E’ tutta, In ogni umano stato, ozio la vita, Se quell’oprar, quel procurar che a degno Obbietto non intende, o che all’intento Giunger mai non potria, ben si conviene Ozioso nomar. (Giacomo Leopardi)
Visualizzazione post con etichetta morte. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta morte. Mostra tutti i post

lunedì 8 aprile 2024

Musica come lotta contro il Tempo (Intuizione 78)


Oggi ho pensato, credo per la prima volta, che forse la musica non è indifferente alla temporalità esistenziale.
Forse, al pari della danza che però ne è dipendente e di certi sport che ne sono tardive derivazioni, la musica permette di controllare il Tempo, anche se per un tempo limitato.
Ma durante il tempo dell'esecuzione musicale, il bravo esecutore DOMINA IL TEMPO.

Di fronte alla morte, il musicista non potrà far altro che ripetersi una melodia, ossia un frammento di Tempo governato.
(La mia melodia esiziale sarà l'aria delle Variazioni Goldberg.)

sabato 28 ottobre 2023

La morte come bell'evento (intuizione 77)

L'amore non mi ha riservato grandi gioie.
Sarà per questo che ultimamente mi pare di capire che la morte sarà l'evento più interessante della mia vita.

giovedì 7 marzo 2019

Diario in caso di morte, 1

Ho di nuovo molto timore della morte


Qualche mese fa, dopo un pranzo con bagna cauda, mi è venuta la tachicardia forte: mi sono svegliato di notte all’improvviso con il cuore che batteva all’impazzata e ho pensato che stesse per venirmi un infarto.
Mi era già successo in passato, e avevo fatto gli esami del caso, ma una sensazione così sgradevole non mi pareva di averla mai provata. E soprattutto il cuore non si fermava più, non smetteva più di battere velocissimo. 


Sono passati tre mesi e continuo a non stare molto bene: spesso mentre sto facendo lezione, sento qualcosa dentro di me come un rischio di implosione, mi pare di perdere l’equilibrio e le gambe non sembrano salde, così, senza parere, mi siedo mentre sto parlando, continuando a parlare come se niente fosse, o almeno spero che nessuno dei miei allievi si accorga di niente. Non sembrano accorgersi di niente.
So che si potrebbe pensare a qualcosa come delle crisi di panico, ma non penso proprio che sia il mio caso perché tutto ha avuto inizio con uno scompenso fisico.
Una condotta razionale mi porterebbe naturalmente a consultare un dottore ma io: 1) prima di consultare un dottore faccio le mie ipotesi diagnostiche e mi somministro le cure: in questo caso ho tolto fin dall’inizio dei disturbi vino, caffè e, tè; 2) ho paura che il dottore mi prescriverebbe degli esami del sangue, e quella per me è una prova superiore persino al trapano del dentista: rende la vita indegna di essere vissuta.

...

Ho deciso di ricominciare a praticare la presenza mentale: sento di dover rinunciare a ogni trascendenza, a ogni progettualità, a ogni desiderio.
Devo raggiungere l’immanenza apatica: se sopravviverò sarò più forte, se morirò sarò stato coerente.



martedì 19 febbraio 2019

La morte come liberazione (Intuizione 51)

Non mi era mai davvero capitato di percepire la vita come tedio ASSOLUTO, e di pensare che, data anche una certa età (46 anni), morire ora non sarebbe affatto una tragedia.
Sarebbe forse anzi un puro sollievo.
Senza credere in alcun modo a una vita dopo la morte, la morte potrebbe essere semplicemente un cambiamento radicale, l'unica possibilità che qualcosa torni ad essere possibile.

martedì 15 gennaio 2019

Il più bel Lied mai composto: Beim schalfengehen (R. Strauss su testo di H. Hesse)

BEIM SCHLAFENGEHENANDANDO A DORMIRE
Nun der Tag mich müd gemacht.
Soll mein sehnliches Verlangen
Freundlich die gestirnte Nacht
Wie ein müdes Kind empfangen.
Ora il giorno mi ha spossato
ed allora il mio ardente desiderio
è di accogliere con gioia la notte stellata,
come un fanciullo affaticato.
Hände, lasst von allem Tun,
Stirn, vergiss du alles Denken,
Alle meine Sinne nun
Wollen sich in Schlummer senken.
Mani mie, giacete inoperose,
mente mia, dimentica ogni pensiero,
tutti i miei pensieri ora
bramano soltanto abbandonarsi al sopore.
Und die Seele, unbewacht,
Will in freien Flügeln schweben,
Um im Zauberkreis der Nacht
Tief und tausendfach zu leben.
E la mia anima indifesa
vuoi librarsi alta nell'aria
per vivere profondamente e sotto mille aspetti
nel cerchio magico della notte.

domenica 12 agosto 2018

Stawac (Roman nouveau, 39)

Quella notte dormii a casa della zia Pierina e dello zio Luigi. Immaginatevi di passare la notte nell’attesa che vostro padre muoia: immaginatevi però di non essere a casa vostra ma in una lugubre casa di vecchi zii, dove non c’è un letto e nemmeno un divano. Pertanto dovete arrangiare un paio di poltrone l’una contro l’altra per ricavare uno spazietto nel quale rannicchiarvi coi piedi che sporgono. Ecco, oltre al danno sembra che si aggiunga una schifosa beffa perché dormire almeno un po’ su un letto degno di questo nome parrebbe il minimo per prepararsi a ricevere la notizia più brutta. 

