E’ tutta, In ogni umano stato, ozio la vita, Se quell’oprar, quel procurar che a degno Obbietto non intende, o che all’intento Giunger mai non potria, ben si conviene Ozioso nomar. (Giacomo Leopardi)

venerdì 17 agosto 2012

Sceneggiatura film Heidegger, 1


Scena Arendt.

Mdp nell’angolo in basso a destra dell’aula, orientata dal basso in alto in modo da riprendere gli scranni degli studenti.

Arendt siede in mezzo a un gruppo di allievi, al centro degli scranni; due ragazze sedute in prima fila al centro, altre due in fondo a destra (rispetto mdp). Arendt è vestita di un sobrio abito verde, le braccia stese dritte sul banco; il suo sguardo è inespressivo, immobile, ma dolce, e punta verso Heidegger che tiene lezione.

Heidegger:

... [un brano di Ontologia sul senso dell’esistenza]

Alla fine della lezione uno studente va da H e gli porge la mano con gravità; mentre ancora gliela serra gli dice:

Studente: «Lei ha saputo elevare lo spazio accademico alla tensione dialettica di un autentico spazio sacro. Le rispondenze essenziali del Suo pensiero con lo spirito del tempo ne mutano autenticamente la struttura epocale. Ma la Germania ha bisogno di un Führer, acciocché la decisione esistenziale del popolo tedesco trovi modo di formularsi nella sua originarietà.»

Heidegger non dice nulla e resta dietro la cattedra; lo studente abbassa lo sguardo ed esce dall’aula. Hannah resta seduta nel banco. Lei e Heidegger si fissano l’un l’altro in silenzio per diversi secondi (mezzo minuto).

Arendt (guardando Heidegger, con tono inespressivo): «Nella passione, con la quale, soltanto, l’amore coglie il chi dell’altro, va per così dire in fiamme l’interstizio mondano che ci collega agli altri e al tempo stesso ce ne separa. Ciò che separa gli amanti dal resto del mondo è che essi sono privi di mondo, che il mondo che si pone fra gli amanti è bruciato».

I due continuano a fissarsi immobili, mentre lo spazio fra di loro si consuma in dissolvenza bianca (cfr. Querelle de Brest) fino a lasciare le due figure avvolte su uno sfondo abbagliante che infine le avvolge.

[Sonoro: Un suono insistente, ossessivo, simile a un brano di Ligeti, accompagna la dissolvenza dello sfondo.]

Stupidario heideggeriano

A Heidegger devo molto, incluso il fatto di aver *deciso [noterò con un * tutti i concetti che si possono ricondurre alla mia *comprensione della filosofia heideggeriana] di studiare filosofia. All'ultimo anno di liceo mi pareva che il suo *essere-per-la-morte fosse la cosa più importante che si potesse studiare, che io potessi studiare. La *possibilità suprema, ossia la possibilità che tutte le possibilità diventino impossibili.
Se non avessi incontrato Heidegger al liceo, di sicuro mi sarei *salvato...

Di ritorno dal Giappone per un breve viaggio, mi è tornato in mente un libretto in mio possesso su "H e l'Oriente" e me lo sono portato appresso per la vacanza agostana. Non l'avessi mai fatto, e soprattutto non ne avessi mai scritto su Facebook, dove Jacopo Valli mi attendeva al varco col suo nondualismo antiscientista...
Risultato: ora devo leggermi diversi libri su H e i filosofi giapponesi della Scuola di Kyoto, a cominciare da "On Buddhism" di Keiji Nishitani, interlocutore di H, nonché tutto ciò che mi permetta di ricollegarmi ai miei antichi studi universitari heideggeriani (fu Deleuze a salvarmi da H e Derrida).

La mia attuale intuizione, è che HEIDEGGER FOSSE STUPIDO. Lo so che a molti questa affermazione sembrerà la definitiva dimostrazione della MIA stupidità, non importa: la *storia della filosofia è costellata di filosofi che detestano cordialmente qualche Grande del *pensiero.
(Nota: con questo non intendo che io sia parte della storia della filosofia. Non sono stupido).
D'ora in poi - e per il resto della mia vita! - cercherò di collezionare tutte le stupidaggini di Heidegger, impegnandomi naturalmente a dimostrare che si tratta effettivamente di stupidaggini.
Insigni ricercatori (Adorno, Bourdieu, Farias, Faye) hanno dedicato parte del loro tempo a dimostrare che H fosse intrinsecamente nazista, che il suo pensiero fosse nazista: questo, assieme a nonno Deleuze, io lo do per scontato.
Cercherò piuttosto di mettere in luce gli aspetti RIDICOLI del profeta di Todnauberg, così come essi appaiono ai miei (ridicolo) occhi.
Ritengo che tali aspetti costituiscano materia essenziale per un film su H (un film su H è un mio vecchio progetto, ma in passato mi sfuggiva la vena comica del poetastro baffuto).

