Visualizzazioni totali

martedì 9 novembre 2010

La scuola filosofica di Giovanni Gentile

Ripubblico qui il mio contributo al volume "I volti del consenso. Politica, cultura, propaganda nell'Italia fascista 1922-1943)", a cura di Alessia Pedìo, uscito come allegato del l'Unità, per Giorni di Storia, ottobre 2004.

La filosofia gentiliana ha il suo inizio in un hegelismo riveduto e corretto: la riforma della dialettica hegeliana – esposta nell’omonima opera del 1913 – riconduce tutto all’unità immanente dello spirito. Se la dialettica degli antichi (dialettica del pensato) considerava le idee come oggetti separati dal pensiero, per Gentile la dialettica moderna (dialettica del pensare) coglie l’attività creatrice del pensiero: «La dialettica [...] del pensare non conosce mondo che già sia; che sarebbe un pensato; non suppone realtà, di là dalla conoscenza, e di cui toccherebbe a questa d’impossessarsi».
Il nocciolo teoretico dell’attualismo è la concezione secondo cui l’atto del pensiero non è oggettivabile: lo spirito non è pensabile come oggetto, ma sempre come pensiero pensante, pensiero in atto. In maniera simile all’idealismo fichtiano, l’attualismo assume che lo spirito è autoctisi, ossia autoposizione, autocreazione: esso pone se stesso e i suoi molteplici oggetti e concetti, riassorbendoli nella propria immanenza originaria, neutralizzando la pluralità mondana nell’unità assoluta del pensiero pensante. Lo spirito hegeliano è così visto nella sua continua autopoiesi. Di qui l’identificazione della filosofia con la storia della filosofia, nonché la subordinazione di tutte le forme di pensiero alla filosofia (come risulta dall’organizzazione degli studi superiori che prese corpo nella riforma del 1923, precedentemente esaminata).
Da un punto di vista politico (Genesi e struttura della società, pubblicato postumo nel 1946) il monismo metafisico gentiliano portava all’affermazione dello stato etico, cioè lo stato cui tutto è subordinato e la cui formula, ben consonante con il fascismo di cui Gentile è stato il filosofo ufficiale (non senza difficoltà, contrasti e contraddizioni), è: lo stato è tutto e l’individuo è nulla.
Questa concezione si giustifica, in maniera iper-hegeliana, con la tesi che il volere universale è superiore alle volontà puramente individuali. Lo spirito è l’unico soggetto, di cui i molteplici soggetti empirici, gli oggetti e i concetti sono mere emanazioni temporanee, momenti che verranno superati, ma privi di valore in se stessi. Tale posizione metafisica ha ricadute etiche vistose, che suscitarono l’avversione degli idealisti crociani, preoccupati dell’autonomia irriducibile dei “distinti” dello spirito, dei positivisti, per i quali una simile filosofia non ha alcuna speranza di cogliere la verità del pensiero scientifico, infine dei cattolici che, nell’indistinzione spirituale pensata da Gentile, non scorgevano nessuno spazio per il Dio cristiano.
Numerosi allievi di Gentile, partendo dalle posizioni del maestro, svilupparono un pensiero originale, raramente rinnegandone la fede filosofica. Se si tiene conto dell’orientamento politico e insieme teoretico, si possono distinguere attualisti di destra, come Carlini e Sciacca, e di sinistra, come Spirito e Calogero. 

Armando Carlini (1878-1959) si allontanò progressivamente dall’idealismo immanentistico gentiliano per avvicinarsi a un trascendentalismo realistico di impronta cristiana (Lineamenti di una concezione realistica dello spirito umano, 1942).
Interessato alla storia della filosofia, studiò e tradusse Locke, Aristotele, Heidegger. Su quest’ultimo, in particolare, fu tra i primi a scrivere in Italia negli anni Trenta; in Il mito del realismo (1936) la filosofia di Heidegger veniva utilizzata per criticare il realismo ingenuo.
Preoccupato di attribuire consistenza ontologica alla persona, Carlini affrontò nelle sue opere più mature la necessità metafisica del superamento dell’immanenza in quella trascendenza che l’attualismo negava recisamente. Nel pensiero di Carlini tale riaffermazione della trascendenza avveniva in direzione tanto filosofica quanto religiosa. Fondamento del suo sistema rimaneva comunque l’Atto gentiliano.
Come hanno acutamente osservato Abbagnano e Fornero, la riflessione teologica di Carlini «apriva la strada alle “uscite” spiritualistiche dall’attualismo, cioè a quelle concezioni (Guzzo, Sciacca) che fondano la religione cristiana e cattolica non in una metafisica ontologica e oggettivistica ma nella riflessione dello spirito su se stesso». 

Michele Federico Sciacca (1908-1975) fu inizialmente attualista ma con una forte ispirazione religiosa, di una religiosità antidogmatica, spiritualistica e personalistica. L’immanentismo gentiliano gli apparve presto insoddisfacenti e la neoscolastica contribuì a mutare il suo pensiero. Elaborò una sua personale posizione, non ancora esplicitamente cristiana, che battezzò Spiritualismo critico (Linee di uno spiritualismo critico, 1936): l’approdo teoretico di questa fase consiste nella concezione di Dio come eterna attività creatrice. In seguito, Sciacca pervenne a una forma più canonica di spiritualismo cattolico. 

Ugo Spirito (1896-1979) fu il maggiore discepolo di Gentile, e uno dei principali sostenitori dell’attualismo negli anni Venti. Professore di politica ed economia corporativa nell’università di Pisa, divenne poi docente di filosofia a Messina, Genova e Roma. Nei primi anni Trenta il suo principale impegno politico è quello di teorico del corporativismo.
Già in La vita come ricerca (1937) si distaccò dall’attualismo gentiliano per ragioni teoretiche, dando vita a una dottrina originale (Il problematicismo, 1948).
Assumendo che tutte le tesi della filosofia, anche quelle attualistiche, si contraddicono in quanto pretendono fissare il divenire e così facendo necessariamente lo trascendono, il problematicismo voleva mantenere aperta la via del molteplice attraverso una fruizione della vita intesa come ricerca, arte, amore e, in ultima istanza, come libertà.
Inizialmente interessato anche al positivismo e al pragmatismo (Il pragmatismo, 1921) approderà, nell’ultima fase del suo pensiero, alla convinzione che sia la scienza a offrire la possibilità del superamento dei miti filosofici (Dal mito alla scienza, 1966). 

Guido Calogero (1904-1986) dopo i primi saggi importanti sulla logica e la filosofia antica, si interessò successivamente alla filosofia di Croce: tali studi confluirono in La conclusione della filosofia del conoscere che segnò il distacco, anche per ragioni politiche, dall’ortodossia attualista e l’avvicinamento al pensiero crociano.
Docente alla Normale di Pisa, fu condannato al confino e poi al carcere per la sua attività antifascista clandestina. Negli anni di prigionia elaborò i capisaldi di quella che sarà la sua filosofia successiva, incentrata sul rifiuto del monolitico atto puro gentiliano e volta a impostare sul principio del dialogo (Logo e dialogo, 1950; Filosofia del dialogo, 1962) la libertà umana, l’autonomia anche politica dei singoli.