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sabato 10 novembre 2012

Lettera aperta ad ALBA (Soggetto Politico Nuovo), di Rinaldo Locati

Poco tempo dopo la mia lettera aperta ai militanti di ALBA, ricevo e pubblico volentieri una lettera aperta di Rinaldo Locati, già primo coordinatore torinese del Soggetto Politico Nuovo, insieme al sottoscritto.
Lascio ogni considerazione ai lettori.

SBILANCIAMOCI
OVVERO: UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DI ALBA

Cari amici albigesi e non,
poiché non è mia abitudine lasciarmi alle spalle “dei sospesi”, vi sottopongo le presenti riflessioni per richiamare la vostra attenzione su alcuni passaggi che hanno caratterizzato la ancorché breve esperienza di ALBA.
Dichiarando sin da subito che è quantomeno imbarazzante lo “scarto” tra la realtà attuale di ALBA e la  pretesa iniziale, posta a base del manifesto costitutivo, di dare vita ad un Soggetto Politico Nuovo. Nuovo nei metodi, nelle forme e nei contenuti.

LA DUE GIORNI SUL LAVORO
L’incontro nazionale sul lavoro che si è tenuto a Torino sabato 6 e domenica 7 ottobre è stato per ALBA sicuramente l’evento pubblico sino ad ora più importante.
Per quanto riguarda la “macchina organizzativa” il nodo torinese ha gestito al meglio tutti gli aspetti pratici dell’evento (location, accoglienza, pasti, ecc.), ma a questo innegabile successo, che per molti è stata la dimostrazione del buono “stato di salute” di ALBA, ha fatto da contraltare un esito politico altrettanto positivo?
Personalmente ritengo di no.
Tralascio di soffermarmi sui risultati dei tre laboratori tenuti sabato pomeriggio, poiché le relazioni conclusive agli stessi sono recuperabili sul sito di ALBA; nel merito mi limito a dire: parole tante, forse anche buoni propositi, proposte concrete quasi nulle, politichese “stretto” a iosa.
Parto, invece, da quelle che sono state le conclusioni politiche di domenica, che possiamo così sintetizzare:
-          intenzione di ALBA di “sondare”, all’esterno, la possibilità di dare vita ad una lista che si presenti alle elezioni politiche del 2013;
-          impegno di ALBA, a fianco della FIOM, nella campagna referendaria sull’articolo 8 (Riforma Sacconi) e sull’art. 18 (Riforma Fornero).

VERSO IL 2013
Sia la lettera pubblicata a luglio sul sito di ALBA dal Comitato Esecutivo nazionale, sia Marco Revelli nel suo articolo pubblicato su Il Manifesto del 3 ottobre, sia diversi interventi alla due giorni sul lavoro, hanno posto con forza la necessità di arrivare al 2013 facendo tutto il possibile perché anche sul terreno elettorale si condensi una galassia di forze e di culture che, sulla base di discriminanti chiare, siano un’alternativa credibile al dogma liberista imperante.
Io non voglio certo negare che sia necessario dare una rappresentanza, anche istituzionale, a chi oggi non ha rappresentanza e tantomeno negare che sia necessario che questa rappresentanza sia portatrice di una proposta radicalmente antiliberista. Così come credo che sia necessario recuperare ad una proposta politica autenticamente di sinistra quel 40% di elettori che non intende andare a votare e quella parte di elettori che si rifugia nel voto grillino di protesta.
Ma, al di là dei nostri desiderata, concretamente è possibile arrivare alla scadenza elettorale del 2013 avendo messo in campo un’ipotesi di questo tipo?
Sinceramente io credo di no!
E’ vero che a tutt’oggi non sappiamo ancora con quale legge elettorale andremo a votare, ma mi pare che in questi ultimi giorni il panorama politico si vada chiarendo.
Le regole stabilite dal PD per le prossime primarie e l’apertura della partecipazione delle stesse a Vendola, stanno a dimostrare che quelle primarie sono primarie di coalizione; coalizione che al momento è così composta: PD+SEL+PSI.
