Poco tempo dopo la mia lettera aperta ai militanti di ALBA, ricevo e pubblico volentieri una lettera aperta di Rinaldo Locati, già primo coordinatore torinese del Soggetto Politico Nuovo, insieme al sottoscritto.
Lascio ogni considerazione ai lettori.
Lascio ogni considerazione ai lettori.
SBILANCIAMOCI
OVVERO: UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DI ALBA
Cari amici albigesi e non,
poiché non è mia abitudine lasciarmi alle spalle
“dei sospesi”, vi sottopongo le presenti riflessioni per richiamare la vostra
attenzione su alcuni passaggi che hanno caratterizzato la ancorché breve
esperienza di ALBA.
Dichiarando sin da subito che è quantomeno
imbarazzante lo “scarto” tra la realtà attuale di ALBA e la pretesa iniziale, posta a base del manifesto
costitutivo, di dare vita ad un Soggetto Politico Nuovo. Nuovo nei metodi,
nelle forme e nei contenuti.
LA DUE GIORNI SUL LAVORO
L’incontro nazionale sul lavoro che si è tenuto a
Torino sabato 6 e domenica 7 ottobre è stato per ALBA sicuramente l’evento
pubblico sino ad ora più importante.
Per quanto riguarda la “macchina organizzativa” il
nodo torinese ha gestito al meglio tutti gli aspetti pratici dell’evento
(location, accoglienza, pasti, ecc.), ma a questo innegabile successo, che per
molti è stata la dimostrazione del buono “stato di salute” di ALBA, ha fatto da
contraltare un esito politico altrettanto positivo?
Personalmente ritengo di no.
Tralascio di soffermarmi sui risultati dei tre
laboratori tenuti sabato pomeriggio, poiché le relazioni conclusive agli stessi
sono recuperabili sul sito di ALBA; nel merito mi limito a dire: parole tante,
forse anche buoni propositi, proposte concrete quasi nulle, politichese
“stretto” a iosa.
Parto, invece, da quelle che sono state le
conclusioni politiche di domenica, che possiamo così sintetizzare:
-
intenzione di ALBA di “sondare”, all’esterno, la
possibilità di dare vita ad una lista che si presenti alle elezioni politiche
del 2013;
-
impegno di ALBA, a fianco della FIOM, nella
campagna referendaria sull’articolo 8 (Riforma Sacconi) e sull’art. 18 (Riforma
Fornero).
VERSO IL 2013
Sia
la lettera pubblicata a luglio sul sito di ALBA dal Comitato Esecutivo
nazionale, sia Marco Revelli nel suo articolo pubblicato su Il Manifesto del 3
ottobre, sia diversi interventi alla due giorni sul lavoro, hanno posto con
forza la necessità di arrivare al 2013 facendo tutto il possibile perché anche
sul terreno elettorale si condensi una galassia di forze e di culture che,
sulla base di discriminanti chiare, siano un’alternativa credibile al dogma
liberista imperante.
Io
non voglio certo negare che sia necessario dare una rappresentanza, anche
istituzionale, a chi oggi non ha rappresentanza e tantomeno negare che sia
necessario che questa rappresentanza sia portatrice di una proposta
radicalmente antiliberista. Così come credo che sia necessario recuperare ad
una proposta politica autenticamente di sinistra quel 40% di elettori che non
intende andare a votare e quella parte di elettori che si rifugia nel voto
grillino di protesta.
Ma,
al di là dei nostri desiderata, concretamente è possibile arrivare alla
scadenza elettorale del 2013 avendo messo in campo un’ipotesi di questo tipo?
Sinceramente
io credo di no!
E’
vero che a tutt’oggi non sappiamo ancora con quale legge elettorale andremo a
votare, ma mi pare che in questi ultimi giorni il panorama politico si vada
chiarendo.
Le
regole stabilite dal PD per le prossime primarie e l’apertura della
partecipazione delle stesse a Vendola, stanno a dimostrare che quelle primarie
sono primarie di coalizione; coalizione che al momento è così composta:
PD+SEL+PSI.
