Gilles Deleuze è nato nel 1925 a Parigi dove ha trascorso tutta la sua vita. Laureato in filosofia alla Sorbona, poi ivi assistente, ricercatore al Centre National de Recherche Scientifique (CNRS), docente all’università di Lione e infine a Vincennes (Paris VIII), dove rimase fino al pensionamento nel 1987. Si è suicidato nel 1995, in seguito alle gravissime condizioni di salute (un’insufficienza respiratoria lo costringeva a un respiratore artificiale).
I filosofi cui Deleuze ha dedicato importanti monografie o ampie trattazioni all’interno di altre opere costituiscono tutti altrettanti punti fermi del suo orientamento filosofico (tranne il caso particolare di Kant, considerato un “avversario”): gli stoici, Kant, Spinoza, Leibniz, Hume, Nietzsche, Bergson, Foucault. Dagli stoici, Deleuze preleva il concetto di “evento immateriale”, accadimento che si aggiunge all’ente materiale senza modificarlo (qui si legge la matrice immaterialista della filosofia deleuziana). Kant è trattato invece come un avversario, forse il più importante, del pensiero della Differenza perché la filosofia trascendentale del filosofo di Königsberg riconduce il pensiero a una struttura categoriale preformata (i dodici concetti puri kantiani) oltre che alle tre Idee della Ragione. Spinoza e Leibniz, cui sono dedicate due monografie a parecchi anni di distanza, sono centrali nel pensiero deleuziano per il tentativo di pensare gli enti a prescindere dal tradizionale principio metafisico di individuazione e dal principio logico di identità (A=A): nella prospettiva rigorosamente monista (metafisica dell’Uno) di Spinoza gli enti sono le modificazioni, i “modi”, dei due attributi a noi noti (spazio e tempo: come le forme pure kantiane dell’intuizione) dell’unica sostanza (divina). In Leibniz Deleuze scorge un modello di pensiero “barocco” per eccellenza, la Piega, concetto e oggetto frattale, infinitamente composto di sottoparti identiche a esso (l’infinito polverizza il concetto di identità). L’empirismo radicale di David Hume viene invece giocato da Deleuze contro la filosofia trascendentale kantiana (e anche contro la fenomenologia husserliana, dominante in Francia durante la formazione di Deleuze,: di Hume, Deleuze valorizza la decostruzione del soggetto, ridotto a un fascio di sensazioni la cui identità è fondata unicamente nella memoria e nell’“abitudine di contrarre abitudini”. Per sintetizzare il senso della filosofia humeana rivendicandone la filazione del proprio sistema concettuale, Deleuze conia un’espressione bizzarramente ossimorica: l’empirismo trascendentale (un concetto che ricorda da vicino quello di “duplicato empirico-trascendentale” di Michel Foucault, un pensatore che con Deleuze ha più di un’affinità).Nietzsche viene spesso considerato il pensatore centrale nella personale genealogia filosofica deleuziana, ed effettivamente Deleuze è uno dei protagonisti francesi, insieme a Klossosky, Foucault e altri (primi fra tutti gli italiani Giorgio Colli e Mazzino Montanari, curatori dell’edizione filologica di tutte le opere di Nietzsche), della cosiddetta Nietzsche-renaissance del secondo dopoguerra, ossia una fase di acuta rinascita dell’interesse per il pensatore della volontà di potenza. Deleuze rilegge il concetto di “eterno ritorno dell’uguale” in maniera sorprendentemente originale, ossia come eterno ritorno della Differenza: questo apparente stravolgimento del pensiero nietzscheano ha in realtà la pretesa di essere fedelissimo al suo senso più intimo, poiché nella mise en abyme (“messa in abisso”: GLOSSARIO) derivante dall’immagine dell’infinita ripetizione dell’istante presente scaturisce l’intensificazione della realtà, a scoperta del divenire-intenso di ogni ente. Bergson, infine, fornisce a Deleuze il modello di una metafisica vitalista cui rimarrà sempre fedele attraverso le evoluzioni del suo pensiero: l’essere va concepito come Vita, élan vital, che si accresce indefinitamente come grande Memoria Virtuale da cui il presente sgorga come flusso qualitativo proiettandosi sul futuro. Allo spiritualismo di Bergson Deleuze deve anche la preferenza per la dimensione ontologica qualitativa, non calcolabile, a scapito di quella quantitativa e calcolabile.
