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venerdì 6 settembre 2013

Leggendo "Organizing for the Anti-Capitalist Transition", di David Harvey

L'articolo di David Harvey "Organizing for the Anti-Capitalist Transition" si trova qui.

Espungo e commento questo paragrafo programmatico: "We urgently need an explicit revolutionary theory suited to our times. I propose a "co-revolutionary theory" derived from an understanding of Marx's account of how capitalism arose out of feudalism. Social change arises through the dialectical unfolding of relations between seven moments within the body politic of capitalism viewed as an ensemble or assemblage of activities and practices:

a) technological and organizational forms of production, exchange, and consumption

b) relations to nature

c) social relations between people

d) mental conceptions of the world, embracing knowledges and cultural understandings and beliefs

e) labor processes and production of specific goods, geographies, services, or affects

f) institutional, legal and governmental arrangements

g) the conduct of daily life that underpins social reproduction."


Cominciamo da d) "rappresentazioni mentali del mondo, relative alle conoscenze, alla cultura e alle credenze". Sembra urgente impadronirsi in prospettiva rivoluzionaria (o almeno violentemente riformista) di un'immagine corretta dei risultati delle neuroscienze. Se l'idealismo hegeliano ha fornito al marxismo la base per pensare la coscienza come autocoscienza, trasformando la dialettica servo-padrone in quella proletario-capitalista, ora quell'immagine risulta inadeguata, non solo rispetto alle narrazioni contemporanee - il che ci lascerebbe in un contesto relativistico, per cui se si parla di x bisogna considerare x come reale a prescindere dal suo fondamento materiale - ma anche da un punto di vista scientifico: la coscienza non può più essere compresa o almeno tematizzata senza fare ricorso al patrimonio delle conoscenze neuroscientifiche. La coscienza, il mentale in genere, oggi non può più trovare una definizione puramente nominale, anche se molta filosofia (continentale ma anche analitica) pensa ancora di potersi muovere in un recinto asettico, in disparte rispetto alle neuroscienze.
Ma per non buttare via il bambino con l'acqua sporca possiamo, e anzi dobbiamo, mantenere il nucleo razionale e motivazionale della dialettica, e cioè la necessaria opposizione tra individui appartenenti a classi sociali diverse, avviandoci però a una corretta ed efficace naturalizzazione del nostro pensiero politico rivoluzionario.
I neuroscienziati cognitivi (Lakoff), gli psicologi evoluzionisti (Tomasello), i biologi e gli etologi, parlano di attitudine genetica alla cooperazione (intuizione propria di alcuni teorici anarchici come Kropotkin, opposta all'erronea idea marxiana - e di un certo anarchismo - della natura umana come tabula rasa, quindi completamente plasmata dalla società).
Nessun rivoluzionario del XXI secolo, o semplicemente nessun sincero progressista può ignorare che l'animale uomo ha una struttura materiale, cognitiva e comportamentale a partire dalla quale soltanto è possibile pensare e realizzare l'azione politica.

La domanda è dunque la seguente: come intervenire politicamente in modo efficace, da sinistra?
Coloro che ritengono che l'unica risposta possibile a questa domanda sia l'accettazione del capitalismo, avrebbero naturalmente l'onere di dimostrare che il mercato, con le sue "leggi" mortifere ("onora il profitto" ha il triste corollario dello scarso valore, o nullo, della vita umana rispetto al profitto) si adatti alla struttura materialmente cognitiva dell'essere umano. Ma non possiamo aspettarci che chi esercita il dominio si senta costretto a fornire una simile dimostrazione. L'onere spetta dunque a noi anticapitalisti (comunisti e anarchici): come potremo produrre una nuova narrazione anticapitalista che abbia la possibilità di affermarsi nel proletariato mondiale? (I paesi occidentali devono ormai essere considerati una periferia estrema e residuale del movimento anticapitalista).

[to be permanently continued]