Dando
per scontato che con la coalizione PD+SEL+PSI (+ eventualmente IDV) ALBA non
abbia nulla a che fare, mi chiedo: ALBA con chi dovrebbe costituire questa
sorta di “cartello” antiliberista con cui andare alle elezioni?
Se
la risposta, come da molti ripetuto, è: una “Lista Civica di Alternativa”,
fatta con i movimenti, con le associazioni, con gli amministratori di piccole e
grandi città e con ciò che esiste di politicamente organizzato alla sinistra di
SEL, in sostanza con Rifondazione Comunista + partitini comunisti vari, mi pare
che la risposta sia assai poco credibile.
Per
un verso credo che si debba prendere atto che oggi in Italia le situazioni di
lotta presenti nella realtà sono comunque situazioni numericamente “marginali”
e per un altro verso credo che si debba prendere atto che ciò che esiste a
sinistra di politicamente organizzato ha ormai da tempo esaurito qualsivoglia
funzione propositiva; per quanto riguarda le associazioni e gli amministratori
locali credo che molto difficilmente le une e gli altri prenderanno le distanze
dalle forze politiche di riferimento: gli amministratori perché ad esse
debitori della carica, le associazioni perché perlopiù ad esse debitrici di
prebende clientelari varie.
Se
la risposta, invece, è: corriamo da soli, mi pare che l’ipotesi sia ancora meno
credibile.
In
assenza di un personaggio pubblico e mediatico di spicco che “tiri la volata”,
un Santoro tanto per fare un nome, e in assenza di ingenti capitali da
riversare in una campagna elettorale, non mi è proprio possibile capire come il
messaggio di ALBA abbia possibilità di raggiungere una fetta consistente
dell’elettorato.
Sia
che si vada a votare con l’attuale legge elettorale, sia con una legge
elettorale nuova, molto difficilmente una lista civica ALBA+Altri riuscirebbe a
superare le attuali o future soglie di sbarramento e men che mai avrebbe
possibilità di successo una lista di ALBA da sola.
Rispetto
alla possibilità di passare le soglie sarebbe diverso se ad una lista civica
ALBA +Altri si aggregasse l’IDV. Al momento però qui siamo sul terreno della
fantapolitica e ogni analisi è puro esercizio accademico, anche se è facile
immaginare che alla fine l’IDV entrerà in
coalizione con il PD e se così non fosse l’ipotesi più probabile è che l’IDV corra
da sola, anche perché un’eventuale alleanza con Rifondazione rischierebbe di
spaccare la stessa IDV.
A
partire da queste considerazioni, va detto con chiarezza che l’ipotesi che
ALBA, con altri o da sola, concorra alle
prossime elezioni politiche è una pura e semplice “fascinazione
elettoralistica”, assolutamente velleitaria e priva di qualsivoglia serio
radicamento nella realtà.
In
sostanza, se ALBA vuole mantenere fermi quei principi che sono alla base della
sua costituzione, se non vuole rinnegare quello spirito di novità che almeno al
suo sorgere ha rappresentato, credo che la cosa migliore che possa fare, certo
dolorosa ma inevitabile, sia quella di “saltare il giro”.
Che
non vuol dire non fare nulla, ma che significa attrezzarsi per essere presenti
nella realtà, che significa impegnarsi quotidianamente in quel lavoro oscuro e
faticoso di organizzazione, che significa, davvero, cercare di intercettare e
di diventare rappresentanza di quella moltitudine di soggetti sociali che oggi
sono “tagliati fuori” da qualsiasi percorso politico.
Con
la consapevolezza, peraltro, che non si diventa “rappresentanza” di qualcuno o
di qualcosa per il solo fatto di autonominarsi tale, ma lo si diventa se si è
parte attiva e “interna” di un processo.
LA
CAMPAGNA REFERENDARIA
Alla
due giorni sul lavoro oltre alla campagna “verso il 2013” è stata altresì
lanciata la campagna referendaria, decidendo di impegnare ALBA nella raccolta
di firme, per promuovere i referendum per ripristinare nella sua versione
originaria l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori e per abrogare l’art. 8 del
decreto legge 138/2001, che permette di derogare dalla contrattazione
collettiva nazionale.
