E’ tutta, In ogni umano stato, ozio la vita, Se quell’oprar, quel procurar che a degno Obbietto non intende, o che all’intento Giunger mai non potria, ben si conviene Ozioso nomar. (Giacomo Leopardi)

lunedì 9 maggio 2011

Krishnamurti e i sogni

«Mi chiedo perché sogno così tanto. Faccio qualche sogno quasi ogni notte. A volte i miei sogni sono piacevoli, ma più spesso sono sgradevoli, se non spaventosi, e quando la mattina mi sveglio mi sento esausto.»
  Era un uomo giovanile, visibilmente turbato e in ansia. Aveva un lavoro per il governo alquanto soddisfacente, spiegò, con buone prospettive per il futuro, e guadagnarsi da vivere non era per lui una preoccupazione. Era un uomo capace, e sarebbe sempre stato in grado di trovare lavoro. Sua moglie era morta, e aveva un figlio piccolo che aveva lasciato presso una sorella, perché il bambino era troppo capriccioso, disse, per poterlo crescere da solo. Era di corporatura pesante e parlava lentamente, in tono prosaico.
  «Non sono un gran lettore,» continuò, «anche se al college andavo bene, e mi sono laureato con lode. Ma tutto questo non significa niente, se non che mi è servito per ottenere un buon lavoro, che per la verità non mi interessa un granché. Mi basta qualche ora di duro lavoro al giorno per tirare avanti, e mi rimane un po’ di tempo libero. Credo di essere normale, e potrei risposarmi, ma non sono molto attratto dall’altro sesso. Mi piace lo sport, e conduco una vita sana, vigorosa. Il mio lavoro mi porta in contatto con alcuni politici importanti, ma la politica non mi interessa, con tutti i suoi bestiali intrighi, e me ne tengo deliberatamente fuori. Si potrebbe salire in alto attraverso il favoritismo e la corruzione, ma io conservo il mio lavoro perché lo faccio bene, e questo mi basta. Ti racconto tutto questo non per spettegolare, ma per darti l’idea dell’ambiente in cui vivo. Ho una normale ambizione, ma non divento matto per essa. Avrò successo se non mi ammalo e se non ci saranno troppi intrallazzi. A parte il lavoro, ho qualche buon amico, e spesso discutiamo di cose serie. Ecco, adesso hai più o meno il quadro completo.»
  Se posso chiederlo, di cosa vuoi che parliamo?
  «Un amico mi ha portato a una delle tue conversazioni serali, e con lui ho anche partecipato a una discussione mattutina. Sono stato molto colpito da ciò che ho sentito, e vorrei approfondire. Ma quel che adesso mi preoccupa sono questi sogni notturni. I miei sogni mi turbano molto, anche quelli piacevoli, e vorrei sbarazzarmene; vorrei avere delle notti tranquille. Cosa devo fare? O è una domanda stupida?»
  Cosa intendi con sogni?
  «Quando dormo, ho visioni di vario tipo; una serie di immagini o apparizioni mi salgono alla mente. Magari una notte sono sul punto di cadere da un precipizio, e mi sveglio di soprassalto; un’altra notte mi trovo in una bella vallata, circondata da alte montagne e con un ruscello che ci scorre in mezzo; un’altra notte ho un terribile litigio con i miei amici; oppure perdo un treno, o gioco da campione una partita di tennis; o vedo all’improvviso il corpo morto di mia moglie, e così via. I miei sogni sono di rado erotici, spesso sono incubi spaventosi, e a volte sono di un’incredibile complessità.»
  Quando sogni, accade talvolta che quasi nello stesso momento ti venga in mente un’interpretazione di ciò che sogni?
  «No, non mi è mai accaduto; sogno e basta, e dopo me ne lagno. Non ho mai letto libri di psicologia o di interpretazione dei sogni. Ho parlato del problema con alcuni miei amici, ma non mi sono stati di grande aiuto e provo una certa diffidenza verso gli psicoanalisti. Mi puoi dire perché sogno, e cosa significano i miei sogni?»
  Vuoi un’interpretazione dei tuoi sogni? O vuoi comprendere il complesso problema del sognare?
  «Non è necessario interpretare i propri sogni?»
  Può non esserci alcun bisogno di sognare. Di certo devi essere tu a scoprire la verità o la falsità dell’intero processo che chiamiamo il sognare. Questa scoperta è di gran lunga più importante del sentirti interpretare i tuoi sogni, non è vero?
  «Certo. Se riuscissi a cogliere il pieno significato del sognare, ciò dovrebbe sollevarmi da quest’ansietà e inquietudine notturna. Ma non ho mai davvero riflettuto su queste faccende, e dovrai avere pazienza con me.»
  Stiamo cercando di comprendere il problema insieme, perciò non c’è impazienza da alcuna delle due parti. Stiamo intraprendendo insieme il viaggio di esplorazione, il che significa che dobbiamo stare entrambi all’erta, e non dobbiamo lasciarci trattenere da alcun pregiudizio o paura che potremmo scoprire lungo il percorso.
  La tua coscienza è la totalità di ciò che pensi e senti, e molto di più: i tuoi moventi e propositi, siano essi espliciti o nascosti; i tuoi desideri segreti; la sottigliezza e la scaltrezza del tuo pensiero; le costrizioni e le spinte oscure nella profondità del tuo cuore – tutto questo è la tua coscienza. È il tuo carattere, le tue tendenze, il tuo temperamento, i tuoi appagamenti e frustrazioni, le tue speranze e paure. Indipendentemente dal fatto che tu creda o meno in Dio, o nell’anima, nell’Atman, in qualche entità sovraspirituale, l’intero processo del tuo pensiero è coscienza, non è vero?
  «Non ci ho mai pensato prima, signore, ma vedo che la mia coscienza è fatta di tutti questi elementi.»
  È anche tradizione, conoscenza ed esperienza; è il passato in relazione al presente, che costituisce il carattere; è il collettivo, il razziale, la totalità dell’uomo. La coscienza è l’intero campo del pensiero, del desiderio, dell’affetto, delle virtù, che se coltivate non sono affatto virtù; è l’invidia, la bramosia, e così via. Non è tutto questo ciò che chiamiamo coscienza?
  «Non riesco a seguirti in ogni dettaglio, ma ho il sentimento di questa totalità,» replicò lui esitante.
