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mercoledì 20 settembre 2017

Diario della presenza mentale, 9

In La biada quotidiana, 2 (Spinoza e la presenza mentale), si era affacciata per l'ultima volta nelle mie note la Presenza Mentale (d'ora in poi PM).

Oggi è ritornata.

Penso che la PM sia una sorta di grazia. In ogni caso non è possibile darsela.
Oggi pomeriggio ha fatto la sua ricomparsa.
Sembra l'effetto remoto di una lunghissima, misteriosa, catena causale.
In certe situazioni "mi torna in mente" la (possibilità della) PM: allora provo a praticarla e dopo pochi secondi percepisco me stesso in un altro modo, mi rilasso, mi pare di ricordarmi che non ci sia nulla di cui preoccuparsi.
La sensazione dura però pochi secondi, poi scompare. A quel punto sento che dovrei fare un grande sforzo per ricominciare*.

Credo che, questa volta, la PM mi sia tornata per via delle mie letture di Emanuele Severino: l'idea che tutto sia eterno non mi risulta più così assurda come un tempo. Del resto, quando anni fa mi dedicai al buddhismo zen, riuscivo a pensare l'essere-vuoto del tutto. (Sono idee complementari? Sono la stessa idea?)


*Nel Diario della presenza mentale, 8, dicevo infatti: "una volta che l'idea della presenza mentale è presente, bisogna usare la volontà per praticarla. La mia volontà deve anzi lottare duramente contro l'inerzia della mente per riuscire a concentrarsi nella propria autopresenza.
So che la mia coscienza può cambiare di qualità attraverso la presenza mentale, anche se non l'ho mai sperimentata per tempi lunghi. Ormai penso di dovermelo imporre volontariamente."

Oltre i limiti del pensiero, di Graham Priest

1. I limiti del pensiero

La finitudine è un fatto fondamentale dell'esistenza umana. Che si tratti di una fonte di dolore o di sollievo, è indubbio che ci siano limiti a ciò che le persone vogliono  fare, siano essi limiti della resistenza umana, delle risorse, o della vita stessa. Quali siano questi limiti, talvolta possiamo solo ipotizzarlo; ma che ci siano, lo sappiamo. Ad esempio, possiamo solo indovinare quale sia il tempo limite per correre un chilometro; ma sappiamo che c'è un limite, imposto dalla velocità della luce, se non da molte cose più terrene.La finitudine è un fatto fondamentale dell'esistenza umana. Che si tratti di una fonte di dolore o di sollievo, è indubbio che ci siano limiti a ciò che le persone vogliono  fare, siano essi limiti della resistenza umana, delle risorse, o della vita stessa. Quali siano questi limiti, talvolta possiamo solo ipotizzarlo; ma che ci siano, lo sappiamo. Ad esempio, possiamo solo indovinare quale sia il tempo limite per correre un chilometro; ma sappiamo che c'è un limite, imposto dalla velocità della luce, se non da molte cose più terrene.
Questo libro parla di un certo genere di limite; non i limiti degli sforzi fisici come correre un chilometro, ma i limiti della mente. Li chiamerò limiti del pensiero, anche se "il pensiero", qui, deve essere compreso nel senso oggettivo, fregeano, in quanto riguarda il contenuto dei nostri stati intenzionali, non la nostra coscienza soggettiva. Si potrebbero anche descrivere come limiti concettuali, in quanto riguardano i limiti dei nostri concetti. Comunque li si chiami, alla fine del libro avrò dato una precisa caratterizzazione strutturale dei limiti in questione, nella forma dello Schema di Inclusione. Per ora, alcuni esempi basteranno a indicare ciò che ho in mente: il limite di ciò che può essere espresso; il limite di ciò che può essere descritto o concepito; la linea di ciò che può essere conosciuto; il limite di iterazione di qualche operazione o simili, l'infinito nel suo senso matematico.