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giovedì 22 giugno 2017

Diego, Derrida, Deleuze (DDD) (Roman Nouveau, 12)

Diego, Derrida, Deleuze (DDD)

Se mi ero avvicinato a Derrida era solo colpa di Diego. Diego era il mio gemello spirituale. Durante il mio primo anno di filosofia, dopo avere abbandonato l'odiata giurisprudenza, condividevo con lui tutte le novità filosofiche che non filtravano attraverso l'insegnamento accademico pavese, asfittico e provinciale. Al Ghislieri noi eravamo come Bouvard e Pécuchet, due idioti abbandonati a noi stessi e ai nostri entusiasmi.
Io avevo scoperto L'Anti-Edipo di Deleuze e Guattari, e Diego aveva scoperto La scrittura e la differenza, di Derrida: ci comunicammo le nostre scoperte e ognuno pretendeva che il proprio libro fosse pazzesco e incredibile, una svolta epocale per la filosofia e la nostra formazione. Poi ci scambiammo gli autori per dialettica mimetica: io divenni un paladino di Derrida e lui di Deleuze. Negli anni successivi studiai Derrida, che era più popolare tra i docenti pavesi, e mi compromisi al punto da andare a fare l'Erasmus a Strasburgo per studiare con Nancy e Lacoue-Labarthe, che di Derrida erano amici ed eredi.
I derridiani mi avevano quasi abbattuto con la loro tristezza ermeneutica infinita, ma appena arrivai a Strasburgo Deleuze si suicidò. Iniziai a studiarlo allora. Fu lui a salvarmi dalla tristezza decostruzionista, da morto.
Gilles Deleuze si è defenestrato dalla sua casa parigina il 4 novembre 1995, perché una grave insufficienza respiratoria lo aveva ormai costretto in condizioni di vita molto difficili: non poteva stare in piedi né coricato, ma soltanto seduto e attaccato alla sua macchina respiratoria. Ricordo bene il giorno in cui Deleuze è morto perché ero a Strasburgo, me lo comunicò per telefono la mia ex ragazza (quella che odiava i professori universitari) e lo stesso giorno fu ucciso Rabin, il politico israeliano.
Il giorno che Deleuze si è suicidato e Rabin è stato ucciso avevo pensato così: se il buddismo dicesse il vero, dopo la morte l’anima si reincarna in altri corpi, allora perché non nel mio? Avevo iniziato a convincermi che poiché sentivo uno strano formicolio alla mente questo voleva dire qualcosa, era un segno della metempsicosi: era Gilles Deleuze che mi aveva scelto e veniva a reincarnarsi da me, almeno un pezzetto.
Avrei forse anche potuto immaginarmi che non fosse quella di Deleuze bensì l’anima dell’israeliano Rabin a teletrasportarsi fino a me. Ma di Rabin non mi importava nulla.