Il telefono squillò verso le quattro del mattino: sentii la zia rispondere a monosillabi con la voce di un vecchio uccellino e chiudere ringraziando il dottore con un sussiego che mi rivoltò lo stomaco. Mio padre era già morto da circa un’ora.

giovedì 26 luglio 2018

Post scriptum (Roman nouveau, Omega)

Un giorno d'inverno portai una minuscola statuetta di Buddha sulla tomba di mio padre. Era il mio periodo buddhista, avevo l'ispirazione per fare un gesto privo di significato e tuttavia facilmente leggibile all'interno di una tradizione umana di culto dei morti.
La prima statuina che volevo portare a mio padre l'avevo regalata al bellissimo figlioletto del mio amico Max: eravamo in montagna per una riunione tra ex compagni di università, Viviana era incinta di Agostino. Tito aveva quattro anni e quando vide la statuina dorata che mi portavo sempre appresso, dopo che l'avevo posata sul tavolino al quale sorseggiavamo il nostro aperitivo tra vecchi amici in vacanza, la guardò con occhi incuriositi e avidissimi: “questo è Buddha”, gli dissi con benevolo tono di ammaestramento.
“Buddo!”, urlò Tito gioiosamente afferrando la statuina e impadronendosene in modo ostentato. Ebbi una piccola crisi interiore: era una statuina che adoravo, una specie di portafortuna su cui si concentravano tutte le mie quasi-credenze pseudo-buddhiste dell'epoca. Inoltre avevo già deciso di portarla sulla tomba di mio padre... E adesso quel moccioso la voleva per sé! Cercai di dominare l'angoscia furente che si stava formando da qualche parte nella mia psiche contorta: mi dissi che se Tito era attratto dal buddhino risplendente era giusto che diventasse suo, anche se privarmene mi generava un notevole disagio. Mi dissi che in fondo il buddhismo insegna proprio il distacco e mi tornò in mente il proverbio cinese che esprime il culmine dell'irrazionalità buddhista chan, poi zen: “se incontri Buddha sulla tua strada, uccidilo”. 
Provai così a uccidere Buddha in quella statuina, ma forse non vi riuscii proprio benissimo, se ora sto scrivendo di questo fatto, a dieci anni di distanza. Successivamente trovai un'altra statuina simile a quella che avevo visto scomparire nella manina di Tito: ma non era altrettanto bella e insomma portarla da mio padre mi sembrava già un po' meno significativo.
Comunque mi recai al cimitero monumentale di Torino, dove ritrovai non senza fatica (devo sempre richiedere le coordinate alla mia vecchia zia) il lotto in cui stazionavano le spoglie mortali incenerite del mio genitore, appoggiai la statuina sul loculo di papà, mi sedetti nella posizione del loto, dopo essermi ficcato dei giornali sotto il sedere per evitare il freddo del pavimento cimiteriale, e provai a fare un po' di meditazione.
Niente, non sentivo niente, non mi veniva in mente nulla che io potessi fieramente lasciar scorrere nella mia mente, non i pensieri “che saltano di ramo in ramo come le scimmie”.
Non pensando niente non potevo staccarmi da niente. Nulla aveva senso, era tutto ridicolo e inutile: stavo davanti a un pezzo di marmo contenente un po’ di polvere, e negli avelli contigui c’erano pure dei cadaveri in putrefazione.

Quando tornai dopo un anno a visitare la tomba, la statuina era scomparsa.
Siamo usciti dal nulla, siamo fatti di nulla, stiamo tornando nel nulla.

sabato 23 giugno 2018

Fin de partie (Roman Nouveau, 37)

Mi disse, dunque, mio padre: CHE VITA DEL CAVOLO.