Differenza e molteplicità
Insieme a Jacques Derrida, Deleuze è il filosofo francese che maggiormente ha legato il proprio stile di pensiero al concetto di Differenza. Se le “avventure della differenza” (Vattimo) hanno avuto nell’idealismo tedesco un primo fondamentale episodio filosofico moderno, Deleuze (a differenza di Derrida) cerca di sgombrare il campo da qualsiasi residuo dialettico – tanto hegeliano quanto marxiano: il pensiero dialettico cade sotto i colpi della critica “energetica” nietzscheana e rappresenta, insieme al platonismo, uno dei momenti di maggiore debolezza della filosofia occidentale.Deleuze pensa infatti che la differenza sia “intensiva”, qualitativa anziché quantitativa. La Differenza diventa così un concetto metafisico che non ha più nulla a che vedere con il concetto logico di differenza, e si collega piuttosto alla nietzscheana “volontà di potenza”, che consiste nella valutazione di ogni ente secondo la prospettiva della sua intrinseca quantità di energia. Il concetto di Differenza va di pari passo con quello di molteplicità. L’identità non è più il concetto privilegiato della metafisica, così come avviene nella tradizione filosofica da Platone e Aristotele fino a Kant e Hegel: nella prospettiva di Deleuze ogni ente è paragonabile a una monade leibniziana che anziché rapportarsi all’essere secondo le modalità della rappresentazione “sintetizza” una quota di intensità o energia (da intendersi metaforicamente, senza riferimento alla fisica contemporanea) che è sempre molteplicità di possibilità. L’elemento qualitativo è particolarmente presente nell’opposizione, di provenienza nietzscheana, tra le “forze forti” e le “forze deboli”.Contro la lettura volgare del pensiero gerarchico di Nietzsche Deleuze fa valere una ben diversa lettura, più metafisica che storiografica: poiché il prospettivismo nietzscheano annulla il concetto di sostanza pensante, soggetto cartesiano, individuo, anche la realtà umana, come quella naturale, risulta leggibile come un campo di forze metafisiche che si affrontano perennemente (visione tragica dell’essere, di origine eraclitea). Una forza è “forte” quando esprime appieno la propria essenza, la propria potenzialità, mentre è “debole” quando non giunge a realizzare appieno la propria natura potenziale.
L’incontro con Félix Guattari e l’Anti-Edipo. Contro la psicanalisi: il desiderio è creazione e non mancanza. Capitalismo e schizofrenia.
Sebbene Deleuze non abbia mai aderito a nessun partito politico, la sua filosofia ha assunto un ruolo paradigmatico nel contesto del pensiero politico della sinistra radicale francese, europea e anche mondiale (negli USA la filosofia di Deleuze è studiatissima nei dipartimenti letterari e artistici). È soprattutto la “seconda filosofia” deleuziana quella che ha suscitato l’entusiasmo dei militanti della “nuova sinistra” (critica nei confronti dei tradizionali partiti comunisti) negli anni successivi alla contestazione del “maggio francese” (1968). Dopo l’incontro con l’antipsichiatra marxista Félix Guattari, la filosofia deleuziana si arricchisce di concetti provenienti dalle più varie discipline, essenzialmente dalla psicoanalisi, dall’antropologia e dalla semiologia. I due amici pensatori scrivono assieme una serie di opere, le più importanti delle quali costituiscono una trilogia intitolata Capitalismo e schizofrenia (Anti-Edipo, 1972, Mille piani, 1988, Che cos’è la filosofia?, 1991): in queste opere Deleuze e Guattari svolgono una sorta di metafisica politica mirata a reinterpretare la natura del potere e dei sistemi socio-economici. La realtà è costituita da “flussi di desiderio”, chiamati anche macchine desideranti – un concetto divenuto popolarissimo negli ambienti militanti di estrema sinistra negli anni ‘70. Questi flussi desideranti si muovono in equilibrio tra la deriva assoluta del senso (la schizofrenia, considerata come un limite ideale e negativo del movimento reale delle cose) e l’imprigionamento repressivo del desiderio. Le istanze emancipative e persino anarchiche di questa interpretazione della realtà umana si basano sulla critica del concetto psicoanalitico di desiderio, considerato come mancanza, privazione, mentre per due autori il desiderio è positività, libertà, creazione.