A
questa iniziativa, promossa dalla FIOM, ha aderito un ampio schieramento di
forze politiche; oltre ad ALBA hanno infatti aderito sia partiti (SEL, IDV,
PRC, PdCI) sia associazioni (Lavoro e Società, Giuristi Democratici, Articolo
21, Forum Diritti Lavoro).
Contestualmente
l’IDV ha lanciato anche la campagna, definita “anticasta”, per altri due referendum:
uno per l’abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti e l’altro per
l’abrogazione della diaria parlamentare.
Questa
“contestualità” referendaria (referendum sul lavoro e referendum anticasta)
complica maledettamente i giochi e le valutazioni da fare risultano né
immediate, né semplici.
Se
si trattasse di affrontare esclusivamente la questione dei referendum sul
lavoro mi pare che la domanda che ci dobbiamo porre, brutale nella sua essenza
ma non per questo eludibile, è la seguente: dato per scontato che si riescano a
raccogliere le firme per presentare i referendum, esiste poi una possibilità
concreta che gli stessi raggiungano il quorum e che se raggiunto risultino
vincenti?
Personalmente
ho dei seri dubbi, per almeno due valide ragioni:
-
perché
è facile immaginare che questi referendum andranno incontro ad un boicottaggio
massiccio da parte di Confindustria, dei partiti del centrodestra e del PD,
nonché da parte dei media che gli stessi
controllano;
-
perché i precedenti in materia non sono certo
confortanti: il referendum del 1985 sulla scala mobile fu tragicamente perso, i
quattro referendum del 1995 hanno di fatto portato ad un restringimento della
democrazia e della rappresentatività sindacale e da ultimo il referendum del
2003 per estendere l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori alle piccole aziende
sino a 15 dipendenti non ha raggiunto il quorum.
La
strada più che in salita appare come un grande e rischioso azzardo.
E
l’argomentazione che se non ci si prova non si può sapere come andrà a finire,
non cambia la situazione: i referendum si indicono non per fare mera opera di
testimonianza ma per vincerli. Anche perché in caso di sconfitta la stessa
sarebbe destinata ad avere effetti quantomeno nefasti.
Stante
la situazione a me pare che chi ha lanciato questa campagna, e chi si è
aggregato, ha una percezione del tutto errata degli attuali rapporti di forza
esistenti oggi nel nostro Paese e scambia i propri desideri per realtà.
Credo
che se si fosse fatto un minimo di “inchiesta”, soprattutto tra precari,
disoccupati e partite IVA si sarebbe facilmente rilevato che a questi soggetti
dell’art. 8 e dell’art. 18 importa poco o nulla.
Qui
non si tratta di essere d’accordo o meno sul “merito”, perché è chiaro che
sulla necessità di difendere i diritti del lavoro siamo tutti d’accordo, ma si
tratta di discutere del “metodo”.
Personalmente
continuo ad essere convinto che la “strada maestra” sia quella della lotta e
della mobilitazione dei lavoratori per la conquista “sul campo” dei propri
diritti. Mobilitazioni e lotte che possono anche essere premessa per ottenere
risultati legislativi e istituzionali; il “viceversa” però è pura illusione: in
sostanza, una ricerca di “scorciatoie” destinate a rivelarsi effimere.
Le
considerazioni di cui sopra non possono però prescindere dal fatto che in
realtà è partita una “doppia” campagna referendaria. Come prima evidenziato, ai
referendum sul lavoro si affiancano da parte dell’IDV i referendum anticasta,
ed è indubbio che i secondi siano destinati a condizionare pesantemente i
primi.
In
un quadro sociale che vede la fiducia dei cittadini nei partiti ridotta ai
minimi termini non è difficile ipotizzare che i referendum anticasta possano
riscuotere un grande successo, “tirando” di fatto “la volata” anche ai
referendum sul lavoro.