Dopo quelle poche parole, preso dal delirio dell’infezione letale, non mi guardava più e aveva tirato fuori prendendolo da qualche parte il suo orologio da polso, tentando di regolarlo. 
Al dito indice della mano destra esibiva un sensore medico che sembrava un ditale gommoso (in un remotissimo passato avevo visto un oggetto simile: mio padre si dilettava con i modelli volanti di aeroplano e per avviare l'elica occorreva una robusta guaina digitale gommosa). Ogni movimento doveva essergli difficile, remoto, pesante, espropriato com'era delle sue membra, mai percosse da nemici. 
Le sue dita facevano pena.
Volevo aiutarlo a ricaricare l’orologio per compiere quella cerimonia senza speranza, senza bellezza, senza riparo né senso, ma mio padre disse affannato che voleva farlo lui, con aria offesa: doveva farlo lui, voleva evidentemente poterlo ancora fare. 
Era inaspettatamente tardi, e quel gesto non gli fu possibile. 
Quel gesto di libertà sarebbe stato di gran lunga il migliore che gli si potesse concedere. Nessuno pensava di poter pretendere di più. 
Io volevo, e quanto!, che papà fosse sano a tal punto da poter mettere in sesto la sua piccola macchina del tempo, uno dei suoi tanti orologi. Ma dovetti ingoiare l'umiliante sofferenza di vederlo desistere persino da così poco.
Papà non volle che lo aiutassi: poiché, diceva, aveva spostato inavvertitamente le lancette, con le dita che vedevo grosse di malattia, non riusciva a dimostrarmi (tuttavia continuando a sprecare in imperdonabili quisquilie il tempo istantaneo che ci era concesso) che poiché l’ora non corrispondeva a quella segnata sull’agenda elettronica (nessuna agenda elettronica era lì visibile) ciò doveva necessariamente significare che lui si era addormentato senza cognizione delle ore passate.
A quel punto la sua coscienza fu totalmente offuscata ed ebbe inizio il suo delirio. Non avrei mai più scambiato una sillaba sensata con lui oltre a queste: “buona notte, ci vediamo domani”. 
Papà rispose di sì, e fu il nostro addio.

sabato 13 gennaio 2018

I filosofi e la morte (Roman nouveau, 35)

Riprendendo probabilmente Epicuro, e anticipando Sartre, nel Tractatus Logico-philosophicus Wittgenstein dice: “La morte non è evento della vita. La morte non si vive” (Tractatus, 6.4311). Chiunque abbia vissuto un lutto importante dovrebbe sapere che questo è uno dei tentativi consolatori della filosofia meno riusciti di tutti i tempi, perché il ragionamento vale solo – posto che valga – per la propria morte. Ma se a morire è un altro? Se a morire, nella fattispecie, è il proprio amatissimo padre?
Su questo punto il padre della psicoanalisi sembra avere visto decisamente meglio di quegli algidi filosofi, ossia Epicuro, Sartre e Wittgenstein (faccio notare en passant che nessuno dei tre è diventato padre, a differenza di Freud).
E infatti, in generale, dopo la morte di mio padre la filosofia mi risultò all'improvviso dolorosamente inutile, come se mi rendessi conto di essermi sempre ingannato sul potere salvifico del pensiero filosofico.
Cercare consolazione filosofica per la morte nella filosofia di Badiou, per esempio, è un'impresa disperata. Per Badiou la morte non ci riguarda, riguarda soltanto il nostro corpo, l'animale che c'è in noi, quell'involucro materiale di passioni, desideri, opinioni, che non può che scomparire in quanto essenzialmente temporale, caduco, solo parzialmente vero e in grandissima parte falso e irrilevante sub specie aeternitatis, come diceva Spinoza. Badiou è un anti-vitalista: la vera vita non può essere per lui altro che la vita eterna del Soggetto, che esiste solo quando si segue una Verità (cfr. Concetti badiousiani). Per questo lui ha ben ragione a definirsi platonico: Platone destinava all'anima umana, affine alle Idee o Forme, l'eternità che le competeva oltre qualsiasi nostalgia della vita terrena e delle nostre limitate miserie mortali. Ecco perché Nietzsche odiava Platone ed ecco perché Badiou non apprezza un granché Nietzsche, e nemmeno Deleuze e Foucault, in quanto nietzscheani.
E nemmeno io, nonostante fossi deleuziano, apprezzavo molto Nietzsche Foucault e Deleuze su questo punto. Il punto della morte. 
Fin da quando avevo iniziato a studiare Deleuze, durante il mio Erasmus a Strasburgo, il suo pensiero in fatto di morte mi era risultato estremamente oscuro. Tutta la sua filosofia, a dire il vero, era alquanto oscura ma il suo pensiero sulla morte lo era in modo particolare.
Deleuze parla di morte soprattutto in Logica del senso, tributando a Blanchot di avere detto le cose fondamentali:

la morte è a un tempo ciò che è in un rapporto estremo o definitivo con me e con il mio corpo, ciò che è fondato in me, ma anche ciò che è senza rapporto con me, l'incorporeo e l’infinito, l’impersonale, ciò che è fondato soltanto in se stesso.

Deleuze inserisce nella morte ciò che i dialettici chiamano una contraddizione: la morte mi appartiene propriamente e mi è radicalmente estranea. La contraddizione è una figura fondamentale del pensiero deleuziano, anche se lui la chiama “sintesi disgiuntiva”, un sintagma ossimorico ripreso da Kant. Di fatto si tratta della sintesi hegeliana, che unisce A e non-A in un superiore A’=B che toglie-e-conserva (Aufhebt) sia A che non-A. La duplicità inconciliabile dell'evento si manifesta in due modi:

Da un lato, la parte dell’evento che si realizza e si compie; dall’altro, “la parte dell’evento che il suo compimento non può realizzare.” Vi sono dunque due compimenti, i quali sono come l’effettuazione e la contro-effettuazione. Ed è per questo che la morte e la ferita non sono un evento come gli altri. Ogni evento è come la morte, doppio e impersonale nel suo doppio.

