Oggi sono andato a Mirafiori al seguito di un amico giornalista che scrive quotidianamente della vertenza Fiat.
Io abito a Torino ma non è detto che tutti i torinesi seguano da vicino la vicenda Fiat, perciò, quando il mio intelligente amico mi ha proposto di accompagnarlo, ho pensato che era l’occasione per vedere coi miei occhi il cancello che avevo visto soltanto nei film e documentari che parlavano di altre lotte e altri anni.
Davanti al cancello c’è una piccola folla un po’ surreale, un po’ felliniana, di giornalisti di tutte le testate con cameramen forniti di videocamere e microfoni di varie dimensioni e sindacalisti di tutte le sigle per il NO al referendum.
I sindacalisti fanno comizi abbastanza altisonanti e stonati rispetto alla situazione, mentre alcuni operai oltrepassano il cancello e si avviano al loro turno. Questi non parlano volentieri con i giornalisti (ma va?). Poi arrivano quelli che escono dal turno precedente, e man mano che si allontanano vengono braccati per le interviste, si allontanano anche di aprecchi metri prima di accettare di scambiare qualche parola (all’inviato del Tg2 non importa palesemente un cazzo, porge domande con tono stupido e irritante e nessuno lo caga).
Io ascolto molti discorsi un po’ in disparte, un po’ a disagio, mi sento mezzo compagno e mezzo voyeur, gli operai mi scambiano di sicuro per un giornalista e forse anche i giornalisti sospettano che io sia un collega ignoto.
Dopo aver sentito lo sconforto di un'operaria intervistata che dice che qui è solo l'inizio ma poi la stessa sorte toccherà a tutte le altre aziende mi viene quasi da piangere per questa lucida coscienza: gli operai sanno benissimo di essere vittime sacrificali, alcuni reagiscono con rabbia ma molti, forse i più, con rassegnazione.
Questa notte alle 22 inizia il referendum in fabbrica.
A me è venuta la depressione
***
11 luglio 2012
Aggiornamento dopo la visione del film di Jacopo Chessa, L'accordo, proiettato ieri sera a Torino, alla Fondazione Mirafiori.
Il film di Jacopo documenta benissimo la molteplicità dei punti di vista sul cosiddetto accordo, che i più bellicosi tra i sindacalisti chiamano retoricamente "il ricatto".
Molti operai ritenevano di non avere alternative, di dover firmare per l'estremo tentativo (poi disatteso) di sbloccare l'investimento da un miliardo necessario a salvare Mirafiori; costoro rifiutavano giustamente di essere considerati vili, stupidi o traditori: facevano semplicemente una diversa analisi dei costi-benefici rispetto alla situazione complessiva. Non è lecito considerarli dei puri egoisti, perché in una situazione collettiva nessuno può ragionare in maniera puramente egoistica.
Gli operai iscritti alla FIOM che presenziavano alla proiezione, alla fine hanno detto che ovviamente la vittoria del sì non ha portato lo sperato investimento di un miliardo, e che ci sono attualmente operai che in un anno hanno lavorato soltanto 17 giorni, il resto cassa integrazione (con perdite anche di 12mila euro annui).
Ma la domanda è: se avesse vinto il no sarebbe cambiato molto?
La lotta contro questo intollerabile stato di cose ingiusto e imputridito, non andrà fatta da un'altra parte, con altri mezzi, e al limite anche da altri soggetti?
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11 luglio 2012
Aggiornamento dopo la visione del film di Jacopo Chessa, L'accordo, proiettato ieri sera a Torino, alla Fondazione Mirafiori.
Il film di Jacopo documenta benissimo la molteplicità dei punti di vista sul cosiddetto accordo, che i più bellicosi tra i sindacalisti chiamano retoricamente "il ricatto".
Molti operai ritenevano di non avere alternative, di dover firmare per l'estremo tentativo (poi disatteso) di sbloccare l'investimento da un miliardo necessario a salvare Mirafiori; costoro rifiutavano giustamente di essere considerati vili, stupidi o traditori: facevano semplicemente una diversa analisi dei costi-benefici rispetto alla situazione complessiva. Non è lecito considerarli dei puri egoisti, perché in una situazione collettiva nessuno può ragionare in maniera puramente egoistica.
Gli operai iscritti alla FIOM che presenziavano alla proiezione, alla fine hanno detto che ovviamente la vittoria del sì non ha portato lo sperato investimento di un miliardo, e che ci sono attualmente operai che in un anno hanno lavorato soltanto 17 giorni, il resto cassa integrazione (con perdite anche di 12mila euro annui).
Ma la domanda è: se avesse vinto il no sarebbe cambiato molto?
La lotta contro questo intollerabile stato di cose ingiusto e imputridito, non andrà fatta da un'altra parte, con altri mezzi, e al limite anche da altri soggetti?