Dando per scontato che con la coalizione PD+SEL+PSI (+ eventualmente IDV) ALBA non abbia nulla a che fare, mi chiedo: ALBA con chi dovrebbe costituire questa sorta di “cartello” antiliberista con cui andare alle elezioni?
Se la risposta, come da molti ripetuto, è: una “Lista Civica di Alternativa”, fatta con i movimenti, con le associazioni, con gli amministratori di piccole e grandi città e con ciò che esiste di politicamente organizzato alla sinistra di SEL, in sostanza con Rifondazione Comunista + partitini comunisti vari, mi pare che la risposta sia assai poco credibile.
Per un verso credo che si debba prendere atto che oggi in Italia le situazioni di lotta presenti nella realtà sono comunque situazioni numericamente “marginali” e per un altro verso credo che si debba prendere atto che ciò che esiste a sinistra di politicamente organizzato ha ormai da tempo esaurito qualsivoglia funzione propositiva; per quanto riguarda le associazioni e gli amministratori locali credo che molto difficilmente le une e gli altri prenderanno le distanze dalle forze politiche di riferimento: gli amministratori perché ad esse debitori della carica, le associazioni perché perlopiù ad esse debitrici di prebende clientelari varie.
Se la risposta, invece, è: corriamo da soli, mi pare che l’ipotesi sia ancora meno credibile.
In assenza di un personaggio pubblico e mediatico di spicco che “tiri la volata”, un Santoro tanto per fare un nome, e in assenza di ingenti capitali da riversare in una campagna elettorale, non mi è proprio possibile capire come il messaggio di ALBA abbia possibilità di raggiungere una fetta consistente dell’elettorato.
Sia che si vada a votare con l’attuale legge elettorale, sia con una legge elettorale nuova, molto difficilmente una lista civica ALBA+Altri riuscirebbe a superare le attuali o future soglie di sbarramento e men che mai avrebbe possibilità di successo una lista di ALBA da sola.
Rispetto alla possibilità di passare le soglie sarebbe diverso se ad una lista civica ALBA +Altri si aggregasse l’IDV. Al momento però qui siamo sul terreno della fantapolitica e ogni analisi è puro esercizio accademico, anche se è facile immaginare che alla fine l’IDV  entrerà in coalizione con il PD e se così non fosse l’ipotesi più probabile è che l’IDV corra da sola, anche perché un’eventuale alleanza con Rifondazione rischierebbe di spaccare la stessa IDV.
A partire da queste considerazioni, va detto con chiarezza che l’ipotesi che ALBA, con altri o da sola,  concorra alle prossime elezioni politiche è una pura e semplice “fascinazione elettoralistica”, assolutamente velleitaria e priva di qualsivoglia serio radicamento nella realtà.
In sostanza, se ALBA vuole mantenere fermi quei principi che sono alla base della sua costituzione, se non vuole rinnegare quello spirito di novità che almeno al suo sorgere ha rappresentato, credo che la cosa migliore che possa fare, certo dolorosa ma inevitabile, sia quella di “saltare il giro”.
Che non vuol dire non fare nulla, ma che significa attrezzarsi per essere presenti nella realtà, che significa impegnarsi quotidianamente in quel lavoro oscuro e faticoso di organizzazione, che significa, davvero, cercare di intercettare e di diventare rappresentanza di quella moltitudine di soggetti sociali che oggi sono “tagliati fuori” da qualsiasi percorso politico.
Con la consapevolezza, peraltro, che non si diventa “rappresentanza” di qualcuno o di qualcosa per il solo fatto di autonominarsi tale, ma lo si diventa se si è parte attiva e “interna” di un processo.

LA CAMPAGNA REFERENDARIA
Alla due giorni sul lavoro oltre alla campagna “verso il 2013” è stata altresì lanciata la campagna referendaria, decidendo di impegnare ALBA nella raccolta di firme, per promuovere i referendum per ripristinare nella sua versione originaria l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori e per abrogare l’art. 8 del decreto legge 138/2001, che permette di derogare dalla contrattazione collettiva nazionale.