PS: fu Edgard Reitz a rivelarmi, un mattino in cui lo accompagnai a colazione al collegio Ghislieri, che avrebbe voluto fare un film su Wittgenstein presentandolo come "comico". L'idea era buona, ma il filosofo giusto non era Wittgenstein: era Heidegger.

PSS (30/04/14): rettifico, non mi impegnerò affatto a dimostrare che le seguenti stupidaggini sono stupidaggini. Se non siete stupidi dovreste essere d'accordo con me.

STUPIDAGGINE 1, H e la tecnica secondo Franco Volpi: "Per Heidegger, in sostanza, non si va oltre la tecnica assumendo degli atteggiamenti di reazione rispetto ad essa. Nel vortice del nichilismo della tecnica l'uomo non deve assumere, come dire, degli atteggiamenti semplicemente di ritorno, di battaglia, di conservazione del pretecnico, perché la tecnica consumerebbe e roderebbe qualsiasi tentativo di reagire. Proprio perché per Heidegger essa è una potenza epocale non può essere riscattata attraverso degli atteggiamenti di semplice reazione o di conservazione. Per oltrepassare la tecnica è indispensabile lasciare che la tecnica si dispieghi in tutte le sue potenzialità. L'unico atteggiamento possibile che Heidegger vede in questo dispiegarsi della tecnica consiste nell'aiutare la tecnica a sviluppare tutte le sue possibilità fino all'estremo, e dunque un atteggiamento che, come dire, raccolga le risorse ancora integre, per poter mantenere l'equilibrio nel vortice che la mobilitazione totale della tecnica ha scatenato."

COMMENTO: eliminando le parole retoriche come "vortice" e "mobilitazione totale" (titolo di un libro di Junger) sembra quasi che (secondo Volpi) secondo Heidegger bisognerebbe costruire il maggior numero possibile di centrali nucleari, space shuttle e scudi stellari per affrettare la fine di un'epoca e l'inizio di una nuova epoca. Il tutto, inanellando raffinati testi filosofico-poetici in compagnia di professori universitari occidentali e orientali in visita alla propria semplice baita nel bosco...

STUPIDAGGINE 2: dalla biografia di H. W. Petzet, paragrafo sull'incontro con

Heidegger aveva parlato di ‘abbandono’, di ‘apertura al mistero’. Così, alla fine si parla dell’essenza della meditazione [Meditation]: cosa significa per l’uomo orientale? Il monaco risponde del tutto semplicemente: “Raccogliersi”. E spiega: quanto più l’uomo, senza sforzo di volontà, si raccoglie, tanto più dis-fa [ent-werde] se stesso. L’‘io’ si estingue. Alla fine, vi è solo il niente. Il niente, tuttavia, non è ‘nulla’, ma proprio tutt’altro: la pienezza [die Fülle]. Nessuno può nominarlo. Ma è, niente e tutto, la piena realizzazione [Erfüllung]. Heidegger ha compreso e dice: “Questo è ciò che io, per tutta la mia vita, ho sempre detto.”
Ancora una volta il monaco ripete: “Venga nella nostra terra. Noi La comprendiamo”.
Heidegger è molto scosso. Chiude il colloquio con le parole (rivolte a me): “Le dica che tutta la mia fama nel mondo non significherebbe per me nulla, se io non fossi compreso e trovassi comprensione. Di questo non solo sono grato, ma in questo colloquio ne ho avuto una conferma, quale raramente mi è toccata.”
Entrambi si alzano e si guardano a lungo. Poi il monaco si inchina profondamente e va via. Il colloquio è durato più di due ore e si è fatto notte.
Solo lentamente si scioglie la tensione. Gli Heidegger mi pregano di restare a cena. Prima, devo mostrare alla Signora Elfride dove si trova Bangkok su di un vecchio atlante scolastico. Poi vengono in luce molte piccole osservazioni. Heidegger ed io conveniamo sul fatto che il volto del monaco ha una purezza infantile, tra l’animale e lo spirituale, ma mostrata senza ‘infantilità’, poiché vi è la più profonda consapevolezza. E che attraverso il viso diventa visibile la santità di tutta la persona. Meravigliosi i profondi occhi che, a differenza dei giapponesi, guardano dritto negli occhi. Nessun dualismo tra spirito e sensi. La serietà, ma anche la serena allegria: questo resta indimenticabile.
D’altra parte, Heidegger ha sentito fortemente che uomini come il monaco non avvertono neanche ciò che significa realmente l’apparato tecnico che noi usiamo. Essi lo prendono e lo usano come un martello o un ago. Tanto poco sono impressionati dalla tecnica occidentale, altrettanto poco sanno cosa accade nella ‘In-stallazione’[Ge-Stell].
Doveva aver ragione. Circa un anno dopo l’incontro con il monaco (o forse di più?), un giorno mi chiamò: aveva da parteciparmi qualcosa di triste. “Il monaco col quale ebbi quel bel colloquio ha abbandonato il suo Ordine e ha assunto un lavoro in una società televisiva americana.”

