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lunedì 26 ottobre 2015

Cominciamo bene! (Risposta a Mauro Piras)

Caro Mauro Piras, caro collega, mi è dispiaciuto apprendere, leggendo il tuo articolo su Le parole e le cose, che il tuo anno scolastico è iniziato male. Forse non ti sarà di grande consolazione ma vorrei dirti che sei in buona compagnia: a causa del caos creato dalla riforma, l'anno scolastico è iniziato piuttosto male anche per me e direi per la maggior parte dei miei colleghi. Anzi, per essere sincero, se io fossi un insegnante menefreghista dovrei dire che queste prime settimane sono state piuttosto gradevoli, perché anziché 18 ore di lezione frontale alla settimana ne ho fatte di meno e ho avuto più tempo per leggere, scrivere, pensare e dedicarmi alla mia famiglia. Grazie alla riforma Giannini fortemente voluta da Renzi, nella mia scuola mancano molti insegnanti e nell'attesa della loro immissione in ruolo abbiamo navigato a orario ridotto. Ma poiché non sono del tutto egoista sono un po' preoccupato per le lezioni perse dai miei allievi, per un equivalente ormai quantificabile in diversi giorni. L'anno è iniziato male perché si è perso ulteriore tempo-scuola oltre a quello sottratto dalla riforma Gelmini della quale l'attuale ministro non ha toccato una virgola.

Relativamente a questo caos assunzioni, nel tuo articolo parli di una "logica rovesciata" che dominerebbe il mondo della scuola. È un concetto interessante, con un aroma hegelo-marxiano. Mi ha colpito il fatto che in un primo momento tu riferisca questa logica rovesciata al ministero riformatore, per poi attribuirla in un secondo momento (senza dirlo) ai docenti responsabili della resistenza opposta alla riforma Giannini, come noto largamente contestata dal corpo docente e studentesco. Leggendo il tuo articolo, sembra inizialmente che questa logica rovesciata, bisognosa di uno sguardo esterno capace di coglierne il rovesciamento e magari di rimetterla sui suoi piedi, accomuni governo e docenti. Ci si aspetterebbe quindi una certa equanimità magari non perfetta, essendo tu un insegnante. Tuttavia, dopo poche righe si scopre che in realtà attribuisci ai docenti tutta la responsabilità della cattiva scuola, cioè di questo rovesciamento logico della presunta buona scuola renziana. Vediamo i tuoi argomenti.

Il primo è di tipo engelsiano: la quantità si converte in qualità. Valuti positivamente il fatto che "il ministero è stato capace di realizzare molto in poco tempo". Apparentemente non ti importa se questo molto sia buono o cattivo, ma piuttosto che sia stato realizzato: il reale (o meglio: il realizzato) è razionale, il razionale è reale (o meglio: realizzato).

In alcuni tuoi articoli a difesa della buona scuola (o piuttosto all'attacco dei suoi oppositori), sembravi già sostenere che sia meglio una riforma qualsiasi piuttosto che nessuna riforma. Ma ora la cosa si fa chiara: viva il governo del fare! Eppure, anche il ministero Gelmini aveva realizzato una riforma, per altro completamente recepita dall'attuale riforma Giannini. Dovremmo lodare Gelmini per il semplice fatto di avere realizzato il suo obiettivo? Forse il criterio non è soltanto quello del fare ma anche quello del che cosa e del come.

A me in effetti pare che il tuo presupposto tacito sia che questa riforma è tutto sommato una buona riforma. Fino a qui tutto bene, ognuno può sposare le idee che vuole, specie se le argomenta in maniera articolata come tu sei abituato a fare da filosofo.

Ora, però, teniamo presente un dato di realtà: anche se non lo dici apertamente, tu sei notoriamente un sostenitore della buona scuola (mi hai detto che hai anche collaborato alla sua stesura). In questo modo potrebbe risultare più comprensibile il tuo successivo argomento.