La morte, oltre che doppia, è qui detta incorporea, infinita, impersonale. Sono concetti che vanno ben chiarificati, se si vuole capire che cosa pensa Deleuze della morte. L'incorporeo deleuziano è il concetto stoico: gli stoici credevano che tutto fosse materiale tranne i cosiddetti incorporei (vuoto, tempo, luogo, significato). Gli incorporei stoico-deleuziani “Non sono sostantivi o aggettivi, ma verbi”, quindi, per capirci, anziché dire “la morte”, ipostatizzando, sostanzializzando, personificando, dovremmo magari dire “il morire”. Magari.
Riguardo all'infinito, poi, avevo trovato in Badiou un pensiero non romantico-intuitivo dell'infinito, pensato come insieme infinito cantoriano: sentirmi dire da Deleuze che la morte è infinito mi sembrava un pensiero oltremodo folcloristico per non dire insensato.
E veniamo all'impersonale, che è forse l'aspetto che mi interessava di più. Sempre Blanchot dice: 
Essa è l’abisso del presente, il tempo senza presente con il quale non ho rapporto, ciò verso cui non posso lanciarmi, poiché in essa io non muoio, sono decaduto dal potere di morire, in essa si muore, non si cessa e non si finisce di morire.
E Deleuze:

Quanto questo si differisce da quello della banalità quotidiana. È il si delle singolarità impersonali e preindividuali, il si dell’evento puro in cui egli muore come piove [il pleut]. Lo splendore del si è quello dell’evento stesso o della quarta persona. Ed è perciò che non vi sono eventi privati e altri collettivi; come non vi è individuale e universale, e non vi sono particolarità e generalità. Tutto è singolare e perciò collettivo e privato a un tempo, particolare e generale, né individuale né universale.

Che confusione! E non solo grammaticale, come direbbero i wittgensteiniani: a parte il fatto che in italiano non funziona, Deleuze voleva farmi credere che si possa dire “muore” come si dice “piove”? E perché mai? Che vantaggio si avrebbe per il pensiero a dire che “muore” anziché che qualcuno muore, all'occasione un mio caro o io stesso? Che garanzie mi dai, caro Deleuze? A che cosa serve questo tuo modo di pensare per un giovane come me? Mi veniva in mente ciò che disse Kostas Axelos, professore e amico di Deleuze, alla pubblicazione dell'Anti-Edipo: “tu, rispettabile professore francese, bravo sposo, eccellente padre di due bei bambini, amico fedele (...), vorresti che i tuoi allievi e i tuoi figli seguissero nella loro "vita reale" la strada della tua vita o per esempio quella di Artaud, a cui tanti scrittori si richiamano?”
Dopo questa frase Deleuze non cercò mai più Axelos.
Anche Badiou, tra l'altro, criticava il concetto deleuziano di morte: se per Deleuze la morte è l'evento per eccellenza, per Badiou un evento non ha nulla a che spartire con il negativo, la morte, la distruzione: esso è incorporea verità.
Badiou mi sembrava molto più sano di Deleuze sotto il rispetto della morte.

sabato 11 novembre 2017

Il filo d'erba (Roman Nouveau, 33)

Deleuze dice che il divenire è come la crescita del filo d'erba, che avviene al centro e non alle estremità. Questo tipo di crescita è anti-arborescente e anti-gerarchico. Così dice Deleuze, proponendo quest’immagine come modello di pensiero per il divenire, che poi per lui è doppio, in quanto manifestazione del biforcarsi dell’istante temporale verso il passato e verso il futuro.
Sto scrivendo questo libro in modo antisimmetrico al divenire del filo d’erba: l’evento centrale è la morte di mio padre, ma poiché mi è troppo faticoso giungere a narrare quell’evento, che è il cuore di tutto questo mio ricordo, ho cominciato dall’inizio e dalla fine, in modo retrogrado, sicché terminerò di scrivere quando riuscirò ad approdare al centro, il solido cuore ben rotondo della morte di mio padre.
Vero è che la narrazione bipartita tende a dilatarsi sempre più procedendo verso il doloroso medio, ma la situazione è molto meno paradossale di quella rappresentata nel Tristram Shandy, dove si crea un regresso all’infinito chiaramente unilaterale e votato a un unico esito: l’impossibilità della narrazione.
Qui la situazione è diversa: gli estremi sono narrabilissimi, e il peggio che possa accadere è che il libro rimanga monco del suo centro, che diventerebbe così una macchia cieca della vostra conoscenza del mio passato.