Creazione di concetti
Nell’ultima opera scritta a quattro mani con Guattari, Che cos’è la filosofia?, Deleuze propone un’immagine “costruttivista” – e intrinsecamente relativistica - della filosofia, definita come attività creativa su tre dimensioni: 1) tracciare il “piano d’immanenza” ossia il contesto filosofico del proprio problema;2) creare concetti, ossia non limitarsi a interpretare concetti altrui ma appropriarsi del materiale filosofico del passato piegandone il senso per i propri fini (Deleuze è nemico di ogni ermeneutica) e inventare nuovi concetti-problemi, definendone le componenti e gli spazi di applicabilità;3) inventare i “personaggi concettuali”, ossia le voci o maschere alle quali tradizionalmente i filosofi hanno affidato i proprio pensieri, nell’ambito della finzione letteraria dei loro scritti (il Socrate di Platone, il Platone di Nietzsche, il Nietzsche di heidegger e così via). È il concetto di “piano di immanenza” a collocare implicitamente Deleuze nell’ambito del relativismo filosofico, anche se in quel particolare sottogruppo di filosofi che non rivendicano (a differenza di Rorty) la positività della relatività di concetti e valori. In maniera abbastanza simile al grande filosofo analitico Robert Nozick (1938-2003, cfr. §…) Deleuze sposa una prospettiva per la quale sarebbe corretto parlare di “assolutismo relativo”: all’interno del proprio perimetro filosofico non sono ammissibili altre prospettive, tuttavia è evidente che ogni filosofo pone la propria prospettiva come quella corretta ed esclusiva. La filosofia risulta così allo stesso tempo un esercizio di libertà creativa quasi assoluta all’interno del proprio sistema (questo è una caratteristica che potrebbe far accomunare Deleuze all’idealismo tedesco) mentre osservando il confronto tra sistemi diversi si assiste a quello che Ricoeur chiamava un “conflitto di interpretazioni”. La filosofia è così un campo di battaglia, un terreno di scontro tra forze filosofiche eterogenee che esprimono diversi punti di vista metafisici.
Giudizi critici
La filosofia di Deleuze ha avuto un grande impatto specialmente negli ambienti artistici (molti musicisti elettronici per esempio si sono ispirati a Deleuze), dove l’enfasi sulla creazione non poteva che trovare una ricezione favorevole. Molto più critico verso Deleuze è stato il mondo accademico, dal quale peraltro Deleuze non è mai uscito, considerandosi a buon diritto null’altro che un professore di filosofia (contro la tendenza abbastanza diffusa a mitizzarne la figura in una specie di eroe del pensiero). Si è infatti criticato lo stile barocco e oscuro di Deleuze, che per illustrare i propri concetti fa uso di molti esempi paradigmatici, più vicini però a delle metafore dal significato incerto; si è anche criticato (ma questo a proposito della maggior parte dei filosofi francesi del Novecento, a partire da Bergson incluso) un uso spregiudicato di concetti scientifici spesso avulsi dal loro giusto contesto, quando non erroneamente interpretati [1]Quello che si può sicuramente dire è che, con tutti i suoi limiti, che sono quelli propri di un’epoca della filosofia europea del Novecento (oggi spesso chiamata “continentale”) la filosofia deleuziana è stata una vera “pop-filosofia”, ossia una filosofia popolare, che ha avuto dei veri e proprio best-seller filosofici come l’Anti-Edipo e che ha fortemente contribuito, nel bene e nel male, quasi realizzando un desiderio di Schopenhauer, a far uscire la filosofia dall’università.
[1] si veda il libro di Sokal e Bricmont, Imposture intellettuali.