A questa iniziativa, promossa dalla FIOM, ha aderito un ampio schieramento di forze politiche; oltre ad ALBA hanno infatti aderito sia partiti (SEL, IDV, PRC, PdCI) sia associazioni (Lavoro e Società, Giuristi Democratici, Articolo 21, Forum Diritti Lavoro).
Contestualmente l’IDV ha lanciato anche la campagna, definita “anticasta”, per altri due referendum: uno per l’abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti e l’altro per l’abrogazione della diaria parlamentare.
Questa “contestualità” referendaria (referendum sul lavoro e referendum anticasta) complica maledettamente i giochi e le valutazioni da fare risultano né immediate, né semplici.
Se si trattasse di affrontare esclusivamente la questione dei referendum sul lavoro mi pare che la domanda che ci dobbiamo porre, brutale nella sua essenza ma non per questo eludibile, è la seguente: dato per scontato che si riescano a raccogliere le firme per presentare i referendum, esiste poi una possibilità concreta che gli stessi raggiungano il quorum e che se raggiunto risultino vincenti?
Personalmente ho dei seri dubbi, per almeno due valide ragioni:
-          perché è facile immaginare che questi referendum andranno incontro ad un boicottaggio massiccio da parte di Confindustria, dei partiti del centrodestra e del PD, nonché  da parte dei media che gli stessi controllano;
-           perché i precedenti in materia non sono certo confortanti: il referendum del 1985 sulla scala mobile fu tragicamente perso, i quattro referendum del 1995 hanno di fatto portato ad un restringimento della democrazia e della rappresentatività sindacale e da ultimo il referendum del 2003 per estendere l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori alle piccole aziende sino a 15 dipendenti non ha raggiunto il quorum.
La strada più che in salita appare come un grande e rischioso azzardo.
E l’argomentazione che se non ci si prova non si può sapere come andrà a finire, non cambia la situazione: i referendum si indicono non per fare mera opera di testimonianza ma per vincerli. Anche perché in caso di sconfitta la stessa sarebbe destinata ad avere effetti quantomeno nefasti.
Stante la situazione a me pare che chi ha lanciato questa campagna, e chi si è aggregato, ha una percezione del tutto errata degli attuali rapporti di forza esistenti oggi nel nostro Paese e scambia i propri desideri per realtà.
Credo che se si fosse fatto un minimo di “inchiesta”, soprattutto tra precari, disoccupati e partite IVA si sarebbe facilmente rilevato che a questi soggetti dell’art. 8 e dell’art. 18 importa poco o nulla.
Qui non si tratta di essere d’accordo o meno sul “merito”, perché è chiaro che sulla necessità di difendere i diritti del lavoro siamo tutti d’accordo, ma si tratta di discutere del “metodo”.
Personalmente continuo ad essere convinto che la “strada maestra” sia quella della lotta e della mobilitazione dei lavoratori per la conquista “sul campo” dei propri diritti. Mobilitazioni e lotte che possono anche essere premessa per ottenere risultati legislativi e istituzionali; il “viceversa” però è pura illusione: in sostanza, una ricerca di “scorciatoie” destinate a rivelarsi effimere.
Le considerazioni di cui sopra non possono però prescindere dal fatto che in realtà è partita una “doppia” campagna referendaria. Come prima evidenziato, ai referendum sul lavoro si affiancano da parte dell’IDV i referendum anticasta, ed è indubbio che i secondi siano destinati a condizionare pesantemente i primi.
In un quadro sociale che vede la fiducia dei cittadini nei partiti ridotta ai minimi termini non è difficile ipotizzare che i referendum anticasta possano riscuotere un grande successo, “tirando” di fatto “la volata” anche ai referendum sul lavoro.