Se
questa è la speranza, implicita ma mai apertamente dichiarata, dei promotori
dei referendum sul lavoro, occorre interrogarsi sulla valenza politica dei
referendum proposti dall’IDV.
Personalmente
ritengo che se il referendum per l’abolizione della diaria ai parlamentari può
avere un senso e una giustificazione all’interno dello stato di crisi in cui
versa il nostro Paese, per contro ritengo che sia assolutamente da respingere
qualsivoglia ipotesi di abrogare il finanziamento pubblico ai partiti.
Una
cosa, infatti, è pretendere, giustamente, che i finanziamenti pubblici ai
partiti siano soggetti ad uno rigido controllo normato per legge e
possibilmente demandato alla Corte dei Conti, cosa del tutto diversa è
l’abrogazione “tout court” del finanziamento.
L’idea
dell’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti ha assai poco a che fare
con l’idea di un corretto funzionamento della democrazia; ha invece molto a che
fare con la canea antipolitica che confonde la funzione fondamentale affidata
dalla nostra Costituzione ai partiti con la degenerazione
affaristico-clientelare che ha ormai caratterizzato la partitocrazia.
In
sostanza, l’idea che i mali della moderna partitocrazia si possano curare con
l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti non solo è un’idea
peregrina, ma è una soluzione peggiore della malattia. Una soluzione destinata
ad incrementare le distorsioni che si vorrebbero combattere.
Io
credo che se non vogliamo confonderci con la galassia “giustizialista”, che
oggi raccoglie peraltro un’innegabile successo mediatico, non possiamo non
prendere le distanze dal referendum sul finanziamento pubblico ai partiti,
operando nei fatti per il suo fallimento.
Se
questa è la situazione mi chiedo come possa essere possibile mettere realisticamente
in campo una campagna che spieghi agli elettori la differenza sostanziale tra i
quattro referendum, invitando a votare sì per quelli sul lavoro e per quello
sull’abrogazione dell’indennità parlamentare e no per quello sul finanziamento
pubblico.
La
strada non rappresenta solo, come prima detto, un grande e rischioso azzardo,
ma rappresenta un vero e proprio “cul de sac”, al fondo del quale è facile
vedere “il disastro”.
Scartando
l’ipotesi, totalmente non credibile, che i referendum anticasta non raggiungano
il quorum, ma che il quorum venga raggiunto dai referendum sul lavoro, le altre
ipotesi che realisticamente si prospettano sono le seguenti:
a) tutti i referendum, sull’onda del “dagli al
politico”, raggiungono il quorum;
b) raggiungono il quorum solo i referendum
anticasta.
Nell’ipotesi
a) il risultato raggiunto è che a fronte del ripristino di due diritti del
lavoro, certo importanti ma di fatto riguardanti solamente i lavoratori
stabilizzati, si concretizza una perdita dei diritti riguardanti l’intera
collettività, con ciò intendendo l’impossibilità futura, o almeno la grande
difficoltà, per le classi subalterne di dare vita a partiti che le
rappresentino.
Nell’ipotesi
b) al danno si sommerebbe pure la beffa.
Ora
che la campagna è partita non è possibile “tornare indietro” e non resta che
adeguarsi, non facendo mancare l’impegno nella raccolta delle firme per i
referendum sul lavoro. Quando il sogno sarà finito, temo però che sarà un gran
brutto risveglio.
LA
QUESTIONE
DELLA
DEMOCRAZIA IN ALBA
Le
modalità
con cui sono state lanciate le due campagne, quella “verso il 2013” e
quella “referendaria”, pongono a mio giudizio, in
ALBA, un serio problema di democrazia.
Quando,
nel mese di aprile, fu pubblicato il manifesto fondativo di ALBA per quanto mi
riguarda ebbi non poche perplessità: il manifesto mi sembrò politicamente assai
carente e approssimativo e in sostanza condivisi le critiche allora rese
pubbliche, tra gli altri, da Rossana Rossanda.
Ciò
nondimeno decisi di aderire ad ALBA perché trovai estremamente interessante la
parte del manifesto che poneva a fondamento della costituzione del soggetto
politico nuove forme di rappresentanza e di democrazia partecipata.