Ma forse questo non accadrà.

mercoledì 19 luglio 2017

Nauman è bravo ma va visto in certe condizioni (Roman nouveau, 29)


Al mattino di sabato, io e mia madre andammo a vedere la mostra di Bruce Nauman al centro Pompidou, altrimenti detto Beaubourg. Partire per Torino non potevo ancora partire. O se potevo, non sapevo di doverlo fare. Oppure sentivo di volerlo (poter) non fare. In ogni caso non partii. Gli accordi con la zia Pierina prevedevano una telefonata nel pomeriggio, per sapere se vi fossero miglioramenti o se io dovessi scendere a Torino con estrema fretta.
Ehi, ma chi è questo manichino anaffettivo al tuo fianco? Temo che si tratti di tua madre. Che cosa si agitava nella sua mente? Nella mia c’era un surreale campo di battaglia. Andare a una mostra di Bruce Nauman mentre tuo padre inizia a morire non è una cosa da ricordare con piacere.
Tuttavia Bruce Nauman è molto bravo. Ricordo soprattutto la scultura al neon dell’impiccato che ha un’erezione mentre viene strangolato dalla corda che lo uccide. Ricordo filastrocche come: eat and drink drink and piss eat and piss piss and die e simili.
Avevano che fare con la morte, quelle opere d'arte, e c’era nelle creazioni di Bruce Naumann qualcosa di vagamente confortante per il mio animo già trafitto. Quelle opere d’arte esprimevano qualcosa che mi teneva compagnia. Una cosa che ho imparato è che il pensiero della morte è anche autoconsolatorio. 
Mia madre comunque era molto meno simpatica di Nauman. La notizia della gravità del male del suo ex marito l’aveva lasciata incredula e taciturna, in ogni caso apparentemente incosciente di quale breve spazio di tempo siano due o tre giorni. Posso ammettere che lei non provasse più alcun affetto positivo per mio padre, poiché si erano separati da vent'anni: ma l’idea che morisse, con tutto ciò che questo ha poi effettivamente comportato, non avrebbe dovuto farle orrore? Nulla che somigliasse a tale sentimento fondamentale traspariva dal suo aspetto.
La rivedo ancora, abituato al suo eterno viso: un velo opaco le offusca lo sguardo incapace di futuro.

lunedì 17 luglio 2017

Maman à Paris (Roman nouveau, 28)


Il 20 febbraio 1998, mia madre arrivò a Parigi. Andai a prenderla alla Gare de Lyon e prima ancora che salissimo sul métro che ci avrebbe portati al 54 di rue de Lancry, dove abitavo con Yves, mi aveva già detto che papà era in ospedale da tre settimane. Per "una crisi di fegato”. Quando ci incamminammo ero quasi contento di sentire che papà era in ospedale: credevo che lo avrebbero salvato, e che finalmente avrebbe iniziato a curarsi.
Non è il caso di infierire contro mia madre, sull’assurdità del suo finto essere tranquilla, anche se aveva visto mio padre giallo d'ittero ricoverato per tre settimane. Neppure voglio colpevolizzarla perché non mi aveva detto nulla, lasciandomi partire tranquillo per l’Inghilterra per passare le mie stupide vacanze di fine semestre. Tuttavia… Ne riparlerò.
Salimmo sul métro che doveva condurci alla fermata Jacques Bonsergent, dove abitavo accanto a Place de la République, in una viuzza che portava dritto dritto al famoso Hotel du Nord degli amanti del film. Il mio souvenir riguarda una frase della mamma: «Però, ieri, è insorta una complicazione». Quale complicazione? Era partita prima di avere notizie, nel pomeriggio avrei dunque dovuto telefonare alla sorella di mio padre per saperne di più. Ma perché era venuta a Parigi nonostante il ricovero di papà? La sua spiegazione fu la seguente: avrebbe perso i soldi del biglietto da lungo tempo prenotato.
Io tendo a sostituire questa giustificazione assurda con il suo desiderio inconscio di informarmi di persona del ricovero di papà.
Arrivammo a casa, dove ci aspettava Yves: le presentazioni tra lui e la mamma furono coerentemente poco festose. Mi precipitai al telefono per chiamare a Torino la vecchia zia. Parlava con un tono mogioe anestetizzato: disse che papà era grave. Lo disse come se fosse la cosa più ovvia e risaputa del mondo, ma a me sembrava del tutto irreale. Avevo l'impressione paranoica che mi avessero volutamente tenuto all'oscuro delle condizioni di mio padre.
La zia disse che i medici avevano parlato di due o tre giorni. Che tipo di giorni, mi domandai? Il mio io si stava rapidamente sdoppiando in un personaggio e uno spettatore di un film con me stesso per protagonista.
Capii d’un colpo, ma con leggero ritardo, che si parlava per la prima volta – e nella mia unica esistenza – si parlava per l’eternità futura dei probabili ultimi due o tre giorni che avrebbero separato mio padre dalla sua morte.

domenica 16 luglio 2017

Fluctuat mergiturus (Roman nouveau, 27)

