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giovedì 2 giugno 2011

Ouï dire

Un giovane filosofo conosciuto a Sofia mi dice che un famoso filosofo italiano un giorno gli ha chiesto: ma tu lo conosci Acotto?
- No, perché?
- Perché tutti i filosofi conoscono Acotto.

La moda di Sarkò. Intervista a Philippe Ridet (Vogue26)



Giornalista di fama e scrittore (il suo Le président et moi, Albin Michel, 2008, è stato un successo di pubblico e di critica) Philippe Ridet vive a Roma da qualche anno, dove lavora come corrispondente italiano di Le Monde. Gli abbiamo rivolto qualche domanda sul rapporto del presidente francese con la moda.
Lei conosce bene il presidente Sarkozy per averlo seguito da vicino, come giornalista, da almeno vent’anni, perciò avrà potuto osservare nel corso del tempo il suo modo di vestire: che idea si è fatta del suo rapporto con la moda?
Il rapporto di Sarkozy con la moda è molto influenzato, giustamente… dalla moda, e da una certa idea (mutevole nel corso degli anni) che lui si fa dell’abbigliamento di un politico. La creazione del suo guardaroba è il frutto di un procedere a tentoni, con avanzate e pentimenti. Nella sua primissima apparizione televisiva nel 1975, durante una trasmissione di propaganda politica (da non perdere su dailymotion!), dove sembrava interpretare il tipico “giovane di destra”, è vestito classicamente come un qualsiasi tipo della sua età a Neuilly (la città della “banlieue chic” di Parigi, dov’è nato e cresciuto e dove ha iniziato la sua carriera politica): pullover di shetland e pantaloni di velluto.
Man mano che procedeva nella sua conquista politica, Sarkozy ha cercato di rendersi notevole secondo i canoni in vigore nel suo partito, il Rassemblement pour la république (RPR). I vestiti segnano così le tappe della sua ascensione: blazer blu acqua marina e pantaloni di flanella grigia come li portava Jacques Chirac, il suo leader, al quale allora era molto vicino. Dopo aver tradito Chirac per Edouard Balladur nel 1995, sperimenta degli abiti più su misura, di taglio inglese, come quelli del primo ministro dell’epoca [Balladur], da lui sostenuto alle presidenziali del 1995. Durante la sua “traversata del deserto”, Sarkozy ritornerà verso uno stile più “decostruito”, più “casual chic”.
L’altra influenza è ovviamente quella delle donne. Agli inizi degli anni 2000, Sarkozy indossa abiti con troppe spalline, con giacche sempre troppo lunghe e pantaloni troppo larghi. Lo fa per consiglio di Cecilia oppure lei ha già segretamente e/o inconsciamente cominciato a volerlo ridicolizzare? Mistero. Dopo la sua prima rottura con lei (nel 2006) e il suo incontro con una giornalista chic di Le Figaro, Anne Fulda, inizia davvero a diventare elegante. È lei che alla fine condurrà Sarkozy verso lo stile che è ancora oggi più o meno il suo. I suoi abiti sono più aderenti al corpo, porta delle camicie più sportive. Cerca di raffinarsi. Le sere delle riunioni, durante la campagna del 2007, quando abbandona la scena si infila un cappotto di cachemire blu marino come un pugile indossa un accappatoio. Devo dire che in quel momento è piuttosto elegante. Bizzarramente, il ritorno di Cecilia dopo sei mesi in cui entrambi i coniugi si sono concessi i loro « giorni perduti » [Ridet allude al film di Billy Wilder, The lost weekend, 1945] non significa un ritorno al passato, almeno non per la moda. Sarkozy continuerà a vestirsi da Dior (periodo Hedi Slimane).
E le sembra di poter confermare il luogo comune secondo cui Carla Bruni avrebbe ulteriormente influenzato il presidente nel suo stile?
Penso che in materia di moda l’essenziale fosse già fatto. La conversione di Sarkozy agli abiti su misura era già avvenuta prima che la top-model piemontese entrasse nella sua vita. In più, la funzione pubblica del presidente non autorizza troppe variazioni nell’abbigliamento, almeno nelle sue apparizioni ufficiali. Ma immagino che lei gli abbia consigliato qualche buon sarto italiano, come Boglioli dal quale il presidente della repubblica francese si fa ormai confezionare i suoi abiti e le sue giacche. Forse sono dettagli, ma in materia di moda, che altro conta se non i dettagli?

Da un'intervista di Elena Brosio, Giovani Genitori, maggio 2011


La coscienza lanterna
“Di noia e immaginazione scriveva già Giacomo Leopardi - afferma Edoardo Acotto, professore di filosofia e autore del blog Filosofare stanca, http://edoardoacotto.blogspot.com. – La noia per Leopardi scaturisce dal desiderio infinito, che è proprio dell’animo umano e che è impossibile da soddisfare, proprio per la sua caratteristica di essere infinito. L’unico farmaco possibile per la noia era per lui l’immaginazione”. Ma la noia degli adulti è ben diversa da quella dei bambini e Edoardo Acotto ci esorta però a non proiettare sui piccoli le nostre angosce: “la noia degli adulti è in gran parte culturale e molto ben indagata in letteratura e filosofia: dalla melanconia degli antichi, all'angoscia luterana-kierkegaardiana-heideggeriana, lo spleen baudeleriano, la nausea sartriana. La professoressa di psicologia Alison Gopnik, nel suo libro ‘Il bambino filosofo’ compie una interessante distinzione tra la coscienza “faro” degli adulti e la coscienza “lanterna” dei bambini. La coscienza “faro” è come un fascio di luce puntato sull’oggetto della nostra attenzione, mentre nella coscienza “lanterna” l’attenzione è tutta rivolta al mondo esterno “provocando in noi la sensazione di perdere il nostro senso del Sé e di diventare parte del mondo” (Gopnik, p.145). Il bambino, grazie alla sua coscienza “lanterna”, è intensamente coinvolto nelle cose che fa e perciò prova meno la sensazione di noia. Sembrerebbe dunque che la paura della noia sia in realtà soprattutto una paura dei genitori e, come afferma Grazia Honegger Fresco, il bambino non va mai iperstimolato: “Il bambino non impara a giocare da solo, se l’adulto lo distoglie di continuo da ciò che sta facendo, gli offre nuovi oggetti o commenta senza sosta” (‘Abbiamo un bambino’, p.120). In definitiva – conclude Edoardo Acotto - non dobbiamo temere che il bambino si annoi. Lasciamolo libero di usare la sua mente e il suo corpo, accompagnandolo nelle sue scoperte: non gli inculcheremo il concetto di noia, anzi ne guariremo noi stessi”.