La
musica del Novecento ha 86 anni e attualmente il suo nome è Pierre Boulez. È
lui l'ultimo grande della Nuova Musica (etichetta che designa la musica
d’avanguardia del secondo dopoguerra), uno dei più straordinari musicisti viventi
e l'ultimo della sua generazione. La stessa di Stockhausen, Berio, Nono,
Maderna, Ligeti. Il celebrato compositore ed eccelso direttore d'orchestra sta
portando in tournée in Europa (in Italia, a Torino e a Milano, per il Festival
MITO) il suo Pli selon Pli, un astratto ritratto musicale del poeta
Mallarmé, costruito su alcuni sonetti del poeta francese.
Boulez
porta benissimo i suoi anni ed è molto emozionante vederlo dirigere con una precisione
ineguagliabile e un’energia tutta intellettuale (siamo agli antipodi della
figura del direttore romantico). La sua musica
è un misto di invenzione sublime e regole formali ferree (all’università
Boulez studiò matematica). Comunica emozioni per la sua ostentata assenza di
emozioni.
Ascoltare
oggi queste potenti e gelide composizioni per soprano e orchestra non può non
far riflettere sulla grande musica del Novecento, di cui Boulez è ormai il
glorioso superstite. La musica di Boulez (il cui “serialismo integrale” è uno
sviluppo estremo della dodecafonia di Schoenberg) ha ovviamente i suoi
detrattori. Basterebbe ricordare un articolo sardonico di Glenn Gould: “Boulez
non sarà magari un grande compositore, ma è certamente un artista interessante”
(L’ala del turbine intelligente). O
il giudizio tranchant del grande musicista
ungherese Ligeti, secondo cui la musica seriale è il frutto di un metodo dovuto
a una nevrosi compulsiva. D’altra parte un evento come la collaborazione di
Boulez con Frank Zappa, il geniale e dirompente musicista rock (ma l’etichetta
“rock” non è mai stata meno sufficiente) per il disco The Perfect Stranger, proietta
un fascio di luminosa simpatia umana sul compositore francese, da molti
considerato né più ne meno che un cervellotico dittatore (per anni ha diretto –
verrebbe da dire con pugno di ferro – l’IRCAM di Parigi, uno dei più importanti
centri di ricerca acustica e musicale al mondo).
Tornando
al concerto, l'ultimo verso di Pli selon
pli gela il sangue nelle vene: “un poco profondo ruscello calunniato la
morte”, con la parola “morte” urlata sottovoce (non so come altro dire) dal soprano
canadese Barbara Hannigan (http://www.barbarahannigan.com/).
Un gesto musicale difficilmente dimenticabile e che basterebbe a smentire
l’idea di una musica anaffettiva (quelle che scarseggiano, per non dire che
sono del tutto assenti, sono le emozioni positive…). Se Boulez, dirigendo quest'opera
grandiosa e gelida voleva farci pensare all’imminente fine, sua e del Novecento
musicale con lui, ci è riuscito perfettamente. Per fortuna la bellezza quasi aggressiva
della Hannigan, personaggio sempre più di spicco della musica contemporanea (ha
esordito recentemente anche come direttrice d'orchestra), fa da perfetto
contraltare alle emozioni cupe del concerto.
Nel
suo seducente e geometrico perfezionismo, Boulez avrà certamente calcolato
anche questo.