Il giorno della mia laurea a Pavia ero più triste che contento.
Mi sollevava avere finalmente terminato un lavoro assurdo di scrittura, durante il quale il mio relatore non mi aveva seguito neanche il tempo di un tè pomeridiano (un privilegio riservato alle studentesse, della cui compagnia l’anziano professore era avido).
Anche se ero contento per il lavoro, terminato in condizioni non ottimali - avevo scritto nella casa paterna, bevendo tutti i giorni molta birra - percepivo una cupa pesantezza proiettata sulla scena da mio padre, taciturno e impenetrabile come non mai. Non era da lui quel tacere. Non volevo sapere che era malato.
Quando la discussione della tesi fu terminata (ma avevo cercato di affrettare la fine accennando ad alzarmi senza rispondere alle domande dei relatori) mi sembrava che l'evento non avesse proprio alcun senso.
Uscimmo dall'aula e il fotografo che ci aveva convinti ad affidarci a lui cominciò a fotografare sulle scale il gruppo di amici e parenti. Passò allora Mario Vegetti, il famoso grecista, che ci disse di andare a fotografarci fuori dall'edificio: “con i bellissimi chiostri che abbiamo!" Provai molta vergogna, come se la responsabilità fosse mia, ma poi mi dissi che forse avrebbe potuto pensarci qualcun altro. Per esempio mio padre.
La vergogna che provai per quelle brutte fotografie di una brutta laurea è registrata nella mia foto ufficiale: sono davanti a un pozzo in muratura al centro del chiostro. Ho gli occhi chiusi e sono un po' inclinato di lato come un omino di Chagall.
Mio padre e gli zii non si fermarono per la cena, diversamente da ciò che speravo e trovavo normale dovessero fare. Anche mia madre, che da vent'anni era separata da mio padre, tornò in Piemonte con gli altri. Quando i parenti furono tutti partiti mi sentii triste e stanco e per reagire decisi di cominciare a telefonare a Strasburgo, dove avevo fatto l'Erasmus, per trovare un professore che mi prendesse sotto la sua tutela per il Diplôme d'Etudes Approfondies.
Era il 24 giugno 1997 e da quel momento non mi fermai più un istante. Fino alla morte di mio padre.