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venerdì 24 settembre 2010

Cecilia Bartoli, Domina

Questa sera ho assistito al concerto strepitoso della Bartoli, Sacrificium, col repertorio di musiche della Scuola dei Castrati.
Superato l'iniziale inorridimento al pensiero della castrazione (vedi i contorcimenti di Woody Allen all'udire la parola, in Bananas), mi sono trovato a udire musiche assolutamente soavi.
La Bartoli è notoriamente una virtuosa, come io non ne avevo mai sentite: se avete in mente il concetto di "virtuosismo", ecco, lei lo esemplifica PERFETTAMENTE.
In certe arie la sua voce spaziava per scrosci sonori di cui potevi quasi vedere l'onda il periodo e la frequenza, sentivi la sua voce roteare nello spazio e colmare la distanza tra la sua bocca e te, per accarezzarti suadente, calda e brillante, o per schiaffeggiarti scherzosamente a suon di gorgheggi.
In certi brani ti pareva di vedere il paesaggio arcadico descritto nel testo del Metastasio o immaginavi l'intera storia di certi personaggi mitologici di cui udivi appena quattro versi. L'inevitabile ellissi testuale diveniva oltremodo allusiva.
Il pubblico in visibilio non capiva più nulla, scattavano applausi tra un tempo e l'altro dei concerti strumentali, splendidamente eseguiti dal Giardino Armonico, intermezzi tra le arie.
Scattavano persino applausi quando la Bartoli e l'orchestra tacevano improvvisamente, con un effetto comico implicito ma forte (il pubblico rideva come un bambino collettivo).
In effetti non ho mai visto un pubblico classico più rilassato di questo.
E nemmeno ho mai visto un pubblico più entusiasta: si sono spellati le mani in applausi, credo di aver visto schizzare il sangue per lo sfregamento delle palme abrase delle mani.

La Bartoli ha cambiato quattro costumi maschili, con ampi mantelli colorati.
Solo alla fine aveva una specie di strascico di raso rosso, che nel secondo bis - strappato con il solito dolore di mani - si completava con due pennacchi rossi piumati: sul finire dell'ultimo pezzo se li è strappati di dosso e ne ha scherzosamente lanciato uno sul leggìo del direttore, avviandosi fuori dal palco.

Di tutto questo, dico grazie ad Alfonso Maria Petrosino, che mi ha offerto questa esperienza notevole. Tu, Alfonso, ne avresti certo ricavato poesia migliore di questa stanca mia entusiasta cronachetta...

Qui un exemplum

Giuseppe Genna: la moda è il dedalo dell’ego (Vogue9)

Pubblicato su Vogue.it

Lo scrittore Giuseppe Genna, acclamato autore di Assalto a un tempo devastato e vile, Dies Irae, Italia de Profundis e Hitler, sta scrivendo il suo nuovo romanzo Fine Impero, di prossima uscita per Einaudi Stile Libero. Più di un suo capitolo avrà a che fare con la moda...


I tuoi romanzi hanno spesso un piglio coraggiosamente filosofico: nel tuo nuovo libro rifletterai concettualmente sulla moda o invece ne trarrai spunti narrativi?

Per me il pensiero è movimento di fantasmi e quindi è narrazione –un racconto lineare sollo all’apparenza. Se lo si ingrandisce, tutto è sconnesso. La passerella stessa pare lineare e invece, nella luce, tutto è allucinato.

Potresti darci un’idea precisa di come intendi scrivere di moda nel tuo romanzo?

In maniera letterale. Sono stato su una passerella prima dell’inizio di una sfilata, ho osservato l’esercito di cloni androgini sotto riflettori accecanti, ho partecipato a feste di stilisti. Il protagonista del mio romanzo farà lo stesso, in modo più tragico.

Intorno al mondo della moda sono stati scritti molti saggi, ma, mi pare, poca narrativa (il cinema ha maggiormente sfruttato l’argomento): secondo te nella moda c’è una componente spettacolare che non è facilmente narrabile?

E’ lo spettacolo quintessenziato, un elemento indiscernibile da quella “vita dei nervi” che il filosofo Georg Simmel, autore di un fondamentale saggio sulla moda, pone a fondamento elettrico della metropoli, cioè della vita spettacolare. Fare una narrazione dei nervi è difficile.

Credi che sia possibile determinare l’essenza della moda o non sarebbe più corretto parlare di “mode” al plurale?

Io la prendo da questa prospettiva, tra le infinite possibili – la moda è il dedalo dell’ego, il suo mostrarsi, il suo abolirsi mentre si esibisce, il suo vestirsi, il suo essere legione aberrante ma che si considera attraente, una foggia letale, il riflettore del mondo demonico.


Giuseppe Genna alle sfilate di Milano: http://www.giugenna.com/2010/02/26/un-miserabile-alle-sfilate-di-milano/