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lunedì 10 febbraio 2014

Depressione, musica, postmodernismo, creazione

Questo doveva essere un post sulla depressione meteoropatica. Invece si è trasformato nell'ampliamento di una vecchia bozza, scritta a dicembre mentre terminavo la mia tesi di dottorato. Vi stavo spiegando la mia attrazione per la musica di Nico Muhly, che ho recentemente scoperto. Ne parlo subito dopo.
Il punto importante è che anziché scrivere sulla depressione ho cominciato ad ascoltare la musica di Muhly e da lì mi sono spostato su Alva Noto e i suoni elettronici mi hanno fatto passare l'accenno di depressione.
I suoni elettronici sono un oggetto musicale estremamente interessante, e ancora misterioso: dagli anni '50 sappiamo produrre onde sonore assenti "in natura", eppure, che io sappia, non esiste ancora una teoria musicologica e/o cognitiva capace di spiegare l'effetto che tali suoni hanno su di noi. Poiché essi si accompagnano sempre ai vecchi parametri musicali, probabilmente un'indagine sperimentale accurata scoprirebbe che ciò conta sono sempre i cari vecchi ritmo, velocità, registro, ecc.
Per il timbro, come noto, non c'è una teoria cognitiva in grado di spiegarne l'effetto, ma soltanto dei tentativi parziali.

E ora veniamo a Muhly. Il post è in via di scrittura, come tutto ciò che scrivo, del resto

***

Il mio ideale musicale è una specie di postmodernismo non manieristico, colto intelligente e fruibile, musica per le masse (come le vorrei io).

La musica di Mhuly è un flusso discreto che punta a una sperimentazione perfattamente rilevante, alla pura ascoltabilità dell'oggetto musicale.
La dimensione strutturante sembra essere quella melodica (violino e archi), nonostante le sovrapposizioni di molti timbri.

Consideriamo Drones, due dischi composti a partire da un medesimo materiale abbastanza semplice, nella versione per pianoforte e archi (Drones and piano) e nela versione per violino solo (Drones and violin).

La violenza avanguardistica sembra assente, quasi si trattasse di una via d'uscita dal Novecento. La sua musica sembra sempre molto "naturale", come se non perdesse di vista mai l'ascoltatore (è questo un desideratum del musicologo Fred Lerdahl). Una metamorfosi continua e logica, e tuttavia sempre vivente, nuova e imprevedibile.
Sembra quasi che io stia parlando della Musica in generale, ed infatti è così: Muhly mi pare essere un ottimo paradigma di ciò che può l'umanità alle prese coi suoni, dentro e fuori dalle determinazioni sociali e culturali.
Se un marziano scendesse sulla Terra e chiedesse di fargli incontrare un musicista vivente, cercherei sicuramente di mandarlo da Muhly.



[Aggiungere: l'atto creativo secondo Deleuze]