E’ tutta, In ogni umano stato, ozio la vita, Se quell’oprar, quel procurar che a degno Obbietto non intende, o che all’intento Giunger mai non potria, ben si conviene Ozioso nomar. (Giacomo Leopardi)

venerdì 23 giugno 2017

Una semplice dimenticanza (Roman nouveau, 13)


Una semplice dimenticanza

Dunque, mi trovavo finalmente a Parigi, in un appartamento sciatto ma reale, ormai iscritto al Diplôme d'Études Approfondies a Paris 8 e pronto a farmi valere come allievo italiano di Badiou. Ma quando andai a Paris 8 per la riunione preliminare degli studenti post-laurea, feci la brutta scoperta che Badiou, quel giorno assente come spesso in seguito, si era dimenticato di me. Mi volevano pertanto assegnare d'ufficio a una professoressa che non conoscevo (per una bizzarra coincidenza allora imprevedibile, anni dopo Antonia Soulez diventò effettivamente la mia direttrice di dottorato).
Spiegai ai professori riuniti che c'era un equivoco, io ero venuto a Parigi per studiare con Alain Badiou, il quale aveva dato il suo assenso e firmato le carte. La professoressa Soulez disse che per parte sua non aveva nessun desiderio particolare che io le venissi affidato, non conoscendomi affatto e non essendo affatto interessata alla mia ricerca. Sempre schietta la Soulez. Tutti i professori concordarono dunque che sarebbe stato Badiou il mio tutor di D.E.A., anche se apparentemente mi aveva temporaneamente scordato.
L'inizio accademico non era più così incoraggiante. Avevo tempestato Badiou di telefonate, gli avevo scritto lettere, ero andato a trovarlo il giorno della proclamazione alla Normale. Come diavolo aveva potuto dimenticarmi? Quanti italiani andavano a chiedergli di studiare con lui? Pensavo di essere l'unico!
Per la verità quel giorno conobbi altri due italiani che erano venuti a studiare a Paris 8, un torinese e un milanese, Bruno e Pierpaolo. Ma loro andavano a studiare con Jacques Rancière.
Rancière, Balibar e Badiou, sono i tre allievi famosi del neomarxista Louis Althusser: studiando con loro, noi tre giovani studenti italiani pieni di belle speranze ci mettevamo in contatto diretto con la grande tradizione filosofica francese contemporanea. Ma per quanto riguardava il D.E.A., mi sentivo superiore agli altri due, perché Badiou mi sembrava più importante di Rancière.
Dei due italiani quello che mi parve più pericoloso era Bruno, il milanese. Quando gli confidai con un certo sussiego che volevo tradurre il Deleuze di Badiou mi rivelò che ci aveva pensato anche lui, ma che gli sembrava che si sarebbe dovuto fare un bel lavoro filologico, con introduzione e apparato di note tutte quante.
Sì certo, pensai, tu fai pure le tue note e intanto il libro lo traduco io, che studio con l'Autore che mi ha dato il permesso di diventare il suo Traduttore.
Anche se poi si è dimenticato di venire alla riunione per l'inizio dell'anno accademico.