Lo si potrebbe battezzare l'argomento dell'"arrendetevi: ogni resistenza è futile". Sostieni infatti che "è arrivato il momento di dire basta" e che ciò debba concretizzarsi in un ritorno "alla logica normale delle cose". Come si torna alla normalità? Se governo e lavoratori della scuola fossero entrambi responsabili, come sembravi sostenere fino a un certo punto, dovremmo pensare a una soluzione che coinvolga entrambi: una mediazione, un compromesso, almeno un tentativo che invece è completamente mancato da parte governativa. Tuttavia non elargisci consigli al governo, ma soltanto ai suoi oppositori: gli insegnanti e i sindacati (anche se è vero che all'inizio dell'articolo ti scandalizzi perché il primo giorno di scuola un sindacalista è stato invitato in radio a parlare della riforma). Per tornare alla normalità suggerisci "di pensare che la scuola è per gli studenti, e quindi deve venire incontro alle famiglie, non metterle in difficoltà". Questo argomento ha dell'incredibile. A parte il fatto che non vedo chi potrebbe pensare che la scuola sia cosa degli insegnanti, per il semplice fatto che gli insegnanti a scuola lavorano e non esercitano alcun potere azionario (nonostante la moda del frame "scuola-azienda"). Ma quel che è più grave è che questo argomento, come la tua fascinazione hegeliana nei confronti di ciò che è stato realizzato, potrebbe venire usato per difendere qualsiasi riforma. Quando Gelmini ha imposto la sua riforma bisognava forse rinunciare a scioperare per il bene delle famiglie? Ma se si contesta una riforma non è appunto per tentare di evitare che i cittadini siano danneggiati? Chi contesta la riforma Giannini non lo fa appunto perché ritiene che questa, deturpando e distruggendo la scuola pubblica con l'introdurvi criteri aziendalistici e antiegualitari, causerà gravi danni alle famiglie, agli studenti, al paese nel suo insieme? Non è forse esattamente per questo che si sciopera? O forse pensi che si scioperi per danneggiare le famiglie, per malvagità d'animo o per fare dispetto al governo Renzi?

Per tornare alla normalità, suggerisci tu, bisogna prestare attenzione alla forma della mobilitazione. Per esempio i sindacati propongono "di fatto di andare contro la Legge 107 per quanto riguarda la valutazione dei docenti" ed eventualmente "di boicottare l'attività del Comitato di valutazione". Ma tu trovi inaccettabile questo "boicottaggio interno" perché "resta tutta dentro la logica rovesciata di cui abbiamo parlato". Eppure dici di non condividere affatto la "meritocrazia improvvisata" della riforma ("serve a poco ed è molto difficile da gestire"): ritieni che una cattiva meritocrazia sia meglio di nessuna meritocrazia? In ogni caso bisogna rovesciare la logica rovesciata, perciò dovremmo far valere "l'imperativo kantiano, che ci impone di separare il terreno della critica pubblica, sempre legittima, da quello dell'applicazione delle leggi". Scomodando Kant, sostieni in maniera idiosincratica e bizzarra che nessuna disobbedienza civile sarebbe ammissibile, ma soltanto la dura e giusta applicazione della Legge accompagnata dalla pura e astratta testimonianza delle idee. Ci stai paternalisticamente dicendo che, in quanto ormai sconfitti, dovremmo rinunciare ai nostri diritti di lavoratori e cittadini. E soprattutto ci stai dicendo che non possiamo non collaborare con la riforma. E perché non potremmo? Il perché è legato al fatto che, come ricordi agli sbadati, “la scuola ha a che fare con l'educazione”. Ma qui il terreno minato del tuo raddrizzamento logico inizia a conflagrare. Innanzitutto perché il frame della scuola-azienda, inculcatoci dal disegno di legge Aprea fino all'attuale riforma, implica esattamente la cancellazione della dimensione (di comunità) educativa della scuola. È proprio contro questa aziendalizzazione della scuola che ci battiamo e ci batteremo a lungo e onestamente, ben consci dell'importanza di mantenerci fedeli alla verità che la scuola non è un'azienda e non produce merci, che la qualità dell'istituzione educativa non si quantifica secondo criteri miopi e meccanici, non si misura secondo meri criteri produttivi perché essa ha per oggetto dei soggetti (questo esempio non è un cane di paglia: la riforma vuole valutarci su quanto "produciamo", per esempio su quanti viaggi di istruzione accompagniamo o su quanti progetti mettiamo in piedi, a prescindere dal senso e dal valore di questi viaggi di istruzione e progetti).

