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lunedì 11 ottobre 2010

Vecchio progetto per un film straubiano su Heidegger: scena Arendt (2003).

Mdp nell’angolo in basso a destra dell’aula, orientata dal basso in alto in modo da riprendere gli scranni degli studenti.

Arendt siede in mezzo a un gruppo di allievi, al centro degli scranni; due ragazze sedute in prima fila al centro, altre due in fondo a destra (rispetto mdp). Arendt è vestita di un sobrio abito verde, le braccia stese dritte sul banco; il suo sguardo è inespressivo, immobile, ma dolce, e punta verso Heidegger che tiene lezione.

Heidegger:

... [un brano di Ontologia sul senso dell’esistenza]

Alla fine della lezione uno studente va da H e gli porge la mano con gravità; mentre ancora gliela serra gli dice:

Studente: «Lei ha saputo elevare lo spazio accademico alla tensione dialettica di un autentico spazio sacro. Le rispondenze essenziali del Suo pensiero con lo spirito del tempo ne mutano autenticamente la struttura epocale. Ma la Germania ha bisogno di un Führer, acciocché la decisione esistenziale del popolo tedesco trovi modo di formularsi nella sua originarietà.»

Heidegger non dice nulla e resta dietro la cattedra; lo studente abbassa lo sguardo ed esce dall’aula. Hannah resta seduta nel banco. Lei e Heidegger si fissano l’un l’altro in silenzio per diversi secondi (mezzo minuto).

Arendt (guardando Heidegger, con tono inespressivo): «Nella passione, con la quale, soltanto, l’amore coglie il chi dell’altro, va per così dire in fiamme l’interstizio mondano che ci collega agli altri e al tempo stesso ce ne separa. Ciò che separa gli amanti dal resto del mondo è che essi sono privi di mondo, che il mondo che si pone fra gli amanti è bruciato».

I due continuano a fissarsi immobili, mentre lo spazio fra di loro si consuma in dissolvenza bianca (cfr. Querelle de Brest) fino a lasciare le due figure avvolte su uno sfondo abbagliante che infine le avvolge.

[Sonoro: Un suono insistente, ossessivo, simile a un brano di Ligeti, accompagna la dissolvenza dello sfondo.]

Giorni di merda

La tensione è alta, dentro e fuori di me.
Casi personali e famigliari si intrecciano alle vicende politiche: il governo attacca l'università, emana un ultimatum di stile intimidatorio fascista, intorno a me molti stentano a capire, dichiarano indifferenza per le sorti di un Pubblico già distrutto dalla classe politica.
Sulle pagine culturali dei quotidiani, invece, fermenta un piccolo dibattito tra scrittori più o meno della mia generazione, o appena più giovani, che scavalcando di netto tutte le posizioni finora elaborate sull'infelice tavolo da gioco della cultura italiana, sembrano volersi autoinvestire di una missione di rinnovamento che - a mio parere - non ha nessuno dei presupposti che sarebbero necessari per tale missione.
Sulle stesse pagine, i filosofi che stimo continuano a occuparsi di problemi schiettamente scientifici, magari affiancando alla freddezza professionale una separata attività politica più militante (dove? nel PD?).
Dovrei studiare LISP, e formalizzare un algoritmo proposto da Lerdahl in Tonal Pitch Space, ma perdo tempo per cercare di sintetizzare tutte le cose da dire in una risposta ai giornalisti del Sole 24 Ore.
E Alfabeta 2 dove lo mettiamo? bisognerà anche tener conto di quello no?
Su Vogue.it non posso certo confidare le mie ansie politiche (giustamente: chi se ne frega?).
Provassi a scrivere su un giornale anarchico?

In questi casi mi torna sempre in mente il vecchio Pound: a bang, not a whimper, with a bang not with a whimper.