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mercoledì 9 maggio 2018

Robert Brandom sulla Fenomenologia dello Spirito (A Spirit of Trust)

Seconda Parte: Mediazione dell'Immediato

Le prime tre grandi sezioni della fenomenologia, chiamate coscienza, autocoscienza e ragione, descrivono aspetti diversi dell'attività discorsiva. Coscienza si occupa della conoscenza empirica. Ragione si occupa dell'azione razionale. Autocoscienza si occupa della costituzione sociale di soggetti conoscenti e agenti. Mettiamola in un altro modo: Coscienza considera (...) il contributo delle transizioni o delle osservazioni di ingresso linguistico a determinati contenuti concettuali articolati inferenzialmente; L'autoconsapevolezza considera il contributo della comunità degli utenti linguistici all'istituzione di norme concettuali determinate e soddisfacenti; La ragione considera il contributo delle transizioni di uscita linguistica o azioni intenzionali a determinare contenuti e norme concettuali articolate inferenzialmente. La sezione chiamata Spirito tratta tutti questi aspetti insieme, offrendo una ricostruzione razionale di un processo di sviluppo storico attraverso il quale i membri di una comunità linguistica vengono a rendere espliciti a sé il ruolo che svolgono allo stesso tempo come creature e creatori di norme concettuali dotate di contenuti determinati.


(Part Two: Mediating the Immediate (MSword))

Hegelo-marxismo (Intuizione 47)

Se c'è una cosa che mi pare assolutamente valida della filosofia marxista della praxis e della totalità è questa: contro la retorica esistenzialista piccolo borghese della singolarità e della sua scelta, il mutamento  ontologico non lo causi localmente.
Per esempio: è ridicolo fare lotta di classe nella tua famiglia.
Lotta di classe è possibile solo con la classe.
E senza lotta di classe non c'è storia, non c'è mutamento se non culturale, immaginario.

martedì 8 maggio 2018

Ostacolo (Roman Nouveau, 36)

Sono dunque giunto al cuore del mio racconto, eppure qualcosa mi trattiene dall’avanzare. Qualcosa di temibile, che è certo terrore di rivivere la morte di mio padre ma anche una specie di autodifesa interna allo scrivere, come se narrare ciò che più mi importa potesse dimostrarmi che in realtà non è qualcosa di così importante. Ho paura di scoprire improvvisamente la pochezza del mio punto di vista, l’insignificanza del mio piccolo io che ancora piange la morte del padre, ho paura di scoprire che la sua morte non solo non ha alcun senso ma non è nemmeno raccontabile.
Mi trovo qui di fronte alla questione del senso, su cui sono stato profondamente tormentato da Ludwig Wittgenstein, quando lo lessi al mio primo anno di università:

"ll senso del mondo dev'essere fuori di esso. Nel mondo tutto è come è, e tutto avviene come avviene; non v'è in esso alcun valore – né, se vi fosse, avrebbe un valore. Se un valore che ha valore v'è, dev'esser fuori d'ogni avvenire ed essere-cosí. Infatti ogni avvenire ed essere-cosí è accidentale. Ciò che li rende non-accidentali non può essere nel mondo, ché altrimenti sarebbe, a sua volta, accidentale. Dev'essere fuori del mondo." (Tractatus logico-philosophicus, 6.41)

Che il senso del mondo sia fuori di esso significa che è ineffabile. E dunque, se è ineffabile, di che sto a parlare? 
“Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere”, conclude lo stesso Wittgenstein alla fine del Tractatus (esponendo la più famosa contraddizione filosofica del ventesimo secolo, poiché il suo libro parla proprio di ciò di cui non si potrebbe, secondo lui).
Ma Jacques Derrida ed Ermanno Bencivenga hanno dato due diverse risposte a Wittgenstein che mi spronano a proseguire.

Derrida: "Ciò che non può essere detto, non bisogna soprattutto tacerlo, ma bisogna scriverlo." (La carte postale, p. 209)

Ed Ermanno Bencivenga: “Solo di ciò di cui non si può parlare non si deve tacere” (Teoria del linguaggio e della mente, 8).

Se Bencivenga chiaramente esagera senza motivo, Derrida mi rassicura sul fatto che ho ragione di scrivere.