E’ tutta, In ogni umano stato, ozio la vita, Se quell’oprar, quel procurar che a degno Obbietto non intende, o che all’intento Giunger mai non potria, ben si conviene Ozioso nomar. (Giacomo Leopardi)

domenica 21 ottobre 2012

Luigi Einaudi sull'orario di insegnamento nella scuola italiana: cent'anni trascorsi invano?

Ringrazio INFINITAMENTE Stefano Beniamino Vaselli per aver reperito questo testo interessantissimo, il cui senso riceve una luce perfetta dagli avvenimenti recenti.
Ricordiamoli brevemente: il ministro della Pubblica Istruzione impone un aumento del 30% dell'orario di lezione a parità di stipendio, non senza aver prima invocato la necessità di usare "il bastone e la carota" per gli insegnanti italiani.
Questo testo è un eccezionale bastone politico e una carota intellettuale ad usum ministri.



Luigi Einaudi, Economista e uomo politico liberale, II Presidente della Repubblica Italiana, I° Presidente Eletto dal Parlamento dell'Italia libera.
(1913) “LA CRISI SCOLASTICA E LA SUPERSTIZIONE DEGLI ORARI LUNGHI.

… Da vent'anni a questa parte le ore di fiato messe sul mercato dai professori secondari sono andate spaventosamente aumentando. Specie nelle grandi città, dalle 10 a 12 ore settimanali, che erano i massimi di un tempo, si è giunti, a furia di orari normali prolungati e di classi aggiunte, alle 15, alle 20, alle 25 e anche alle 30 e più ore per settimana. Tutto ciò può sembrare ragionevole solo ai burocrati che passano 7 od 8 ore del giorno all'ufficio, seduti ad emarginare pratiche. A costoro può sembrare che i professori con le loro 20-30 ore di lezione per settimana e colle vacanze, lunghe e brevi, siano dei perditempo. Chi guarda invece alla realtà dei risultati intellettuali e morali della scuola deve riconoscere che nessuna jattura può essere più grande di questa. La merce «fiato» perde in qualità tutto ciò che guadagna in quantità. Chi ha vissuto nella scuola sa che non si può vendere impunemente fiato per 20 ore alla settimana, tanto meno per 30 ore. La scuola, a volerla fare sul serio, con intenti educativi, logora. Appena si supera un certo segno, è inevitabile che l'insegnante cerchi di perdere il tempo, pur di far passare le ore. Buona parte dell'orario viene perduto in minuti di attesa e di uscita, in appelli, in interrogazioni stracche, in compiti da farsi in scuola, ecc., ecc. Nasce una complicità dolorosa ma fatale tra insegnanti e scolari a far passare il tempo, pur di far l'orario prescritto dai regolamenti e di esaurire quelle cose senza senso che sono i programmi. La scuola diventa un locale, dove sta seduto un uomo incaricato di tenere a bada per tante ore al giorno i ragazzi dai 10 ai 18 anni di età ed un ufficio il quale rilascia alla fine del corso dei diplomi stampati. Scolari svogliati, genitori irritati di dover pagare le tasse, insegnanti malcontenti; ecco il quadro della scuola secondaria d'oggi in Italia. Non dico che la colpa di tutto ciò siano gli orari lunghi; ma certo gli orari lunghi sono l'esponente e nello stesso tempo un'aggravante di tutta una falsa concezione della missione della scuola media …".

(Dal Corriere della Sera, 21 aprile 1913).
“SCUOLA EDUCATIVA O SCUOLA CALEIDOSCOPIO? (A proposito del disegno di legge Credaro) di Luigi Einaudi

… A me sembra che 18 ore di lezione alla settimana sia il massimo che possa fare un insegnante, il quale voglia far scuola sul serio, e quindi prepararsi alla lezione e correggere i compiti coscienziosamente ed attendere ai gabinetti di fìsica o chimica; il quale, sopra tutto, voglia studiare. Se il legislatore voleva davvero provvedere al bene della scuola doveva aumentare gli stipendi, come fece; ma insieme vietare in modo assoluto agli insegnanti di far lezione oltre le 18 ore settimanali in istituti sì pubblici che privati; non solo, ma doveva proibire assolutamente di dare ripetizioni private a scolari proprii od altrui. Meglio costringere all'ozio assoluto l'insegnante protervo nel non voler prendere un libro in mano, che costringerlo o permettergli di sfibrarsi in un lavoro di vociferazione, che può essere giudicato leggero solo da chi non ha l'abitudine dell'insegnamento …”.
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