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martedì 14 dicembre 2010

Dispacci di memoria involontaria, 2

Il medesimo amico di Toni Negri mi disse, alla mia proposta di lavorare su Deleuze e Aracoeli di Elsa Morante, che Deleuze non poteva amarla.

Ad un'altra mia affermazione rispose: questo bisognerebbe chiederlo a Carmelo.
Bene, intendeva Carmelo Bene, ma gli piaceva chiamarlo Carmelo.

Musica Impossibile

Il mio Maestro di Composizione mi assicura che quando inizierò a scrivere la musica a quattro parti sentirò le voci indipendenti, come accadde a lui da ragazzo, e assicura che è la stessa sensazione che imparare a sciare a sci uniti. Io però non ho mai imparato a sciare a sci uniti.

Imparare l'armonia è per me una fatica incredibile, alle volte penso che sia sbagliato il metodo, il mio Maestro compone musica contemporanea ma è di quelli convinti che la musica stia tutta nella Tradizione, perciò mi insegna come se la mia mente dovesse capire quello che capivano gli studenti di musica del Settecento, perché è quello che studiamo, l'armonia settecentesca, come la studiò per esempio il giovane Mozart.
Da ragazzo avevo anche provato a fare diversamente, a studiare l'armonia con un Maestro di Composizione sperimentale, convinto che sarebbe stato più vicino ai miei interessi. Invece l'armonia mi apparve presto come un paesaggio impervio e oscuro, nel quale non riuscivo proprio a procedere. Smisi e non ci pensai più per quindici anni, finché tre anni fa ho ricominciato con un altro Maestro.

Ma è una faticaccia immensa, non ho mai gratificazioni: tutti dicono che quelle arrivano più tardi, ma io mi sento vecchio e come se fosse troppo tardi per imparare.
Per armonizzare un basso senza numeri ci impiego un paio d'ore, però le diluisco in più di una sessione così di volta in volta non ricordo che cos'ho fatto la volta precedente, e se arrivo vicino ad avere un'intuizione sta' pur sicuro che la volta dopo non so proprio di che cosa si trattasse.
Forse sono stupido, forse il mio cervello non è fatto per capire la musica.
Ma allora perché da almeno trent'anni mi sembra che sia l'unica cosa che potrebbe rendermi davvero felice? Perché non mi rassegno? Perché mi sembra così insopportabile morire senza avere imparato un po' di armonia?
Che orribile incantesimo mi ha condannato a inseguire una conoscenza per me impossibile?

Musica e suono come apertura al mondo


Che valore può avere la musica contemporanea per la formazione di uno spirito libero? Spesso i compositori novecenteschi hanno radicalmente ignorato il pubblico, abbondantemente ricambiati. Ma gli atteggiamenti filosofici ed estetici sono forse sopravanzati dall’oggettivo interesse della cosa stessa: i suoni musicali nel mondo, non cose del mondo.
Tra i musicisti contemporanei, la palma dell’intellettualismo va probabilmente al dodecafonista americano Milton Babbitt, che pubblicò nel 1958 un famoso articolo dal titolo “Che importa chi ascolta?”. In questo testo l’autoapologia svolta dalla Neue Musik a partire da Schoenberg raggiunge il suo vertice: non soltanto non importa che il pubblico non apprezzi la nuova tecnica di composizione con i dodici suoni, e neppure bisogna sperare che la cultura musicale del futuro abitui l’ascolto del pubblico alla nuova arte. Semplicemente, l’ascoltatore non importa nulla. Con queste premesse, non c’è da stupirsi se la musica contemporanea della tradizione post-dodecafonica non ha conquistato i cuori del pubblico. In fin dei conti la boutade di Babbitt si potrebbe rovesciare: poiché il mondo non è certo sprovvisto di musica, che importa chi compone senza preoccuparsi di chi ascolta?
Relativamente all’ascolto e al gusto musicale il padre della dodecafonia, Arnold Schoenberg, aveva una posizione che oggi definiremmo culturalista: la mente dipenderebbe in maniera preponderante dalla cultura. All’epoca (anni ’20-’40 del Novecento) questa posizione aveva un implicito correlato scientifico (meglio sarebbe dire: ideologico) nella contemporanea psicologia comportamentista, secondo cui il comportamento umano può e deve spiegarsi integralmente con la relazione stimolo-risposta. Fornendo al pubblico i giusti stimoli - pensavano musicisti come Schoenberg - e abituandolo alla musica dodecafonica, il pubblico del futuro apprezzerà naturalmente la nuova musica. E se Schoenberg confidava nella natura culturale dell’ascolto musicale, il suo allievo e filosofo Anton Webern considerava la musica dodecafonica più naturale della vecchia musica tonale (da un punto di vista psicoacustico).
Webern sbagliava e gli psicologi cognitivi hanno poi mostrato con appositi esperimenti che le relazioni tra strutture sonore dodecafoniche non sono percepibili nemmeno dai musicisti esperti (D. Raffman: Is twelve-Tone music artistically defective?): da un punto di vista cognitivo, sono relazioni semplicemente inesistenti.

[incipit di un pezzo per la rivista Gli Asini]