Se questa è la speranza, implicita ma mai apertamente dichiarata, dei promotori dei referendum sul lavoro, occorre interrogarsi sulla valenza politica dei referendum proposti dall’IDV.
Personalmente ritengo che se il referendum per l’abolizione della diaria ai parlamentari può avere un senso e una giustificazione all’interno dello stato di crisi in cui versa il nostro Paese, per contro ritengo che sia assolutamente da respingere qualsivoglia ipotesi di abrogare il finanziamento pubblico ai partiti.
Una cosa, infatti, è pretendere, giustamente, che i finanziamenti pubblici ai partiti siano soggetti ad uno rigido controllo normato per legge e possibilmente demandato alla Corte dei Conti, cosa del tutto diversa è l’abrogazione “tout court” del finanziamento.
L’idea dell’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti ha assai poco a che fare con l’idea di un corretto funzionamento della democrazia; ha invece molto a che fare con la canea antipolitica che confonde la funzione fondamentale affidata dalla nostra Costituzione ai partiti con la degenerazione affaristico-clientelare che ha ormai caratterizzato la partitocrazia.
In sostanza, l’idea che i mali della moderna partitocrazia si possano curare con l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti non solo è un’idea peregrina, ma è una soluzione peggiore della malattia. Una soluzione destinata ad incrementare le distorsioni che si vorrebbero combattere.
Io credo che se non vogliamo confonderci con la galassia “giustizialista”, che oggi raccoglie peraltro un’innegabile successo mediatico, non possiamo non prendere le distanze dal referendum sul finanziamento pubblico ai partiti, operando nei fatti per il suo fallimento.
Se questa è la situazione mi chiedo come possa essere possibile mettere realisticamente in campo una campagna che spieghi agli elettori la differenza sostanziale tra i quattro referendum, invitando a votare sì per quelli sul lavoro e per quello sull’abrogazione dell’indennità parlamentare e no per quello sul finanziamento pubblico.
La strada non rappresenta solo, come prima detto, un grande e rischioso azzardo, ma rappresenta un vero e proprio “cul de sac”, al fondo del quale è facile vedere “il disastro”.
Scartando l’ipotesi, totalmente non credibile, che i referendum anticasta non raggiungano il quorum, ma che il quorum venga raggiunto dai referendum sul lavoro, le altre ipotesi che realisticamente si prospettano sono le seguenti:
a)     tutti i referendum, sull’onda del “dagli al politico”, raggiungono il quorum;
b)    raggiungono il quorum solo i referendum anticasta.
Nell’ipotesi a) il risultato raggiunto è che a fronte del ripristino di due diritti del lavoro, certo importanti ma di fatto riguardanti solamente i lavoratori stabilizzati, si concretizza una perdita dei diritti riguardanti l’intera collettività, con ciò intendendo l’impossibilità futura, o almeno la grande difficoltà, per le classi subalterne di dare vita a partiti che le rappresentino.
Nell’ipotesi b) al danno si sommerebbe pure la beffa.           
Ora che la campagna è partita non è possibile “tornare indietro” e non resta che adeguarsi, non facendo mancare l’impegno nella raccolta delle firme per i referendum sul lavoro. Quando il sogno sarà finito, temo però che sarà un gran brutto risveglio.   

LA QUESTIONE DELLA DEMOCRAZIA IN ALBA
Le modalità con cui sono state lanciate le due campagne, quella “verso il 2013” e quella  “referendaria”, pongono a mio giudizio, in ALBA, un serio problema di democrazia.
Quando, nel mese di aprile, fu pubblicato il manifesto fondativo di ALBA per quanto mi riguarda ebbi non poche perplessità: il manifesto mi sembrò politicamente assai carente e approssimativo e in sostanza condivisi le critiche allora rese pubbliche, tra gli altri, da Rossana Rossanda.
Ciò nondimeno decisi di aderire ad ALBA perché trovai estremamente interessante la parte del manifesto che poneva a fondamento della costituzione del soggetto politico nuove forme di rappresentanza e di democrazia partecipata.
