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mercoledì 16 febbraio 2011

Una mia mail nel dibattito su una lista civica per i beni comuni, a Torino

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La direzione indicata da Ugo Mattei mi sembra la migliore e la più forte, sia dal punto di vista teorico che pratico: chi vorrà impegnarvisi non ha la garanzia della vittoria, ma non stiamo giocando né facendo una guerricciola politica
Vogliamo riconfigurare una nuova sinistra veramente e fortemente riformista (il che significa più rivoluzionaria di qualsiasi prospettiva rivoluzionaria libresca e puramente mentalistica) a partire dalle nuove idee proprie dello spirito del tempo, di cui la nozione di “beni comuni” appare essere una possibile chiave di volta.

Non si dica che è tardi per un simile esperimento, perché molti di noi auspicavano scelte di questo genere DA MESI, quindi semmai, sono gli attendisti che ora devono accelerare il ritmo per unirsi alla corsa comune di una sinistra che immobile non era proprio, almeno nel guazzabuglio interiore delle passioni.

L’unica obiezione virtualmente preoccupante cui mi pare si debba rispondere è la seguente: e se non riusciamo? Ebbene, perché non rivoltare la domanda così: se scegliessimo la via più facile, cioè tentare di eleggere almeno un rappresentante scelto in seno alla sinistra istituzionale, QUESTO CHE COSA CAMBIEREBBE? Dobbiamo accontentarci di sperare di venire talvolta ascoltati per finta oppure dobbiamo cercare di imporre sulla scena pubblica nuove parole d’ordine che – come ieri diceva benissimo Ugo – non siamo noi a comandare ma si stanno imponendo alle masse per la loro forza oggettiva?
Dobbiamo impegnarci per tentare di avere una voce critica nel deserto politico o vogliamo provare a ribaltare il tavolo irrompendo sulla scena politica con una forza nuova, una rappresentanza rinnovata, idee chiare distinte oneste e forti, elaborazioni nuove e profonde, parole fresche e autentiche e non cariche di una storia pur nobile ma ormai logorata dal tempo e dalla sorte?

Io non ho dubbi: se le domande che pongo sono giuste, bisogna rispondere con coraggio e passione che CERTAMENTE NOI NON CI ACCONTENTIAMO PIU’ DI UNA SINISTRA CHE SI ACCONTENTA.
Tentiamo la nostra sorte, mobilitiamo la cittadinanza tutta (perché su questi temi ho la certezza che sia persino possibile raccogliere simpatie da chi è estraneo alla sinistra), diamoci da fare e facciamoci vedere: se riusciamo sarà un trionfo politico e morale, se falliamo sarà comunque un coraggioso e onorevole tentativo, meglio che deperire stando alla finestra.
L’unico almeno per il quale io mi senta di battermi fino in fondo senza riserve.

Cari saluti

Edoardo Acotto

Un mio progetto fallito del 2006: Pacemecum, piccolo vademecum della nonviolenza (suggeritomi da Einaudi)


Regole pratiche per la direzione dell’ingegno nonviolento


  1. Introduzione. La banalità della nonviolenza

Distinguiamo tra nonviolenza e "pacifismo". L’ovvietà della violenza è tale solo all'interno di una cultura che considera ovvia la violenza. Ogni cultura giustifica certi tipi di violenza ma la nonviolenza può superare la relatività delle culture. Razionalità della nonviolenza: reagire violentemente non garantisce il minor danno complessivo. Differenza tra violenza e aggressività. La nonviolenza non è una filosofia astratta ma uno stile di pensiero e di comportamento valido in tutte le circostanze.

1.   non reagire con violenza/reagisci con nonviolenza

È possibile dominare e trasformare i propri istinti aggressivi, posto che li si sappia riconoscere e identificare: l'autocontrollo è alla portata di tutti. Tecniche di base del comportamento nonviolento. Esemplificazione di casi concreti: di fronte a situazioni quotidiane si danno possibilità di comportamento che normalmente non vengono prese in considerazione per mancanza di educazione alla nonviolenza.

  1. non agire con violenza/agisci con nonviolenza

Cause ed effetti: comprendere il circolo dei comportamenti violenti. Manifestare il proprio dissenso contro la violenza e accettarne le conseguenze: l’esempio della protesta antibellicista di Thoreau. Le tecniche della nonviolenza. Tra i due litiganti il terzo media: tecniche di analisi e comunicazione dei propri "fondamenti" emotivi (Pat Patfoort).

  1. non parlare con violenza/parla con nonviolenza

La violenza verbale è violenza tout court: imparare a soppesare le parole in ogni situazione può aiutare a prevenire o smorzare la violenza. La nonviolenza mantiene sempre aperta la via del dialogo: la lettera di Gandhi a Hitler come esempio di radicale ideologia nonviolenta. La responsabilità dei media. Caratteristiche dello stile comunicativo nonviolento. Ironia vs sarcasmo.

  1. non pensare con violenza/pensa con nonviolenza

Come orientare i propri pensieri? Il pensiero è per sua natura involontario e sfugge alla presa di una coscienza non allenata a controllarsi. Non indugiare nella rappresentazione mentale violenta. Lasciar scorrere i pensieri violenti come il vento tra i rami. Analizzare i pensieri violenti per capirne le cause. «Ci mancavano gli idioti dell'orrore».

  1. non sentire con violenza/senti con nonviolenza

Orientare il proprio sentire: il pan-mentalismo buddhista come esempio di tecniche di trasformazione di sé. La cultura della violenza è contagiosa: contrastare l’interiorizzazione della violenza per spezzare il circolo della "pedagogia nera". La violenza verso gli animali e verso l’ambiente è consustanziale alla violenza verso gli esseri umani. Coetzee e Singer: l'empatia (e i neuroni-specchio).