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mercoledì 10 agosto 2011

Guy Debord sulla rivolta di Los Angeles del 1965 (Estratto da Il Pianeta malato, Edizioni Nottetempo, mia traduzione)

Il declino e la caduta dell’economia spettacolare-mercantile1.



Fra il 13 e il 16 agosto 1965, la popolazione nera di Los Angeles si è sollevata. Un incidente che ha opposto polizia stradale e passanti si è sviluppato in due giornate di tumulti spontanei. I crescenti rinforzi delle forze dell’ordine non sono stati in grado di riprendere il controllo della strada. Verso il terzo giorno i Neri hanno preso le armi, saccheggiando le armerie accessibili, e così hanno potuto sparare anche sugli elicotteri della polizia. Si sono dovuti lanciare nella lotta per circoscrivere la rivolta nel quartiere di Watts migliaia di soldati e poliziotti – il peso militare di una divisione di fanteria, appoggiata dai carri armati ; poi, per riconquistarlo a prezzo di numerosi combattimenti di strada durati diversi giorni, gli insorti hanno proceduto al saccheggio generale dei magazzini, appiccandovi il fuoco. Secondo le cifre ufficiali vi sarebbero stati 32 morti, tra cui 27 Neri, più di 800 feriti, 3000 incarcerati.


Le reazioni, da tutte le parti, hanno avuto quella chiarezza che l’evento rivoluzionario, per il fatto di essere esso stesso una chiarificazione, nei fatti, dei problemi esistenti, ha sempre il privilegio di conferire alle diverse sfumature di pensiero dei propri avversari. Il capo della polizia, William Parker, ha rifiutato ogni mediazione proposta dalle grandi organizzazioni di Neri, affermando giustamente che «questi rivoltosi non hanno capi». E certamente, poiché i Neri non avevano più capi era giunto il momento della verità in ognuno dei due campi. D’altronde, che cosa si attendeva nello stesso momento uno di quei capi disoccupati, Roy Wilkins, segretario generale della National Association for the Advancement of Colored People? Egli dichiarava che i tumulti «dovevano essere repressi facendo uso di tutta la forza necessaria». E il cardinale di Los Angeles, McIntyre, che protestava a voce alta, non protestava contro la violenza della repressione, come si potrebbe credere abile fare nel momento dell’aggiornamento [in italiano nel testo] dell’influenza romana; protestava con la massima urgenza davanti a «una rivolta premeditata contro i diritti del vicino, contro il rispetto della legge e il mantenimento dell’ordine», chiamava i cattolici a opporsi al saccheggio, a «queste violenze senza giustificazione apparente». E tutti coloro che arrivavano fino al punto di vedere le «giustificazioni apparenti» della collera dei Neri di Los Angeles, ma certo non la giustificazione reale, tutti i pensatori e i «responsabili» della sinistra mondiale, del suo nulla, hanno deplorato l’irresponsabilità e il disordine, il saccheggio, e soprattutto il fatto che il suo primo momento sia stato il saccheggio dei negozi contenti l’alcool e le armi, e i 2000 focolai d’incendio contati, con i quali gli incendiari di Watts hanno rischiarato la loro battaglia e la loro festa. Chi dunque ha preso la difesa degli insorti di Los Angeles, nei termini che essi meritano? Lo faremo noi. Lasciamo che gli economisti piangano sui 27 milioni di dollari perduti, e gli urbanisti su uno dei loro supermarket più belli, volato in fumo, e McIntyre sul suo sceriffo abbattuto; lasciamo che i sociologi si lamentino dell’assurdità e dell’ubriachezza di questa rivolta. Il ruolo di una pubblicazione rivoluzionaria, non è soltanto quello di dare ragione agli insorti di Los Angeles, ma di contribuire a dar loro le loro ragioni, di spiegare teoricamente la verità di cui l’azione pratica esprime la ricerca.

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1 Le déclin et la chute de l’économie spectaculaire-marchande è stato pubblicato per la prima volta nel marzo 1966, nel numero 10 della rivista Internationale situationniste.