomi, assumendo un’espressione che iniziava a divenire preoccupata, al suo risalire io ridiscesi. Mi parve di percepire che la sua angoscia stava aumentando, quindi smisi il gioco e mi mostrai. Lui sbottò un po' arrabbiato dicendomi di non fare più simili stupidaggini. Non poteva capire il mio strano comportamento, era turbato. Alla fine, poi, di donne nude non se ne videro.
Organizzando il mio viaggio da adulto a Londra e Oxford contavo anche di scrostare quei vecchi ricordi e sensazioni. Avrei voluto parlarne a mio padre, che però non rispondeva mai al telefono nella settimana precedente la mia partenza.
In questo secondo viaggio a Londra vidi una città grigia con torreggianti grattacieli, immigrati che mi parevano molto meno integrati degli “arabes du coin” dai quali a Parigi scendevo a comprare la birra dopo la mezzanotte se mi veniva voglia di bere fino a tardi. Visitai la Tate Gallery e mi concentrai su Turner, perché a Deleuze Turner piaceva molto (ne parlava nell'AntiEdipo).
Nel complesso, mi sembrò che Londra fosse decisamente meno bella di Parigi.

Irene e Andrea furono molto gentili, a Oxford, anche se lui era un po’ sgarbato con lei, evidentemente infastidito dalla mia presenza. Soltanto dopo molti anni ho capito quanto possa dare fastidio che la tua fidanzata ti imponga la presenza di un suo ex, manco dovesse per forza diventare tuo amico. Ma all’epoca non capivo niente di queste cose, e mi parve soltanto che lui fosse un po’ stronzo con lei.
Il che non mi dispiacque affatto.

Place des Vosges (Roman nouveau, 24)

Man mano che il mio fallimento diventava evidente, trovavo sempre più conforto nella bellezza di Parigi. Che tipo di bellezza ha una città? Si tratta di una bellezza che il genere umano conosce da millenni, il fascino delle città babilonesi o egizie doveva colpire dolorosamente gli uomini che vi erano esposti, come qualcosa di meraviglioso, sacro e inquietante, umano e divino. Posso solo provare a immaginare che cosa provasse un giorno lontano nei secoli un giovane contadino varcando per la prima volta in vita sua la porta di Ishtar.
Il grande Kant, nella Critica del Giudizio, dà diverse geniali definizioni di bellezza*, che personalmente ritengo estremamente valide ancora oggi che ho studiato molta più filosofia di quando ero a Parigi. Ma le definizioni kantiane non si applicano alla bellezza delle città, artefatti umani con la proprietà di apparire semi-naturali. Parigi mi appariva bella in modo violento, inutile e triste, come una donna che ti fa desiderarla e non si accorge di te, ma non puoi smettere di sperare che ti rivolga lo sguardo.
Affranto per la prospettiva di non poter legittimare la mia presenza a Parigi agli occhi della mia classe sociale, di mio padre, di me stesso, attraversavo le strade di Parigi riempiendomi gli occhi di immagini urbane, sempre più cosciente di condurre un’esistenza precaria, persona sbagliata nel luogo, ahimé, sbagliato, perché a me non destinato.
Attraversavo i ponti di Parigi guardando la Senna e le due rive, in prospettiva, mentre mi muovevo, immaginando una sequenza filmica in camera-car, innalzavo gli occhi ai pinnacoli di Notre-Dame, scendevo e risalivo nella metro, talvolta a caso, come in una deriva psicogeografica situazionista.
Uno dei miei luoghi preferiti era banalmente Place des Vosges. Giada, la bella ballerina torinese, vi affittava una stanza, nella casa di una vecchietta miliardaria e alcolizzata.
Tutte le volte che si trattava di riaccompagnare le ragazze a casa, io non mi tiravo indietro (tutti noi studenti italiani, ritenevamo che a Parigi fosse meglio che le ragazze non andassero in giro da sole la notte, e infatti seppi più tardi che un’amica di Yves era stata violentata una notte per strada, non lontano da Place des Vosges).
Una sera riaccompagnai Giada. Entrammo in quella meravigliosa piazzetta, ormai deserta, verso l’una di notte. Tutto taceva, sembrava di essere in una qualunque piazzetta sperduta, e invece è considerata la piazza più bella di Parigi. Anche Victor Hugo aveva una casa lì, al numero 6, ma questo l’ho scoperto più tardi. Quando riaccompagnavo Giada a casa, o quando andavo a trovare Caterina, che abitava subito oltre la piazza, io guardavo quei magnifici palazzi con le facciate rosse, i portici con gli archi a tutto tondo, i tetti di ardesia, gli abbaini misteriosi, da uno dei quali si affacciava la stanzetta di Giada, che a trovare quella stanzetta a poco prezzo aveva avuto un grandissimo culo.
Giada aveva un grandissimo culo in tutti i sensi, ma io ero un maschio non-alfa: riaccompagnavo e tornavo a casa mia a ubriacarmi di più. *1. Il Gusto è la facoltà di giudicare un oggetto o un modo rappresentativo mediante un compiacimento, o un dispiacimento, senza alcun interesse. L'oggetto di tale compiacimento si chiama bello; 2. bello è ciò che piace universalmente senza concetto; 3. bellezza è forma della conformità a scopi di un oggetto, in quanto essa viene percepita senza rappresentazione di uno scopo; 4. bello è ciò che viene riconosciuto senza concetto come oggetto di un compiacimento necessario.