  La coscienza è ancora qualcosa di più: è il campo di battaglia di desideri contradditori, il campo della fatica, della lotta, del dolore, della sofferenza. È anche la rivolta contro questo campo, che è la ricerca di pace, di bene, di affetto durevole. L’autocoscienza emerge quando c’è consapevolezza del conflitto e della sofferenza, e desiderio di sbarazzarsene; anche quando c’è consapevolezza della gioia, e desiderio di averne di più. Tutto questo è la totalità della coscienza; è un vasto processo della memoria, del passato, che utilizza il presente come passaggio verso il futuro. La coscienza è il tempo – il tempo sia di veglia che di sonno, il giorno e la notte.
  «Ma si può essere consapevoli di questa totalità della coscienza?»
  Perlopiù siamo consapevoli solo di un angolino di essa, e le nostre vite trascorrono in quell’angolino, smaniando per sopraffarci e distruggerci l’un l’altro, con qualche pizzico di amicizia e affetto di tanto in tanto. Della parte maggiore non siamo consapevoli, e perciò esiste il conscio e l’inconscio. Di fatto, naturalmente, non c’è alcuna divisione tra i due; è solo che noi prestiamo più attenzione all’uno che all’altro.
  «Questo è piuttosto chiaro – anzi, troppo chiaro. La mente conscia è occupata da mille e una cosa, quasi tutte radicate nel proprio interesse.»
  Ma c’è il resto, nascosto, attivo, aggressivo e molto più dinamico del conscio, della mente diurna. Questa parte nascosta della mente è sempre lì a spingere, a influenzare, a controllare, ma spesso durante le ore di veglia non riesce a comunicare i propri propositi, perché lo strato superiore della mente è occupato; perciò trasmette i suoi suggerimenti e le sue intimazioni durante il cosiddetto sonno. La mente superficiale può rivoltarsi contro questa influenza invisibile, ma lei riprende silenziosamente la sua posizione, perché la totalità della coscienza si preoccupa di mantenersi salda, permanente; e ogni cambiamento va sempre nella direzione del cercare ulteriore sicurezza, una maggiore permanenza di sé.
  «Temo di non comprendere del tutto.»
  In fondo la mente vuole essere certa in tutte le proprie relazioni, non è vero? Vuole essere salda nella relazione con le idee e le credenze, così come nella relazione con le persone e con le proprietà. Non l’hai notato?
  «Ma non è naturale?»
  Siamo stati educati a pensare che sia naturale; ma lo è? Di certo solo la mente che non si aggrappa alle sicurezze è libera di scoprire ciò che è del tutto intatto dal passato. Ma la mente conscia si fonda su questa pulsione ad essere salda, sicura, a rendersi permanente; e la parte nascosta o negletta della mente, l’inconscio, bada anch’essa ai propri interessi. La mente conscia può essere forzata dalle circostanze a riformarsi, a modificarsi, almeno esteriormente. Ma l’inconscio, essendo profondamente trincerato nel passato, è conservatore, cauto, consapevole delle questioni più profonde e del loro più celato esito; perciò c’è un conflitto tra le due parti della mente. Questo conflitto produce una qualche sorta di mutamento, una continuità modificata, di cui la maggior parte di noi si accontenta; ma la vera rivoluzione è al di fuori di questo campo dualistico della coscienza.
  «Cosa c’entrano i sogni con tutto questo?»
  Dobbiamo comprendere la totalità della coscienza prima di arrivare a una particolare parte di essa. La mente conscia, essendo occupata durante le ore di veglia dagli eventi e dalle pressioni quotidiane, non ha il tempo o l’opportunità di ascoltare la parte più profonda di sé; di conseguenza, quando la mente conscia «va a dormire», cioè quando è abbastanza quieta, non troppo preoccupata, allora l’inconscio può comunicare, e questa comunicazione prende la forma di simboli, visioni, scene. Al risveglio tu dici, «Ho fatto un sogno,» e cerchi di scoprirne il significato; ma ogni interpretazione sarà pregiudiziale, condizionata.
  «Non ci sono persone addestrate a interpretare i sogni?»
  Possono esserci; ma se ti rivolgi a un altro per l’interpretazione dei tuoi sogni, hai il problema ulteriore della dipendenza da un’autorità, il che genera molti conflitti e sofferenze.
  «In questo caso, come faccio a interpretarli da me?»
  È questa la giusta domanda? Le domande irrilevanti non possono che produrre risposte superflue. La questione non è come interpretare i sogni, ma se i sogni sono necessari.
  «Allora come faccio a far smettere questi miei sogni?» insistette lui.
  I sogni sono uno strumento attraverso cui una parte della mente comunica con l’altra, non è vero?
  «Sì, sembra piuttosto ovvio, adesso che ho compreso un po’ meglio la natura della coscienza.»
  Questa comunicazione non potrebbe avvenire sempre, anche durante il periodo di veglia? Non è possibile essere consapevole delle tue reazioni anche quando sali sull’autobus, quando sei con la tua famiglia, quando stai parlando col tuo capo in ufficio, o col tuo servo a casa? Basta essere consapevoli di tutto questo – essere consapevoli degli alberi e degli uccelli, delle nuvole e dei bambini, delle proprie abitudini, reazioni e tradizioni – per osservarlo senza giudicare o fare paragoni; e se riuscirai ad avere questa consapevolezza, a guardare, ad ascoltare di continuo, scoprirai che non sogni più. Allora tutta la tua mente è in intensa attività; tutto ha un senso, un significato. Per una tale mente, i sogni non sono necessari. Allora scoprirai che nel sonno non c’è solo un completo riposo e rinnovamento, ma anche uno stato che la mente non può toccare. Non è qualcosa da ricordare e su cui tornare; è del tutto inconcepibile, un totale rinnovamento che non può essere formulato.
  «Potrò riuscire ad avere una tale consapevolezza durante l’intera giornata?» domandò lui schiettamente. «Ma devo farlo, e lo farò, perché onestamente adesso ne vedo la necessità, signore, ho imparato molto, e spero di poter tornare.»