Che senso ha per noi la vita di una persona che amiamo? È una domanda assurda, e spesso ce la poniamo troppo tardi, quando questa persona non c’è più, o quando non ci ricordiamo quasi di lei, della sua concretezza fisica e vivente, prima banalmente quotidiana. Viviamo il flusso degli eventi e ci barcameniamo tra le cose che compongono la nostra normalità, andiamo a lavorare, usciamo con gli amici, ci innamoriamo, cuciniamo la pappa per il bambino, suoniamo il pianoforte, leggiamo un libro, sosteniamo un esame all'università e poi zacchete, quando meno ce lo aspettiamo succede qualcosa. Qualcosa di terribile che ci fa cambiare prospettiva sul mondo e sulla vita. Qualcosa che ci lascia senza fiato, distrutti, schiacciati, sporchi, esausti, dimentichi di tutto quello che prima era l’orizzonte della nostra speranza.
La morte giunge nelle nostre vite ed è sempre un uragano contro il quale nessun allarme vale. Siamo fuscelli nell’oceano, strappati da un albero di cui non ricordiamo nulla. Fluttuiamo ignari in una vastità terribile.

martedì 13 giugno 2017

Pixies, Un'onda di mutilazione (Wave of mutilation)

Basta resistere, ecco il mio addio
Guido l'auto nell'oceano
Penserai che io sia morto, invece navigo lontano
Su un'onda di mutilazione
Un'onda di mutilazione
Un'onda
Un'onda

Ho baciato le sirene, cavalcavo El Nino
Camminavo sulla sabbia insieme ai crostacei
Ho trovato la strada per Mariana
Su un'onda di mutilazione
Un'onda di mutilazione
Un'onda di mutilazione
Un'ondaUn'onda
Un'onda di mutilazione
Un'onda di mutilazione
Un'onda di mutilazione
Un'ondaUn'onda



Cease to resist, giving my goodbye
Drive my car into the ocean
You'll think I'm dead, but I sail away
On a wave of mutilation
A wave of mutilation
Wave of mutilation
Wave
Wave

I've kissed mermaids, rode the El Nino
Walked the sand with the crustaceans
Could find my way to Mariana
On a wave of mutilation
Wave of mutilation
Wave of mutilation
Wave
Wave
Wave of mutilation
Wave of mutilation
Wave of mutilation
Wave
Wave

martedì 16 maggio 2017

Post lauream animal triste (Roman nouveau, 1)

Il giorno della mia laurea a Pavia ero più triste che contento.
Mi sollevava avere finalmente terminato un lavoro assurdo di scrittura, durante il quale il mio relatore non mi aveva seguito neanche il tempo di un tè pomeridiano (un privilegio riservato alle studentesse, della cui compagnia l’anziano professore era avido).
Anche se ero contento per il lavoro, terminato in condizioni non ottimali - avevo scritto nella casa paterna, bevendo tutti i giorni molta birra - percepivo una cupa pesantezza proiettata sulla scena da mio padre, taciturno e impenetrabile come non mai. Non era da lui quel tacere. Non volevo sapere che era malato.
Quando la discussione della tesi fu terminata (ma avevo cercato di affrettare la fine accennando ad alzarmi senza rispondere alle domande dei relatori) mi sembrava che l'evento non avesse proprio alcun senso.
Uscimmo dall'aula e il fotografo che ci aveva convinti ad affidarci a lui cominciò a fotografare sulle scale il gruppo di amici e parenti. Passò allora Mario Vegetti, il famoso grecista, che ci disse di andare a fotografarci fuori dall'edificio: “con i bellissimi chiostri che abbiamo!" Provai molta vergogna, come se la responsabilità fosse mia, ma poi mi dissi che forse avrebbe potuto pensarci qualcun altro. Per esempio mio padre.
La vergogna che provai per quelle brutte fotografie di una brutta laurea è registrata nella mia foto ufficiale: sono davanti a un pozzo in muratura al centro del chiostro. Ho gli occhi chiusi e sono un po' inclinato di lato come un omino di Chagall.
Mio padre e gli zii non si fermarono per la cena, diversamente da ciò che speravo e trovavo normale dovessero fare. Anche mia madre, che da vent'anni era separata da mio padre, tornò in Piemonte con gli altri. Quando i parenti furono tutti partiti mi sentii triste e stanco e per reagire decisi di cominciare a telefonare a Strasburgo, dove avevo fatto l'Erasmus, per trovare un professore che mi prendesse sotto la sua tutela per il Diplôme d'Etudes Approfondies. 
Era il 24 giugno 1997 e da quel momento non mi fermai più un istante. Fino alla morte di mio padre.

venerdì 17 febbraio 2017

Paul Simon, Il lupo mannaro (Stranger to stranger, 2016). Mia traduzione (in progress).



https://www.youtube.com/watch?v=uBtXYoYiSdM&feature=youtu.be

Il tizio di Milwaukee condusse una vita dignitosa
Visse dignitosamente, ebbe una moglie dignitosa
Lei lo uccise. Ah, quel coltello da sushi!
Ora si compreranno un aldilà dignitoso

Il lupo mannaro sta arrivando

Il fatto è che molti necrologi sono dei resoconti eterogenei
La vita è una lotteria, un sacco di gente perde
E i vincitori, che sogghignano coi loro occhi color-dei-soldi
Mangiano tutto e ordinano le patatine extra

Il lupo mannaro sta arrivando (patatine extra)
Il lupo mannaro sta arrivando. Il lupo mannaro sta arrivando, il lupo mannaro sta arrivando, sì, Il lupo mannaro sta arrivando

