Mi disse, dunque, mio padre: CHE VITA DEL CAVOLO.
Dopo quelle poche parole, preso dal delirio dell’infezione letale, non mi guardava più e aveva tirato fuori prendendolo da qualche parte il suo orologio da polso, tentando di regolarlo.
Al dito indice della mano destra esibiva un sensore medico che sembrava un ditale gommoso (in un remotissimo passato avevo visto un oggetto simile: mio padre si dilettava con i modelli volanti di aeroplano e per avviare l'elica occorreva una robusta guaina digitale gommosa). Ogni movimento doveva essergli difficile, remoto, pesante, espropriato com'era delle sue membra, mai percosse da nemici.
Le sue dita facevano pena.
Volevo aiutarlo a ricaricare l’orologio per compiere quella cerimonia senza speranza, senza bellezza, senza riparo né senso, ma mio padre disse affannato che voleva farlo lui, con aria offesa: doveva farlo lui, voleva evidentemente poterlo ancora fare.
Era inaspettatamente tardi, e quel gesto non gli fu possibile.
Quel gesto di libertà sarebbe stato di gran lunga il migliore che gli si potesse concedere. Nessuno pensava di poter pretendere di più.
Io volevo, e quanto!, che papà fosse sano a tal punto da poter mettere in sesto la sua piccola macchina del tempo, uno dei suoi tanti orologi. Ma dovetti ingoiare l'umiliante sofferenza di vederlo desistere persino da così poco.
Papà non volle che lo aiutassi: poiché, diceva, aveva spostato inavvertitamente le lancette, con le dita che vedevo grosse di malattia, non riusciva a dimostrarmi (tuttavia continuando a sprecare in imperdonabili quisquilie il tempo istantaneo che ci era concesso) che poiché l’ora non corrispondeva a quella segnata sull’agenda elettronica (nessuna agenda elettronica era lì visibile) ciò doveva necessariamente significare che lui si era addormentato senza cognizione delle ore passate.
A quel punto la sua coscienza fu totalmente offuscata ed ebbe inizio il suo delirio. Non avrei mai più scambiato una sillaba sensata con lui oltre a queste: “buona notte, ci vediamo domani”.
Papà rispose di sì, e fu il nostro addio.
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