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martedì 13 gennaio 2015

Lanza del Vasto (da "Senza violenza")

Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto (1901-1981), nacque a San Vito dei Normanni da famiglia nobile, padre siciliano e madre belga. Studiò al liceo Condorcet a Parigi, poi filosofia a Firenze e Pisa. La sua personalità eccezionale riunisce caratteristiche disparate: poeta, scrittore, filosofo, pensatore religioso con una forte vena mistica, ma anche patriarca fondatore di comunità rurali sul modello di quelle gandhiane e attivista nonviolento contro la guerra d'Algeria o gli armamenti nucleari.
«La guerra di Abissinia già iniziava ed il mio rifiuto a parteciparvi era la cosa più evidente. E poi questa guerra non era che l’inizio: in seguito forse sarei stato ad uccidere inglesi, tedeschi e un giorno avrei avuto dinanzi alla mia baionetta Rainer Maria Rilke. No, la mia risposta era no. “Ma che cosa è che rende la guerra inevitabile?”, mi domandavo. Benché giovane avevo capito la puerilità delle risposte ordinarie, quelle che si rifanno alla nostra cattiveria, al nostro odio e al pregiudizio. Sapevo che la guerra non aveva a che fare con tutto ciò. “Certo, una dottrina esiste per opporsi alla guerra e la vedo nel Vangelo”, dicevo, “ma com’è che i cristiani non la vedono? Manca quindi un metodo, un metodo per difendersi senza offendere. Un modo nuovo, diverso, umano di risolvere i conflitti umani”. Solo in Gandhi vedevo colui che avrebbe potuto darmi una risposta ed il metodo» (Pagni R. Ultimi dialoghi con Lanza del Vasto, p.50-51) Così Lanza del Vasto ricorda la sua decisione di partire per l’India nell’autunno del 1936, autofinanziandosi con la vendita a un’amica facoltosa del manoscritto della sua prima opera, Giuda. Lanza non partiva alla ricerca di spiritualità, tanto più che la conversione al cristianesimo gli impegnava pienamente l’animo: «Ma mi ero, non senza pena, convertito alla mia propria religione, e avevo il mio da fare per meditare le Scritture ed applicarne i comandamenti. E se mi si chiedeva “siete cristiano?”, rispondevo: “Sarebbe ben prezioso dire di sì. Tento di esserlo”» (L’Arca aveva una vigna per vela, p.11) In India Lanza conobbe Gandhi, con il quale stette qualche mese, per poi recarsi inHimalaya. Durante il viaggio «conobbi le inquietudini sociali dell’India ed il suo metodo di liberazione, la non violenza, che era molto contraria al mio carattere (come del resto credo sia contraria al carattere di tutti). Nessuno è non violento per natura: siamo violenti e non proviamo vergogna a dirlo, anzi lo diciamo con un certo orgoglio. Ma ciò che non diciamo è che la vigliaccheria e la violenza fanno la forza delle nazioni e degli eserciti e la non violenza consiste nel superare questi due grandi motivi della storia umana» (Pagni, cit., p.51). In India trova «un’umanità simile alla nostra quanto opposta: qualche cosa come un altro sesso» (Lanza del Vasto, Pellegrinaggio alle sorgenti, p.82). Tornato dall’India dopo ulteriori peregrinazioni in Terra Santa, Lanza comprende che la sua vocazione è di fondare una comunità rurale nonviolenta, sul modello del gandhiano ashram, la comunità autarchica ed egualitaria che per il Mahatma doveva essere la cellula della società. Gli ci volle del tempo prima di riuscire a concretizzarla attraverso la fondazione della comunità dell’Arca. Tra le poche persone a cui gli riesce di esporre il suo progetto c’è Simone Weil, che incontra a Marsiglia, nel 1941. Nonostante il suo pacifismo, la Weil non nutriva molta fiducia nella nonviolenza gandhiana. Lanza gliene parlò e lei sembrò comprendere meglio. Poi parlarono della visione dell’Arca, che allora non si chiamava ancora così, ed era la prima volta che Lanza ne parlava con qualcuno: «Lei capì subito! “È un diamante bellissimo”, disse. “Sì,” risposi “è vero. Ha solo un minuscolo difetto: che non esiste”. E lei: “Ma esisterà, esisterà, perché Dio lo vuole”» (Pagni, cit., p.58-59). Simone aveva ragione. L’ultima sede della comunità fu la Borie Noble, con circa centocinquanta persone che vivono nel modo più frugale e gioiosamente comunitario. Il nome venne quando si cominciò a parlare di “lanzismo”: «Si cominciava a parlare di Lanzisti e Lanzismo, cosa che mi fece rizzare il pelo. “Amici miei”, annunciai, “noi ci chiameremeo l’Arca, quella di Noé beninteso. E noi gli animali dell’Arca.» (L’Arca aveva una vigna per vela, p.48). Negli anni successivi numerosissime iniziative nonviolente videro protagonista Lanza e i suoi compagni, che seppero attirare l’attenzione dell’opinione pubblica francese e non solo. La prima azione pubblica nonviolenta è del 1957, contro le torture e i massacri compiuti dai francesi in Algeria, e si svolge a Clichy in una casa dove aveva vissuto San Vincenzo de Paoli. L’azione fu guardata con relativo favore dalla stampa, e giunse la solidarietà di personalità come Mauriac o l’Abbé Pierre. Poi vennero le lotte contro il nucleare, la prima delle quali nel 1958: Lanza con i suoi compagni penetrano nel cancello di una centrale nucleare e vengono poi trascinati via dai poliziotti. Poi ancora la campagna contro i “campi di assegnazione per residenza”, sorta di campi di concentramento per gli algerini “sospetti”, e quella in favore degli obiettori di coscienza. Durante la Quaresima del 1963, tra due sessioni del Concilio Vaticano IILanza fece un digiuno di quaranta giorni compiuto nell’attesa di una parola forte sulla pace da parte della Chiesa. Poco dopo il trentesimo giorno, il Segretario di Stato consegnò a Chanterelle, la moglie di Lanza, il testo dell’enciclica Pacem in terris: «Dentro ci sono cose che non sono mai state dette, pagine che potrebbero essere firmate da suo marito!» (ivi, p.99).