In breve, ALBA mi sembrò un’occasione, una possibilità su cui valeva la pena spendersi.
Ad oggi, purtroppo, devo constatare che questi presupposti sono stati completamente disattesi.
Sia la decisione di verificare la possibilità di presentarsi alle elezioni del 2013 sia la decisione di impegnarsi nei referendum sono state assunte a livello nazionale, senza alcun coinvolgimento preliminare dei nodi territoriali, ovvero “della base”.
Un autonominato Coordinamento Nazionale (che doveva stare in carica sino a giugno ed è tutt’ora vivo e vegeto) e un altrettanto autonominato Comitato Esecutivo Nazionale (anche questo doveva stare in carica sino a giugno ed è tutt’ora vivo e vegeto) hanno di fatto “comunicato” le proprie decisione ad un’assemblea, quella del 7 ottobre al cinema Massimo di Torino, “blindata” negli interventi, senza dare ai nodi territoriali alcuna possibilità di intervento.
E, per cortesia, non mi si venga a dire, come è stato pubblicamente sbandierato, che ogni decisione in merito alle elezioni sarà presa democraticamente in quanto verrà sottoposta all’approvazione di un’apposita assemblea generale. Assemblee più o meno partecipate, e all’uopo organizzate, il cui compito è quello di “ratificare” decisioni prese altrove, hanno poco a che fare con processi realmente e sostanzialmente democratici.
Così come non mi si venga a dire, come invece mi è stato detto, che ……. in ALBA si parla ormai da tempo sia di partecipare alle elezioni del 2013 sia di partecipare alla campagna referendaria. Un soggetto politico non assume le sue decisioni con il “si parla da tempo”, espressione con cui ci si intende  riferire agli articoli di intellettuali e professori pubblicati da Il Manifesto, agli interventi degli stessi a qualche assemblea, alle lettere “urbi et orbi” del Comitato Esecutivo Nazionale. Il “si parla da tempo” ha, per l’appunto, il valore del “si parla”: ben altre sono le modalità attraverso cui un soggetto politico forma il consenso rispetto ad un progetto.    
Spiace constatarlo, ma in ALBA non solo non sono state attuate le tanto decantate “nuove forme di democrazia partecipata”, ma non sono state praticate neppure le più elementari forme di democrazia tradizionale.
Del resto, di che stupirsi?
Sono ormai passati sette mesi dalla pubblicazione del manifesto costitutivo e ad oggi ALBA non ha ancora uno statuto.
Lo statuto è lo strumento con cui un soggetto politico codifica le proprie regole di funzionamento.
Senza statuto non ci sono regole. Senza regole non c’è democrazia.
IL PESO POLITICO E NUMERICO DI ALBA
L’idea che un nuovo soggetto politico possa nascere, e crescere, e addirittura avere un positivo riscontro elettorale, per il solo fatto che un gruppo di professori e intellettuali, ancorché autorevoli, redige e sottoscrive un manifesto di “chiamata a raccolta” è un’idea quantomeno curiosa.
A dimostrazione il fatto che i molti tentativi fatti in tal senso già a partire dall’inizio degli anni 2000 sono tutti miseramente franati.
Con questo non voglio dire che l’iniziativa in sé sia da respingersi a priori, ma molto semplicemente intendo dire che un nuovo soggetto politico ha possibilità di successo solo ed esclusivamente se rappresenta, in quanto sua espressione, interessi reali che si manifestano in situazioni di contrapposizione al capitale.
Oggi in Italia di tutto ciò esiste poco o nulla.
Le nuove “forme” del lavoro, frantumate in mille articolazioni, in un quadro che non si capisce più quanto ancora “europeo” e quanto già “cinese”,  rappresentano un qualcosa di inedito e di assai poco esplorato, che al momento non esprime, se non eccezionalmente, la propria autonoma soggettività.