La sento ululare, ringhiare sulle colline
Il lupo mannaro sta arrivando, Bill

Ignoranza e arroganza, un dibattito nazionale
Metti la lotta a Las Vegas, c'è uno sbarramento da un miliardo
di dollari: tv a pagamento, dovrebbero essere abbastanza in buona salute
Le produzioni usuali, e tutto va ai ricchi

Eppure, il lupo mannaro sta arrivando
Eh, Il lupo mannaro sta arrivando

Non mi sto lamentando, anzi, è proprio il contrario, amico mio.
So che sta piovendo, ma stiamo arrivando alla fine
Del mondo, della menzogna e dello spionaggio
Oh, non mi conosci?
OK, anch'io non ti conosco  

Il lupo mannaro sta arrivando. Il lupo mannaro sta arrivando
Il lupo mannaro sta arrivando e il Il lupo mannaro sta arrivando
Anche il lupo mannaro sta arrivando



***

Milwaukee man led a fairly decent life
Made a fairly decent living, had a fairly decent wife
She killed him. Ah, sushi knife
Now they're shopping for a fairly decent afterlife

The werewolf is coming

The fact is most obits are mixed reviews
Life is a lottery, a lotta people lose
And the winners, the grinners with money-colored eyes
Eat all the nuggets, then they order extra fries

The werewolf is coming. (Extra fries)
The werewolf is coming. The werewolf's coming, the werewolf's coming, yes, the werewolf is coming

I hear her howling, prowling on the hills
The werewolf's coming, Bill

Ignorance and arrogance, a national debate
Put the fight in Vegas, that's a billion dollar gate
Revenues: pay per views, it should be pretty healthy
The usual productions, and it all goes to the wealthy

Still, the werewolf's coming
Eh, the werewolf's coming

I'm not complaining, just the opposite my friend
I know it's raining, but we're coming to the end
Of the world, of the lyin' and the spyin' through
Oh, you don't know me?
OK, I don't know you, too

The werewolf's coming. Werewolf's coming up
The werewolf's coming, and the The werewolf's coming
The werewolf is coming, too

I hear her howling, prowling on the hills
The werewolf's coming Bill

You better stock up on water, canned goods off the shelves
And loot some for the old folks who can't loot for themselves
The doorbell's ringing, could be the elves
But it's probably the werewolf. It's quarter to twelve
And when it's midnight, and the wolf bites

It's a full moon, she really got the appetite
The werewolf's coming
(The werewolf, the werewolf)
The werewolf's coming
(The werewolf, the werewolf)

mercoledì 18 novembre 2015

Preghiera ai vivi per perdonarli di essere vivi, di Charlotte Delbo

Prière aux vivants pour leur pardonner d’être vivants

Vous qui passez
bien habillés de tous vos muscles
un vêtement qui vous va bien
qui vous va mal
qui vous va à peu près
vous qui passez
animés d’une vie tumultueuse aux artères
et bien collée au squelette
d’un pas alerte sportif lourdaud
rieurs renfrognés, vous êtes beaux
si quelconques
si quelconquement tout le monde
tellement beaux d’être quelconques
diversement
avec cette vie qui vous empêche
de sentir votre buste qui suit la jambe
votre main au chapeau
votre main sur le coeur...
la rotule qui roule doucement au genou
comment vous pardonner d’être vivants...
Vous qui passez
bien habillés de tous vos muscles
comment vous pardonner
ils sont morts tous
Vous passez et vous buvez aux terrasses
vous êtes heureux elle vous aime
mauvaise humeur souci d’argent
comment comment
vous pardonner d’être vivants
comment comment
vous ferez-vous pardonner
par ceux-là qui sont morts
pour que vous passiez
bien habillés de tous vos muscles...
que vous buviez aux terrasses
que vous soyez plus jeunes chaque printemps
je vous en supplie
faites quelque chose
apprenez un pas
une danse
quelque chose qui vous justifie
qui vous donne le droit
d’être habillé de votre peau de votre poil
apprenez à marcher et à rire,
parce que ce serait trop bête
à la fin
que tant soient morts
et que vous viviez
sans rien faire de votre vie.

(Charlotte Delbo)


Ringrazio Isabella Mattazzi per avermi fatto scoprire, oggi, Charlotte Delbo (1913-1985).

mercoledì 4 novembre 2015

Le unghie di Deleuze (racconto del 1998)

Gilles Deleuze era un gran filosofo francese che non si tagliava mai le unghie, infatti le aveva lunghe e arrotolate verso il dentro: aveva come dei riccioli di unghia davanti a ciascun dito. Questa cosa non doveva essere comodissima, suonare il piano per esempio gli sarebbe stato impossibile, o masturbarsi faticoso. Ma lui aveva scelto così e tutti i filosofi colleghi lo criticavano, per esempio il più grande filosofo vivente Jacques Derrida mi hanno detto che criticava Deleuze per le sue unghie.
Deleuze si opponeva a tutte le istituzioni, era un ribelle. Le unghie lunghe secondo me erano per lui innanzitutto un fatto di opposizione all'istituito. Mi rendo conto che come ribellione pare piccola, ma per un pensatore hanno importanza e senso anche le cosette. E comunque non bisogna fare come se le istituzioni fossero una cosa innocente, perché quando si tocca il proprio corpo per presentarlo, quando ci si veste e ci si acconcia, ci stiamo già confrontando col Sistema.
Talvolta ho le unghie un po' troppo lunghe, e me ne accorgo con vergogna, corro subito a tagliarle o così vorrei fare. Ma passano sempre due o tre giorni prima che riesca a farlo per davvero, perché non siamo completamente padroni in casa nostra.