Diario della presenza mentale, 6: il ritorno evenemenziale della presenza

Da parecchi giorni la presenza mentale è completamente scomparsa. Se non conservassi un barlume del ricordo di quella sensazione ti sentiresti stupido e incapace, ma in ogni caso non è un bel pensiero quello di non avere più fatto presenza mentale (o di non esserne più stato capace? Hai provato davvero, a farla?).
In un certo senso capisci che quella mente presente che non riesci più ad evocare non sei tu. Per quanto ultimamente vuoto, il sé ha necessariamente diversi (numerosi?) livelli di esistenza e consapevolezza, e uno di questi contempla la propria espropriazione.
Come diceva Rimbaud, io è un altro, ma un conto è pensarlo e comprenderlo, un altro conto è sentirlo e sperimentarlo.
L'incapacità a fare presenza mentale ti manifesta chiaramente che tu sei anche un altro, qualcos'altro, che c'è la possibilità che il tuo campo di coscienza sia attraversato da un evento chiamato presenza mentale.
Non è un evento puro, non lo hai scoperto tu, lo hai appreso, è un tipo di evento, non un evento singolare e irripetibile. E' qualcosa di ripetibile, ma non sai come né a quali condizioni.
E' come se ora ti mancasse la volontà per fare presenza mentale, eppure sai che non è una semplice questione di volontà.
Sei in un'impasse spirituale, sei paralizzato.

La perfetta compilation dei Pink Floyd di Jacopo Valli


In ordine dal primo all'ultimo album, almeno queste:

• Astronomy Domine

• Pow R. Toch H.

• Set the Controls for the Heart of the Sun

• A Saucerful of Secrets

• Cymbaline

• Careful with That Axe, Eugene

• Sysyphus

• The Narrow Way (parte III)

• Grantchester Meadows

• Atom Heart Mother

• Fat Old Sun

• Alan's Psychedelic Breakfast

• Echoes

• Fearless

• Absolutely Curtains

• On the run

• Us and them

• Any colour you like

• Shine On You Crazy Diamond

• Welcome to the Machine

• Dogs

• One of My Turns

• Don't Leave Me Now

• Is There Anybody Out There?

• Not Now John

• Sorrow

• Marooned

• Keep Talking