In
breve, ALBA mi sembrò un’occasione, una possibilità su cui valeva la pena
spendersi.
Ad
oggi, purtroppo, devo constatare che questi presupposti sono stati
completamente disattesi.
Sia
la decisione di verificare la possibilità di presentarsi alle elezioni del 2013
sia la decisione di impegnarsi nei referendum sono state assunte a livello
nazionale, senza alcun coinvolgimento preliminare dei nodi territoriali, ovvero
“della base”.
Un
autonominato Coordinamento Nazionale (che doveva stare in carica sino a giugno
ed è tutt’ora vivo e vegeto) e un altrettanto autonominato Comitato Esecutivo
Nazionale (anche questo doveva stare in carica sino a giugno ed è tutt’ora vivo
e vegeto) hanno di fatto “comunicato” le proprie decisione ad un’assemblea,
quella del 7 ottobre al cinema Massimo di Torino, “blindata” negli interventi,
senza dare ai nodi territoriali alcuna possibilità di intervento.
E,
per cortesia, non mi si venga a dire, come è stato pubblicamente sbandierato,
che ogni decisione in merito alle elezioni sarà presa democraticamente in
quanto verrà sottoposta all’approvazione di un’apposita assemblea generale.
Assemblee più o meno partecipate, e all’uopo organizzate, il cui compito è
quello di “ratificare” decisioni prese altrove, hanno poco a che fare con
processi realmente e sostanzialmente democratici.
Così
come non mi si venga a dire, come invece mi è stato detto, che ……. in ALBA si parla ormai da tempo sia di
partecipare alle elezioni del 2013 sia di partecipare alla campagna
referendaria. Un soggetto
politico non assume le sue decisioni con il “si parla da tempo”, espressione con
cui ci si intende riferire agli articoli
di intellettuali e professori pubblicati da Il Manifesto, agli interventi degli
stessi a qualche assemblea, alle lettere “urbi et orbi” del Comitato Esecutivo
Nazionale. Il “si parla da tempo” ha, per l’appunto, il valore del “si parla”:
ben altre sono le modalità attraverso cui un soggetto politico forma il
consenso rispetto ad un progetto.
Spiace
constatarlo, ma in ALBA non solo non sono state attuate le tanto decantate
“nuove forme di democrazia partecipata”, ma non sono state praticate neppure le
più elementari forme di democrazia tradizionale.
Del
resto, di che stupirsi?
Sono
ormai passati sette mesi dalla pubblicazione del manifesto costitutivo e ad
oggi ALBA non ha ancora uno statuto.
Lo
statuto è lo strumento con cui un soggetto politico codifica le proprie regole
di funzionamento.
Senza
statuto non ci sono regole. Senza regole non c’è democrazia.
IL
PESO POLITICO E NUMERICO DI ALBA
L’idea
che un nuovo soggetto politico possa nascere, e crescere, e addirittura avere
un positivo riscontro elettorale, per il solo fatto che un gruppo di professori
e intellettuali, ancorché autorevoli, redige e sottoscrive un manifesto di
“chiamata a raccolta” è un’idea quantomeno curiosa.
A
dimostrazione il fatto che i molti tentativi fatti in tal senso già a partire
dall’inizio degli anni 2000 sono tutti miseramente franati.
Con
questo non voglio dire che l’iniziativa in sé sia da respingersi a priori, ma
molto semplicemente intendo dire che un nuovo soggetto politico ha possibilità
di successo solo ed esclusivamente se rappresenta, in quanto sua espressione,
interessi reali che si manifestano in situazioni di contrapposizione al
capitale.
Oggi
in Italia di tutto ciò esiste poco o nulla.
Le
nuove “forme” del lavoro, frantumate in mille articolazioni, in un quadro che
non si capisce più quanto ancora “europeo” e quanto già “cinese”, rappresentano un qualcosa di inedito e di
assai poco esplorato, che al momento non esprime, se non eccezionalmente, la
propria autonoma soggettività.
