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giovedì 7 ottobre 2010

Citati e la rilevanza

I manuali di pragmatica insegnano che se in una lettera di raccomandazione per un posto all'università un professore universitario scrive a proposito del suo raccomandato: "ha un'ottima callilgrafia e arriva sempre puntuale alle lezioni", il raccomandante sta violando la regola griceana della Rilevanza. In pratica, il raccomandante sta dicendo con un'implicatura (un dire implicito) di non avere reali motivi per raccomandare il raccomandando.

In un trafiletto di Pietro Citati sul Sole 24 Ore a proposito del libro di memorie di Mario Pirani, Citati scrive più o meno così: "Apprezzo il Pirani giornalista perché non è fanatico ed è informato".
Che Pirani non sia fanatico, lo concedo violentieri, può essere un motivo per apprezzarlo come giornalista, e magari persino come persona; francamente però, che un giornalista sia informato, ancorché nulla al giorno d'oggi possa più darsi per scontato, non mi pare motivo sufficiente di stima da parte di Citati, e non solo.
Come minimo pretenderei che un giornalista informasse anche me, e molto bene.
Se nell'opinione di Citati il Pirani giornalista riesca ad informare, oltre ad essere informato lui stesso, rimarrà purtroppo per sempre misterioso.

Parlare non è vedere (Vogue10)

Pubblicato su Vogue.it

Ci sarà un dopo-Facebook oppure Marc Zuckerberg, recentemente celebrato da un film, ha realizzato il culmine della storia dei nuovi mezzi di informazione e comunicazione?


All’inizio dell’Ottocento, Hegel immaginò che la storia universale potesse essere pensata come finita: nuovi eventi si sarebbero accumulati senza mutare il senso del raggiunto equilibrio cosmico-storico. Anche dopo l’11 settembre, la sensazione di trovarsi di fronte a un’epoca definitiva della storia si ripresenta periodicamente.
Nel regno della comunicazione via Internet, Facebook appare ormai come una sorta di medium potenzialmente universale e definitivo. Dopo Facebook sembrano pensabili soltanto infinite variazioni sul tema: comunicazione totale.
Che cosa potrebbe offrirci una comunicazione post-Facebook? Si potrebbe forse pensare a un superamento della testualità in direzione di una comunicazione puramente audiovisiva. Immaginate una continua videoconferenza collettiva, su una bacheca nella quale gli utenti apparissero visibili e udibili, “in carne e ossa”, come in un’agorà virtuale a misura di schermo. Una grande confusione!, ma ci sarebbe sempre la possibilità di andare ad ascoltare Socrate piuttosto che Gorgia.
Tuttavia non credo che questo accadrà mai. Facebook ha infatti una caratteristica che la rende simile a una chat universale e del tutto adatta alla vita della mente (contemporanea): la necessaria differenza temporale, piccola quanto si vuole ma ineliminabile in principio, che intercorre tra una produzione testuale e l’altra rappresenta forse un’inaspettata custodia del logos, o di quel che ne resta. In seno alla società delle immagini, Facebook ha forse definitivamente realizzato l’epoca dei nuovi soggetti online che leggono e scrivono, sganciati dalla necessità di offrire la loro immagine corporea in tempo reale.
"Parlare non è vedere", sentenziavano Blanchot e Deleuze: sembra che questo slogan trovi oggi compimento nella fine della storia della comunicazione realizzata da Facebook.