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martedì 30 maggio 2017

Casetta parigina (Roman nouveau, 10)


Casetta parigina

La ricerca di appartamento a Parigi, per uno studente straniero e spiantato, è cosa difficile e disgustosa: il fatto che io fossi in compagnia di un francese, il mio amico Yves, rendeva le cose un po' più più semplici, ma subivamo il trattamento riservato a tutti gli studenti.
Gli appuntamenti per la visita dell'appartamento erano organizzati tramite annunci su un apposito giornaletto settimanale, che Yves e io acquistavamo di prima mattina il giorno della sua uscita in edicola, dedicandoci freneticamente alla ricerca di situazioni abitative che facessero al caso nostro, cioè della nostra povertà. Dopo avere fatto una decina di telefonate per fissare l'appuntamento, ci dividevamo le visite e partivamo per il settore prescelto.
In base all'ordine di arrivo si formava una coda disciplinata di giovani in attesa davanti all'appartamento (la nostra fascia di possibilità era chiaramente da studenti). Ma la maggior parte dei postulanti non riusciva nemmeno a vederlo, l'appartamento. Di solito veniva scelto uno studente tra i primi della fila purché avesse le carte in regola, ossia: un conto in banca, una famiglia ricca che garantisse per lui, possibilmente anche delle lettere di referenza (ma questo per gli appartamenti borghesi). Se riuscivi a vedere l'appartamento non potevi concederti il lusso di dire "ci penso un attimo": o firmavi subito o perdevi l'occasione. In questo modo, dopo parecchie visite, uno si riduceva nello stato d'animo di prendere il primo appartamento possibile, per quanto malridotto, umido, buio e dotato del classico squallido cesso con moquette.
Uno straniero da solo avrebbe trovato più penosa la selezione: l'anno successivo – abbandonai Yves, con suo gran disappunto, perché la notte tornava spesso a casa ubriaco e allora diffondeva musica rap a tutto volume – visitai decine di appartamenti schifosi e costosissimi, le cosiddette chambres de bonnes, ossia le stanzette della servitù ricavate tra un appartamento borghese e l'altro negli edifici ottocenteschi: nove metri quadrati con muri sottilissimi che fanno penetrare penosamente il misero affittuario nella triste intimità della famiglia adiacente.
E tuttavia era difficilissimo trovare in affitto anche una di queste chambres. Mentre mi rifiutava, una volta un proprietario si lamentò con me, quasi commiserandosi, dicendo che dovevo capirlo, lui non ce l'aveva con gli stranieri, però una volta un caraibico lo aveva fregato, era partito senza pagare e i tribunali non avevano fatto nulla per riparare al torto. Non ce l'aveva con me ma non ero francese e non poteva rischiare di nuovo. "La capisco, mi dispiace", dissi consolandolo e andandomene via, rinunciando al suo appartamentino arredato di bel nuovo per studenti francesi.
Ma il primo anno a Parigi avevo al mio fianco Yves. Era la persona meno accomodante del mondo. Gli facevano schifo i padroni e non gliene fregava un cazzo di trovare un appartamento decente: purché ci dessero qualcosa in fretta a un prezzo accettabile. Accettabile, a Parigi significa comunque carissimo, ma c'erano gli aiuti dello stato francese per gli studenti. Fu così che accettammo un appartamentino con due stanze più cucinino, in rue de Lancry, a due passi da Place de la République. 
La nostra vita di studenti di filosofia a Parigi cominciava per davvero.