Svegliandoti
al mattino dopo una serata di moderata ma faticosa baldoria, ti potrà
una volta accadere di accorgerti che la musica di Rino Gaetano sia
stranamente compatibile con i tuoi umori, anzi quasi ad essi destinata.
Da
dove mai proviene l'insospettata facoltà di blandire le tue viscere
intorcicate dai bagordi alcolici? Per quale motivo compete a quei testi e
a quelle melodie apparentemente banali di farti vibrare di una
contentezza che ti sentiresti disposto a pagare un prezzo non irrisorio? Vediamo nel dettaglio.
E cantava le canzone che sentiva sempre allu mare
è la nostra canzone preferita dell’Autore. Volentieri ne avremmo
riportato il testo, ma purtroppo non ci è disponibile, pazienza.
I
personaggi sono, nell'ordine: un emigrante che parte via mare, portando
"le provviste e pacchi di riviste"; un mercenario "con un figlio da
sfamare ed un nemico a cui sparare"; un produttore "con un film da
girare ed un'azienda da salvare".
I
tre sono accomunati dal nome della misteriosa Bice, che rispettivamente appare come:
(1) ritratta in una fotografia in possesso dell'emigrante, "bella come
un'attrice"; (2) amata dal mercenario (o meglio: l'uomo d'arme vorrebbe
amarla ancora); (3) ipostatizzata dal produttore come paradigma estetico dell'attrice che egli va cercando oltremare.
I personaggi, imbarcati forse, presumibilmente, sulla stessa nave, cantavano le canzone (si ponga attenzione la variante meridonalistica del plurale) che sentivano sempre allu mare.
Ma
chi è Bice? Chi sono costoro? Penseremmo a una certa qual
distanza temporale fra i tre: il soldato di ventura richiama alla mente
il medioevo; l'emigrante e il produttore richiamano per canto loro un
periodo storico abbastanza indeterminato che potrebbe estendersi
dall'inizio del secolo scorso fino al dopoguerra.
Il trapasso inavvertito da un personaggio all'altro ricorda inequivocabilmente Les fleurs bleues
di Raymond Queneau (ignoriamo se Gaetano conoscesse il testo di
Queneau, ma propendiamo per il sì): si tratta dello stesso individuo
situato immaginosamente in tre diversi mondi possibili, oppure siamo qui
di fronte a personaggi diversi e totalmente indipendenti? Noi
sospettiamo che sotto le spoglie dell'emigrante ecc..., protagonisti
della bellissima canzone del cantante calabrese, si riveli una stessa
essenza umana stereotipizzata, per non dire universale: l'Uomo
Innamorato Alle Prese Con Le Insostenibili Condizioni Di Vita Della Società Capitalista.
In
questo orizzonte di lettura, con un salto teorico a livello
extratestuale, la stessa morte in motocicletta [in realtà in automobile, n.d.r.] dell'autore non andrebbe
più considerata come un incidente insensato, bensì come coerente mossa
esiziale di rivolta. Rivolta, of course, d'afflato planetario
epocale, che non potrebbe assolutamente confondersi con
un’individualistica quanto sterile ribellione, del tipo del quale si
vedono ormai troppe occorrenze in questi tempi di disordine sociale e di
sempre periclitante coscienza dei fondamentali diritti umani. In
questo senso, non esitiamo a rintracciare nella figura e nell’opera di
Rino Gaetano un modello di pensiero e di comportamento validissimo per i
tempi a venire, che non esiteremmo a chiamare il Paradigma Gaetano.
Nota:
A lungo si è ignorato che il famoso scrittore Edoardo Acotto scoprì la
canzone del maestro Gaetano qui analizzata, in una sera di primavera del
1998, in occasione di una festa a casa delle sorelle Bracciolino
(un'arpa svettava nel centro della stanza dove si teneva la festa). In quell'occasione Acotto, che in seguito si sarebbe brevemente fidanzato con Ada Bracciolino, fu come folgorato da E cantava le canzone, specialmente per la decisiva componente ritmica della canzone. Fu
un'epifania, un momento privilegiato del quale Edoardo non capì mai il
senso, ma che lasciò tracce indelebili e facilmente riconoscibili nella
sua successiva produzione artistica e letteraria. Era
quella la prima uscita pubblica di Acotto dopo l'improvvisa morte del
padre: per l'occasione, aveva brandito le forbici e si era
tagliato da solo i capelli, guardandosi allo specchio. Aveva imparato la
possibilità di quel gesto - a metà tra autoconservazione e
autodistruzione - dall'amico Marco Cartelli, il quale a sua volta aveva perso il padre quando aveva diciotto anni.
2 commenti:
Gaetano non era in moto, ma in auto.
Già, me l'hanno detto ma non lo sapevo, l'ho sempre immaginato in moto. Dovrò togliermi un voto
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