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mercoledì 11 gennaio 2012

TEMA SU RINO GAETANO (1998)

Svegliandoti al mattino dopo una serata di moderata ma faticosa baldoria, ti potrà una volta accadere di accorgerti che la musica di Rino Gaetano sia stranamente compatibile con i tuoi umori, anzi quasi ad essi destinata.
Da dove mai proviene l'insospettata facoltà di blandire le tue viscere intorcicate dai bagordi alcolici? Per quale motivo compete a quei testi e a quelle melodie apparentemente banali di farti vibrare di una contentezza che ti sentiresti disposto a pagare un prezzo non irrisorio? Vediamo nel dettaglio.
E cantava le canzone che sentiva sempre allu mare è la nostra canzone preferita dell’Autore. Volentieri ne avremmo riportato il testo, ma purtroppo non ci è disponibile, pazienza.
I personaggi sono, nell'ordine: un emigrante che parte via mare, portando "le provviste e pacchi di riviste"; un mercenario "con un figlio da sfamare ed un nemico a cui sparare"; un produttore "con un film da girare ed un'azienda da salvare".
I tre sono accomunati dal nome della misteriosa Bice, che rispettivamente appare come: (1) ritratta in una fotografia in possesso dell'emigrante, "bella come un'attrice"; (2) amata dal mercenario (o meglio: l'uomo d'arme vorrebbe amarla ancora); (3) ipostatizzata dal produttore come paradigma estetico dell'attrice che egli va cercando oltremare.
I personaggi, imbarcati forse, presumibilmente, sulla stessa nave, cantavano le canzone (si ponga attenzione la variante meridonalistica del plurale) che sentivano sempre allu mare.
Ma chi è Bice? Chi sono costoro? Penseremmo a una certa qual distanza temporale fra i tre: il soldato di ventura richiama alla mente il medioevo; l'emigrante e il produttore richiamano per canto loro un periodo storico abbastanza indeterminato che potrebbe estendersi dall'inizio del secolo scorso fino al dopoguerra.
Il trapasso inavvertito da un personaggio all'altro ricorda inequivocabilmente Les fleurs bleues di Raymond Queneau (ignoriamo se Gaetano conoscesse il testo di Queneau, ma propendiamo per il sì): si tratta dello stesso individuo situato immaginosamente in tre diversi mondi possibili, oppure siamo qui di fronte a personaggi diversi e totalmente indipendenti? Noi sospettiamo che sotto le spoglie dell'emigrante ecc..., protagonisti della bellissima canzone del cantante calabrese, si riveli una stessa essenza umana stereotipizzata, per non dire universale: l'Uomo Innamorato Alle Prese Con Le Insostenibili Condizioni Di Vita Della Società Capitalista.
In questo orizzonte di lettura, con un salto teorico a livello extratestuale, la stessa morte in motocicletta [in realtà in automobile, n.d.r.] dell'autore non andrebbe più considerata come un incidente insensato, bensì come coerente mossa esiziale di rivolta. Rivolta, of course, d'afflato planetario epocale, che non potrebbe assolutamente confondersi con un’individualistica quanto sterile ribellione, del tipo del quale si vedono ormai troppe occorrenze in questi tempi di disordine sociale e di sempre periclitante coscienza dei fondamentali diritti umani. In questo senso, non esitiamo a rintracciare nella figura e nell’opera di Rino Gaetano un modello di pensiero e di comportamento validissimo per i tempi a venire, che non esiteremmo a chiamare il Paradigma Gaetano.

Nota: A lungo si è ignorato che il famoso scrittore Edoardo Acotto scoprì la canzone del maestro Gaetano qui analizzata, in una sera di primavera del 1998, in occasione di una festa a casa delle sorelle Bracciolino (un'arpa svettava nel centro della stanza dove si teneva la festa). In quell'occasione Acotto, che in seguito si sarebbe brevemente fidanzato con Ada Bracciolino, fu come folgorato da E cantava le canzone, specialmente per la decisiva componente ritmica della canzone. Fu un'epifania, un momento privilegiato del quale Edoardo non capì mai il senso, ma che lasciò tracce indelebili e facilmente riconoscibili nella sua successiva produzione artistica e letteraria. Era quella la prima uscita pubblica di Acotto dopo l'improvvisa morte del padre: per l'occasione, aveva brandito le forbici e si era tagliato da solo i capelli, guardandosi allo specchio. Aveva imparato la possibilità di quel gesto - a metà tra autoconservazione e autodistruzione - dall'amico Marco Cartelli, il quale a sua volta aveva perso il padre quando aveva diciotto anni.