Testi consultati:
Lanza del Vasto G.G., L’arca aveva una vigna per vela, Jaca Book, Milano, 1980.
Id., Pellegrinaggio alle sorgenti, Jaca Book, Milano 1978
de Mareuil A., Lanza del Vasto. Sa vie, son oeuvre, son message, Dangles, Saint-Jean-de-Braye, 1998.
Pagni R., Ultimi dialoghi con Lanza del Vasto, Edizioni Paoline, 1981.

La mia modesta risposta all'attentato di Parigi

...consiste nel mettermi a leggere e studiare, nella convinzione che anche la mia ignoranza e accidia intellettuale sia concausa di ciò che accade nel mondo.

In casa ho trovato questi titoli in italiano che mi sembrano pertinenti:

Giovanna Borradori, Filosofia del terrore. Dialoghi con Jürgen Habermas/Jacques Derrida, Laterza, 2003

Mauro Carbone, Essere morti insieme, Bollati Boringhieri, 2007

Bernard Lewis, L'Europa e l'Islam, Laterza, 1995

Hans Küng, Islam. Passato, presente e futuro, Rizzoli, 2005

Antonella Sapio, Per una psicologia della pace, Franco Angeli, 2009

Amartya Sen, Identità e violenza, Laterza, 2006 (in particolare il capitolo Affiliazioni religiose e storia islamica)

Peter Singer, One World. L'etica della globalizzazione, Einaudi, 2003

Thich Nhat Hanh, Essere pace, Ubaldini Editore, 1989

Maestro e allievo (intuizione 37)

Da giovane avrei avuto bisogno di un maestro.
Non l'ho mai trovato e sono diventato il maestro di me stesso.
Nel frattempo era scomparso in me l'allievo.