E’ tutta, In ogni umano stato, ozio la vita, Se quell’oprar, quel procurar che a degno Obbietto non intende, o che all’intento Giunger mai non potria, ben si conviene Ozioso nomar. (Giacomo Leopardi)

lunedì 1 settembre 2014

Roman nouveau, 1.1.1

Mi recai alla Normale al mattino presto e mi feci dire a che ora ci sarebbe stata la proclamazione dei vincitori, poi andai ad aspettare in un caffé vicino. Prolungai la colazione fino al momento che mi parve opportuno per avvicinarmi a quel tempio del sapere scolastico, nel quale avrei trovato la mia divinità vivente: Alain Badiou, un allievo di Althusser, uno che da giovane contestava Deleuze e parlava con Lacan!

Entrai alla Normale d Rue d'Ulm, facendomi strada tra ragazzi e ragazze eccitatissimi, dato che essere ammessi là dentro significa vedere il proprio destino pesantemente mutato. Chiesi di Badiou, e qualcuno mi disse che lo avrei trovato nel cortile. Non sapevo che faccia avesse, non l'avevo mai visto prima (sui suoi libri non c'erano fotografie), ma vidi un uomo di mezza età attorniato da ragazzi e qualche adulto e capii che si trattava di lui. Mi avvicinai e aspettai che finisse di parlare con gli astanti adoranti.

- E' lei il signor Badiou?
- Assolutamente.
Questo "assolutamente" mi parve brillantissimo (e allora non sapevo ancora che per quel filosofo un oggetto qualsiasi può essere più o meno se stesso).
- Buongiorno, io sono lo studente italiano che l'ha cercata per l'iscrizione al D.E.A. Le ho telefonato molte volte ma non l'ho mai trovata...
- Ah sì.

- Ecco, mi scusi se la disturbo oggi, qui, ma siccome devo sapere con certezza se lei acconsente alla mia iscrizione o no, sono venuto a disturbarla qui, mi scusi ma non potevo fare diversamente.
- Ma non c'è nessun problema, lei può iscriversi al D.E.A.
- Ma... sotto la sua direzione?
- Sotto la mia direzione!
Gli feci firmare il foglio che mi avevano dato a Paris8, e per tenerglielo fermo lo appoggiai sul tetto di una macchina parcheggiata nel cortile: era rovente e mi bruciai la mano ma sopportai stoicamente il dolore per non mettere a rischio la preziosissima firma.
Poi me ne andai un po' stordito. Questo semplice incontro di origine burocratica mi sembrava allora un evento quasi impensabile, qualcosa infinitamente superiore alla mia identità. Mi pareva di subire una splendida metamorfosi, come se la mia penosa persona iniziasse un processo di accrescimento glorioso. Mi sentivo circonfuso dalla luce del destino. O come si potrebbe più appropriatamente dire: mi sentivo preso in una procedura di fedeltà a quell'Evento che per me Badiou rappresentava necessariamente.
 
Per andare a Parigi e incontrare Badiou avevo chiesto ospitalità a un'amica di mio padre. Era una psicoanalista che avevo conosciuto anni prima in Italia. Quella sera, dopo avere incontrato Badiou, ero elettrizzato e durante la cena non mi trattenni dal parlarne. Raccontai che Badiou era un seguace di Lacan ma diceva di non avere mai fatto un'analisi; anzi in un suo testo si definiva "inanalizzato". Il compagno di Margaret, anche lui psicoanalista, disse che questa era una fortuna: aveva ancora la possibilità di farlo. Umorismo da strizzacervelli. Il mio leggero risentimento per quell'affermazione - di presunta superiorità dell'analizzato sul non analizzato - trovò vendetta quando Margaret si dichiarò "abbastanza lacaniana".
- Tu lacaniana? - disse il suo compagno stupito - non me lo avevi mai detto!
- Be' dai, in Francia siamo un po' tutti lacaniani., disse lei in modo poco convincente.
Andai a dormire soddisfatto, avevo seminato la giusta zizzania. Lacaniani, tzé.

Roman nouveau, 3

Il risultato di questo processo, che si avvicina sempre più al completo fallimento della lotta difensiva iniziale, è un Io straordinariamente limitato, e costretto a cercare nei sintomi i propri soddisfacimenti. (Sigmund Freud)

Che senso ha la vita di una persona? È una domanda assurda, spesso non ce la poniamo che troppo tardi, quando questa persona non c’è più, o quando quasi già non la ricordiamo. Viviamo il flusso dell'esistenza e ci barcameniamo tra gli eventi e le cose che compongono la nostra quotidianità: rifacciamo il letto, cuciniamo la pappa per il bambino, suoniamo il piano, leggiamo qualche pagina di un libro noioso, eccetera. E poi, zac, a un certo punto quando meno ce l'aspettiamo succede qualcosa. Qualcosa di terribile che ci fa cambiare prospettiva su tutto. Qualcosa che ci lascia senza fiato, distrutti, schiacciati, esausti e sporchi, dimentichi di tutto quello che prima era l’orizzonte della nostra speranza. 
La morte giunge nelle nostre vite e è sempre un uragano contro il quale nessun allarme vale. Fluttuiamo ignari in una vastità terribile. Siamo fuscelli nell’oceano, strappati da un albero di cui non ricordiamo nulla. O come dice Freud: noi non siamo padroni a casa nostra. (D'accordo, ma vorremmo almeno capire perché l'affitto è tanto caro.)

Quando mio padre è morto ho subito sentito l'esigenza di trasformare la sua morte in narrazione. A quel tempo non sapevo che è un'esigenza del nostro cervello, la narrazione.