In questo contesto, nel quale occorrerebbe provare a riannodare i fili del discorso per tentare di ricomporre un quadro di insieme e magari testare la realtà con qualche proposta, mi pare che ALBA tenda a ripiegarsi nei soliti circoli chiusi, salvo invocare maldestramente ad ogni piè sospinto situazioni inesistenti a livello di espressione sociale, come “la società civile”, “gli operai”, “i giovani”, “i movimenti”.
La conseguenza di questo orientamento è che ALBA ad oggi rappresenta esclusivamente se stessa o poco più.
Per quanto riguarda il peso “numerico” di ALBA il discorso è presto fatto.
Se andiamo ad analizzare l’andamento delle sottoscrizioni al manifesto costitutivo, possiamo rilevare quanto segue:
- il manifesto è stato pubblicato il 28 marzo;
- al 31 marzo le firme erano 1.858;
- all’11 aprile le firme erano 3.287;
- al 30 aprile le firme erano 4.812;
- al 31 maggio le firme erano 5.562;
- al 30 giugno le firme erano 5.945;
- al 31 luglio le firme erano 6.163;
- al 31 agosto le firme erano 6.238;
- al 30 settembre le firme erano 6.330;
- al 05 ottobre, prima della due giorni sul lavoro, le firme erano 6.354;
- alla data odierna, 21 ottobre, le firme sono 6.432.
Dai dati di cui sopra, emerge che:
-          nei primi 15 giorni di pubblicazione del manifesto (28 marzo – 11 aprile) sono state raccolte oltre il 50% della totalità delle firme oggi presenti;
-          al 30 aprile, in poco più di due mesi dalla pubblicazione del manifesto, sono state raccolte circa il 75% della totalità delle firme oggi presenti;
-          nel mese di maggio sono state raccolte 750 firme;
-          nel mese di giugno sono state raccolte 383 firme;
-          nel mese di luglio sono state raccolte 218 firme;
-          nel mese di agosto sono state raccolte 75 firme;
-          nel mese di settembre sono state raccolte 92 firme;
-          nel mese di ottobre, sino alla data odierna, sono state raccolte 102 firme;
-          nei giorni successivi alla due giorni sul lavoro del 6 e 7 ottobre e sino alla data odierna sono state raccolte 78 firme.
Mi pare che i numeri siano molto significativi e che attestino in modo lampante che:
-          nella sua fase iniziale ALBA aveva suscitato un indubbio interesse e il progetto aveva coinvolto un gran numero di adesioni;
-          a partire dal mese di maggio le adesioni crollano e il progetto anziché dilatarsi tende a restringersi in modo vistoso;
-          la due giorni sul lavoro ha avuto in termini di adesioni ricadute assai deludenti.
In sostanza, allo scarso peso “politico” di ALBA fa da contraltare, non casualmente,  un altrettanto inconsistente peso “numerico”.
Circostanza questa dei numeri confermata, tra l’altro, sia dalla scarsa partecipazione alle assemblee, mai più di 20/30 persone, del nodo torinese di Torino, che con oltre 350 firmatari risulta essere il nodo territoriale più consistente, sia dalla scarsa partecipazione alle assemblee nazionali che hanno fatto seguito alla prima di Firenze, sia infine dalla partecipazione alla due giorni sul lavoro del 6 e 7 ottobre che, pur con il consistente appoggio della FIOM, è stata sicuramente inferiore alle attese (nei due giorni, a voler essere ottimisti, si son potute contare non più di 300 presenze).

IN CONCLUSIONE
In conclusione, per quanto mi riguarda, continuerò a seguire le vicende di ALBA, così come da cittadino attento seguo tutto ciò che “si muove” a sinistra del PD, ma sicuramente considero chiuso il mio impegno in un soggetto che pur aspirando a rappresentare “il nuovo” si è rivelato essere un rimestamento di cose trite e ritrite già viste per troppo tempo.

Torino, 21 ottobre 2012  
Rinaldo Locati
(Nodo Territoriale di ALBA Torino)