COMMENTO: numerosi spunti, qui, gustosissimi. Inizierei sottolineando la necessità di "mostrare alla Signora Elfride dove si trova Bangkok su di un vecchio atlante scolastico". La signora Elfride, nazista convinta e antisemita conclamata, evidentemente nelle scuole del Terzo Reich non aveva imparato a consultare un atlante. Ma a Martin piaceva per la sua fresca e originaria femminilità.
Venendo a Martin, frasi come "Questo è ciò che io, per tutta la mia vita, ho sempre detto" mi riportano alla mente il caro zio Leone: anche lui diceva sempre "io dico sempre...".
Pregevolissimo l'epico momento in cui Heidegger è "molto scosso": “Le dica che tutta la mia fama nel mondo non significherebbe per me nulla, se io non fossi compreso e trovassi comprensione.”
Si evince che Martin temeva moltissimo di essere ammirato senza reale comprensione, solo per vezzo, magari per il suo severo e diginitoso aspetto fisico (non fu lui che una volta disse a Jaspers che Hitler aveva delle mani bellissime?). Mettiamoci nei suoi panni: stuoli di ammiratori lo considerano uno dei più importanti filosofi viventi e lui è triste perché pochi lo comprendono davvero. Terribile. Per fortuna ogni tanto arriva un monaco buddhista dalla Tailandia a risollevare la media della comprensione di Heidegger. Anzi no, perchè poco dopo si capisce che anche il tailandese era un babbione come gli occidentali: "D’altra parte, Heidegger ha sentito fortemente che uomini come il monaco non avvertono neanche ciò che significa realmente l’apparato tecnico che noi usiamo. Essi lo prendono e lo usano come un martello o un ago. Tanto poco sono impressionati dalla tecnica occidentale, altrettanto poco sanno cosa accade nella ‘In-stallazione’[Ge-Stell]."
Non per nulla il monaco furbastro, l'anno successivo (forse dopo aver capito il senso della filosofia di Heidegger) decise di andare negli USA a lavorare in televisione. O tempora o mores.

STUPIDAGGINE 3. A Zollikon, Ginvera Bompiani chiese in francese a Heidegger se conoscesse la musica di Nietzsche. Poiché Heidegger non capiva bene il francese, equivocò che Ginevra gli stesse chiedendo se conosceva Nietzsche.
COMMENTO: Quando si dice "insight", "principio di carità" e "massimizzazione della pertinenza" non si pensa di sicuro a Heidegger.

STUPIDAGGINE 4. Citato in "Perché ancora la filosofia", Carlo Cellucci, p.4:«nessun sapiente proverà invidia per gli ‘scienziati’ – gli schiavi più miseri dei tempi più recenti».
COMMENTO: no comment.


STUPIDAGGINE 5. Citato in "Heidegger, antisemita e vero nazista", Ranieri Polese: «Ma può essere un caso che il mio pensiero e le mie questioni nell’ultimo decennio siano stati rifiutati proprio in Inghilterra, e che non si sia fatta nessuna traduzione delle mie opere?».
COMMENTO: Ehi, Martin, non credo affatto che sia stato un caso: a quel tempo, prima che voi crucchi cominciaste a bombardarli, i britannici avevano già a che fare con Wittgenstein. Wittgenstein, hai presente? (Che pure apprezza la tua nozione di angoscia, in un suo frammento).