E’ tutta, In ogni umano stato, ozio la vita, Se quell’oprar, quel procurar che a degno Obbietto non intende, o che all’intento Giunger mai non potria, ben si conviene Ozioso nomar. (Giacomo Leopardi)

lunedì 19 marzo 2018

Il desiderio di paternità

Quand'ero piccolo mio padre mi raccontava di avere tanto desiderato diventare padre. La cosa mi lasciava abbastanza indifferente, poiché un bambino non ha interesse a penetrare la psicologia dei suoi genitori, anche quando costoro, forse sbagliando, ve lo invitino. Tuttavia non mi pareva che vi fosse nulla di strano in questo presunto desiderio di paternità esibito da mio padre.
In età adulta mi sono invece accorto che il desiderio di paternità non esiste. È vero che anche la consistenza del desiderio di maternità è stato messo in discussione da certe teoriche culturaliste, ma mi pare che il dibattito sia ancora aperto.
Riflettendo sulla mia esperienza concreta mi sento invece di poter dichiarare guerra al dubbio concetto di desiderio di paternità. 
I maschi che dichiarano di voler diventare padri non fanno che assecondare il loro desiderio di creare un alter-ego a loro immagine e somiglianza, di eternare se stessi per un fondamentale narcisismo maschile. Penso proprio che non essere implicati fisicamente nella gravidanza e nel parto ponga il genitore maschio in una posizione molto astratta, che difficilmente può pensarsi correlata a un autentico desiderio: si può desiderare di essere padre, ossia occuparne il ruolo, ma non di diventarlo. 
Essere-padre è una condizione imprevedibile cui si giunge con l'evento-nascita, ossia con un salto ontologico nel vuoto, con l’attualizzazione di un mondo possibile, o il passaggio da un mondo a un altro. Un uomo può effettivamente desiderare di somigliare al proprio padre diventando padre a sua volta, ma questo significa qualcosa di differente da ciò che si intende normalmente con “desiderio di paternità”: non è un desiderio con un oggetto (il figlio) bensì un’intenzione ego-riferita: “voglio assumere la posizione del Padre, voglio imitare e sostituire mio padre”.
Quando una donna desidera un figlio, desidera un figlio: non tanto “diventare madre”, quanto piuttosto dar vita a una creatura, generarla nel proprio ventre, sentirla animarsi, crescere, prendere forma e finalmente separarsi dal suo corpo per diventare un individuo idealmente autonomo. Per la madre l'evento della nascita è fisicamente immanente, per il padre è trascendente, non avendo luogo nel suo corpo (è dunque meta-fisico). Non dico che ogni donna desiderosa di maternità abbia una rappresentazione mentale chiara e distinta della catena causale che porta dal desiderio al figlio, ma mi pare innegabile che una maggior dose di autocoscienza generativa sia implicita nella mente femminile rispetto a quella maschile.
Questo discorso risente forse di una distinzione tra sessi troppo assoluta, e glissa del tutto sulla non coincidenza della differenza sessuale con la differenza di genere. Forse ho già affermato troppo rispetto a quanto io davvero non possa fare senza cadere in quella sicumera filosofica propria di tanti filosofi contemporanei. È una sicumera che detesto, dunque faccio ammenda e torno sui miei passi, limitandomi a dire ciò che so della condizione paterna per mia esperienza e riflessione personale. 
Credo che un uomo che non si senta ancora all'inizio della vecchiaia, e che dunque non pensi all'approssimarsi della morte, il cui pensiero può parere più temibile qualora non si abbiano eredi, non possa desiderare realmente di procreare un figlio da una donna.
Nella nostra società un uomo desidera “possedere” la donna che ama, come dice la lingua italiana, ma in questo possesso reiterato e sperabilmente infinito l'idea di procreare un figlio non figura come effetto necessario né come causa adeguata (del prolungamento) dell'amore. Spesso viene anzi percepito come un possibile ostacolo all'amore, dato che gli individui contemporanei sono egocentrati narcisisti e vogliono tendenzialmente ampliare le loro possibilità vitali, non certo restringerle.
Mi rivolgo dunque a te, amico padre che mi leggi: non sentirti in colpa se non hai desiderato il tuo divenire-padre, perché nella moderna società alienata è difficile rendersi conto che c'è dell'altro oltre al godimento personale. Del resto, se sei diventato padre o lo stai diventando sai benissimo di che cosa parlo: quando la tua compagna ti ha annunciato di essere incinta, che tu te l’aspettassi oppure no, avrai probabilmente fatto un sobbalzo, provando qualcosa di simile a una gioia onnipotente, e poi avrai detto a te stesso qualcosa come: “che il cielo ce la mandi buona!”.
Proprio questo dobbiamo fare, noi padri: sperare di essere all’altezza dell’Evento su cui si fonda la nostra nuova vita.