In
questo contesto, nel quale occorrerebbe provare a riannodare i fili del
discorso per tentare di ricomporre un quadro di insieme e magari testare la
realtà con qualche proposta, mi pare che ALBA tenda a ripiegarsi nei soliti
circoli chiusi, salvo invocare maldestramente ad ogni piè sospinto situazioni
inesistenti a livello di espressione sociale, come “la società civile”, “gli
operai”, “i giovani”, “i movimenti”.
La
conseguenza di questo orientamento è che ALBA ad oggi rappresenta
esclusivamente se stessa o poco più.
Per
quanto riguarda il peso “numerico” di ALBA il discorso è presto fatto.
Se
andiamo ad analizzare l’andamento delle sottoscrizioni al manifesto
costitutivo, possiamo rilevare quanto segue:
- il manifesto è stato pubblicato il 28
marzo;
- al 31 marzo le firme erano 1.858;
- all’11 aprile le firme erano 3.287;
- al 30 aprile le firme erano 4.812;
- al 31 maggio le firme erano 5.562;
- al 30 giugno le firme erano 5.945;
- al 31 luglio le firme erano 6.163;
- al 31 agosto le firme erano 6.238;
- al 30 settembre le firme erano 6.330;
- al 05 ottobre, prima della due giorni sul
lavoro, le firme erano 6.354;
- alla data odierna, 21 ottobre, le firme
sono 6.432.
Dai
dati di cui sopra, emerge che:
-
nei
primi 15 giorni di pubblicazione del manifesto (28 marzo – 11 aprile) sono
state raccolte oltre il 50% della totalità delle firme oggi presenti;
-
al 30
aprile, in poco più di due mesi dalla pubblicazione del manifesto, sono state
raccolte circa il 75% della totalità delle firme oggi presenti;
-
nel mese
di maggio sono state raccolte 750 firme;
-
nel
mese di giugno sono state raccolte 383 firme;
-
nel
mese di luglio sono state raccolte 218 firme;
-
nel
mese di agosto sono state raccolte 75 firme;
-
nel
mese di settembre sono state raccolte 92 firme;
-
nel
mese di ottobre, sino alla data odierna, sono state raccolte 102 firme;
-
nei
giorni successivi alla due giorni sul lavoro del 6 e 7 ottobre e sino alla data
odierna sono state raccolte 78 firme.
Mi
pare che i numeri siano molto significativi e che attestino in modo lampante
che:
-
nella
sua fase iniziale ALBA aveva suscitato un indubbio interesse e il progetto
aveva coinvolto un gran numero di adesioni;
-
a
partire dal mese di maggio le adesioni crollano e il progetto anziché dilatarsi
tende a restringersi in modo vistoso;
-
la due
giorni sul lavoro ha avuto in termini di adesioni ricadute assai deludenti.
In sostanza, allo scarso peso “politico” di
ALBA fa da contraltare, non casualmente,
un altrettanto inconsistente peso “numerico”.
Circostanza questa dei numeri confermata,
tra l’altro, sia dalla scarsa partecipazione alle assemblee, mai più di 20/30
persone, del nodo torinese di Torino, che con oltre 350 firmatari risulta
essere il nodo territoriale più consistente, sia dalla scarsa partecipazione
alle assemblee nazionali che hanno fatto seguito alla prima di Firenze, sia
infine dalla partecipazione alla due giorni sul lavoro del 6 e 7 ottobre che,
pur con il consistente appoggio della FIOM, è stata sicuramente inferiore alle
attese (nei due giorni, a voler essere ottimisti, si son potute contare non più
di 300 presenze).
IN CONCLUSIONE
In conclusione, per quanto mi riguarda,
continuerò a seguire le vicende di ALBA, così come da cittadino attento seguo
tutto ciò che “si muove” a sinistra del PD, ma sicuramente considero chiuso il
mio impegno in un soggetto che pur aspirando a rappresentare “il nuovo” si è
rivelato essere un rimestamento di cose trite e ritrite già viste per troppo
tempo.
Torino, 21 ottobre 2012
Rinaldo Locati
(Nodo Territoriale di ALBA Torino)
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