E’ tutta, In ogni umano stato, ozio la vita, Se quell’oprar, quel procurar che a degno Obbietto non intende, o che all’intento Giunger mai non potria, ben si conviene Ozioso nomar. (Giacomo Leopardi)

domenica 25 giugno 2017

Deleuze. Il clamore dell'essere (Roman nouveau, 16)


Deleuze. Il clamore dell'essere

Nel suo Deleuze. Il clamore dell'essere, Badiou propone una lettura eretica della filosofia deleuziana. Deleuze è sempre stato letto come filosofo della molteplicità e del desiderio, o come si dice in gergo: della molteplicità desiderante. La realtà è sostanziata di desiderio – un equivalente post-psicoanalitico della schopenhaueriana Wille zum Leben e della nietzscheana Wille zur Macht – e non è mai il semplice stato delle cose. Un ente è fatto di parti che lo compongono, un evento si compone di altri eventi, e così via, come in Leibniz: lo stagno è pieno di pesci che al loro interno sono fatti di altri stagni con altri pesci e così via ad infinitum... Questo almeno è ciò che tutti avevano sempre creduto fino al libro di Badiou: Deleuze. Il clamore dell'essere.
Nel libro di Badiou, infatti, si sostiene che, al di là delle apparenze, Deleuze è un pensatore dell'Uno-tutto, o anche dell'Uno-natura. Scompiglio generale all'uscita del libro. Ma come si permette, dicevano i deleuziani, di rovesciare completamente il senso della filosofia deleuziana? Eppure Badiou aveva dalla sua più di un passo testuale a conferma dell'importanza sempre accordata da Deleuze all'Essere inteso come Uno, come Evento unico. In un postmoderno neoplatonismo naturalistico, à la Bruno-Spinoza.
Per parte sua, un'affermazione assiomatica di Badiou è che l'Uno non esiste, l'unità è l'effetto di un'operazione strutturale chiamata conto-per-uno, o presentazione. Ogni ente è un-multiplo, come dovrebbe averci insegnato la teoria degli insiemi di Cantor, ma la base di ogni multiplo è l'insieme vuoto che Badiou considera “il nome proprio dell'essere”.


Ricevimento al café (Roman nouveau, 15)


Ricevimento al café

A causa della distanza dell'Università di Paris 8 dal centro della metropoli e da casa sua, Badiou riceveva gli studenti in un café a Denfert-Rocherau, a sud di Parigi, non lontano dalla Tour Montparnasse e dal famoso cimitero dove riposano, si fa per dire, Serge Gainsbourg e Samuel Beckett. Gli studenti di Badiou si sedevano ai tavolini e lui li riceveva in ordine di arrivo, discutendo con ciascuno le sue questioni per il tempo necessario.
La prima volta che andai al ricevimento nel café, la cosa mi sembrava un po' assurda ma capii subito che a Parigi poteva sembrare normale (volevo lasciarmi alle spalle in fretta tutte le mie reazioni da provinciale). Nell'attesa conobbi un po' di studenti, tra i quali anche Lilia, una simpatica ebrea russa dagli occhi di ghiaccio, e uno psicologo tunisino alcolizzato che lavorava per l'ONU (almeno così mi disse). 
Venuto il mio turno, dopo aver detto al professore, col sorriso più sportivo possibile, che non c'era stato nessun problema alla riunione dottorale a Paris 8 anche se lui non c'era e volevano affidarmi a un'altra professoressa, gli illustrai il mio progetto di tesina per il D.E.A. Il progetto verteva su un confronto tra la filosofia di Deleuze e quella di Badiou. Lui sembrò trovare del tutto ovvio che gli si proponesse come tema un confronto tra Deleuze e lui stesso. Affrontai conseguentemente la questione della traduzione del suo Deleuze. La clameur de l'Être. Gli dissi che stavo cercando una casa editrice e lui disse che era d'accordo che fossi io a tradurlo. Certo, il fatto che anche per il D.E.A. mi avesse incoraggiato salvo poi dimenticarmi al primo passo burocratico, mi rendeva un tantino diffidente. Ma con la sua parola potevo iniziare a contattare le case editrici italiane.