Avendo i polmoni ormai irrimediabilmente malati, Gilles Deleuze si è defenestrato dalla sua casa parigina il 4 novembre 1995. Me lo ricordo bene perché ero a Strasburgo e lo stesso giorno hanno sparato a Rabin l’israeliano. Non so se Deleuze ha fatto in tempo a sapere di Rabin, o viceversa, ma tendo a credere che non sia possibile.
Il giorno che Deleuze si è suicidato e Rabin è stato ucciso ho pensato così: se il buddismo dicesse il vero, dopo la morte l’anima si reincarna in altri corpi, allora perché non nel mio? Ho iniziato a convincermi che poiché sentivo uno strano formicolio alla mente ed ero eccitato, questo voleva dire qualcosa, era un segno della metempsicosi: era Gilles Deleuze che mi aveva scelto e veniva a reincarnarsi da me, almeno un pezzetto.
Avrei potuto immaginarmi che magari anche l’anima dell’israeliano Rabin si fosse teletrasportata fino a me, ma dell’anima di Rabin non me ne importava nulla.

Come per Deleuze, anche quando ho visto mio padre steso morto sul lettino della cella frigorifera ho pensato che io ero divenuto il custode del suo spirito, la sua scatola materiale, ma soltanto perché ero fuori di senno. Inoltre, se nel caso di Deleuze pensavo di essere il soggetto di una reincarnazione parziale, cioè: un frammento dell’anima di Deleuze era entrata in me, nel caso dell’anima di mio padre ritenevo che si trattasse dell’anima intera, come un’eredità di padre in figlio.

Quest’anno insegno filo e storia al liceo, e una delle cose più belle che ho ripassato, e che mi ero scordato, è che per gli stoici, ma anche per gli epicurei e Tertulliano, l’anima è corpo.

La filosofia di Gilles Deleuze si basa sul concetto di divenire e su quello di evento. Per lui non ci sono cose stabili, la realtà fluisce perennemente, come per Eraclito, però non è tutto conflittuale e casuale, ma ogni cosa che accade ha una sua intensità dinamica e interiore, e questo ne fa una monade razionale-affettiva. In effetti per Deleuze è come se le cose fossero vive, e io tra le cose.
Ecco quello che credevo di avere imparato da Deleuze: bisogna sganciare la paura, guardare forte l'Essere, quel mare sociale, e lasciare alle spalle i preconcetti. Pensa, impara a sapere veramente, ascolta l'Essere che ti parla per bocca della storia delle forme, cristallizzate in proiezioni sul grande schermo Sistema-Terra, abbatti il Capitalismo, fagli schizzare la merda fuori dal cranio, spezzagli le ossa, non ripetere interpreta, non limitarti a interpretare trasforma, cambia tutto agisci su te stesso manipola il capitalismo universale inventa nuovi stili di pensiero crea la rivoluzione per i fratelli proletari planetari critica le istituzioni contesta i professori rinuncia a trenta e lode insulta il funzionario fatti cacciare dal Collegio sputtanati la testa leggi un sacco di libri rinuncia a capire quel che leggi scrivi il tuo Libro lasciaLo perdere smetti di leggere.
Ogni rivoluzione è una riforma ogni riforma è una rivoluzione l'uomo alberga in sé quel che si chiama donna la donna è anche uomo, la filosofia è cacca silenziosa e cieca.

L'uno è nulla.
Il Due è Tutto.

mercoledì 21 gennaio 2015

Roman nouveau, 4

Dopo la morte di mio padre la filosofia non mi interessava più, o peggio mi appariva inutile e stupida. Non riuscivo più a studiare. Supponevo però che fosse in qualche modo ancora la mia strada, non tanto perché io mi sentissi particolarmente intelligente o portato per il lavoro intellettuale (i miei risultati universitari non erano stati mediocri ma nemmeno eccellenti: mancava sempre qualcosa perché i professori vedessero in me una promessa anziché semplicemente un giovane in gamba), quanto perché abbandonarla avrebbe voluto dire inventarsi un’altra vita. Non mi sentivo proprio di inventarmi un'altra vita, dopo la morte di mio padre.
A dire il vero i concetti filosofici continuavano a piacermi, come dovrebbero piacere a tutti quelli che studiano filosofia. Studiandoli e comprendendoli mi pareva di essere forte, quando li capivo, mi pareva di essere potente, di partecipare al concetto splendido che stavo leggendo e comprendendo.