Ci fai sapere che per te educazione significa "un po' di senso civico e rispetto della legalità": ma lo spirito critico non rientra tra le dimensioni fondamentali dell'educazione? Ma soprattutto: il senso civico e la legalità à la Piras non ammettono disobbedienza. E allora che fine fa la nonviolenza moderna con le sue tecniche, praticate da Gandhi, dal reverendo King, da Capitini, Danilo Dolci e molti altri che non somigliano a degli estremisti anarchici? La disobbedienza civile, secondo te, riguarderebbe "solo casi di violazione di principi fondamentali iscritti nella Costituzione". Ma questo è esattamente ciò che sosteniamo noi avversari della riforma Giannini (e con lo sciopero del 5 maggio si è reso manifesto che siamo la maggioranza): la riforma viola i principi costituzionali fondamentali relativi alla scuola, per esempio perché assegna al dirigente il potere di scelta dei docenti in barba ai concorsi pubblici e alle graduatorie, introduce differenze salariali che sfuggono alla contrattazione, favorisce la differenziazione delle scuole secondo i territori e le loro condizioni socioeconomiche (nelle scuole più in difficoltà sarà molto difficile attrarre bravi insegnanti e risorse), favorisce l'ingerenza privata nella scuola pubblica attraverso il potenziamento degli stage aziendali e le detrazioni fiscali per le donazioni private alle scuole, e altro ancora (come ha evidenziato Ferdinando Imposimato). Ed è per questo che molti, tra noi insegnanti, sono pronti a disapplicare la legge quanto più possibile.

La tua incomprensione dell'obiezione democratica a una legge ingiusta diventa palese quando osservi, correttamente, che la nonviolenza implica l'accettazione della punizione, ma inviti poi, scorrettamente, gli oppositori della riforma a farsi punire non si sa bene per che cosa: non mi pare che nessun insegnante stia organizzando la clandestinità per sfuggire alle punizioni dirigenziali, se ve ne devono essere. Se non sono previste punizioni, per esempio per il boicottaggio e la mancata costituzione del comitato di valutazione, questo significa semplicemente che la Legge 107 fa acqua anche da quella parte, e non si capisce a quale punizione autoinflitta dovremmo esporci per soddisfare la tua errata reinterpretazione della disobbedienza civile.

Ma se il concetto di disobbedienza civile ti sembra troppo forte, non dovresti almeno negarci la possibilità di ricorrere alla non-collaborazione, tecnica nonviolenta che può mantenersi nella perfetta legalità (a rischio di minor dignità etica, ma quella l'hai già negata alla disobbedienza). Avresti da eccepire per esempio di fronte a quella che Gene Sharp classifica come "sottomissione lenta e riluttante"?
Quando gli avversari di un regime o di una politica non si sentono in grado di resistere incondizionatamente, possono in certi momenti procrastinare per quanto possibile la sottomissione ed obbedire alla fine con una marcata assenza di entusiasmo e sbadatamente. Cosi, pur non venendo completamente bloccata, la facoltà del regime di attuare i propri piani può essere rallentata e in qualche misura limitata (Politica dell'azione nonviolenta, vol.2, p. 178)
Oppure potremmo ricorrere alla "non obbedienza in assenza di sorveglianza diretta" (tecnica n. 134 di Politica dell'azione nonviolenta). Sembra praticabile anche la tecnica n. 136: "Si può disobbedire a leggi, regolamenti od ordini in modo tale da dare alla disobbedienza l'apparenza appena dissimulata dell'acquiescenza". Probabilmente questo scenario non ti piace, e non piace neanche me, perché vorrei anch'io una scuola diversa e democratica: ma l'imposizione di questa riforma non ci lascia alternative, e il tuo richiamo categorico a Kant mi convince che una convinta, onesta e aperta non-collaborazione sia la strada giusta per opporsi.

In conclusione tu inviti i docenti (non il governo né il partito di governo) a occuparsi di "promuovere una politica che abbia come obbiettivi primari la lotta alla dispersione, la trasformazione della didattica, l'inclusione, l'integrazione degli immigrati, una maggiore collaborazione tra la scuola e le famiglie, una scuola più aperta alle esigenze del territorio e delle famiglie ecc.". Ottima idea. Tu stesso avevi proposto delle idee interessanti per la riforma dell'insegnamento della filosofia: perché non ricominciare quel lavoro? Io credo che, senza pretendere di raddrizzare logiche, se provassimo a lavorare a una riforma della scuola che coinvolgesse gli insegnanti (seriamente e non con farsesche consultazioni online) si scoprirebbe che la scuola italiana ha bisogno e desiderio di molto altro che non sia la valutazione quantitativa e premiale di docenti e discenti o un'accresciuta governance.