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mercoledì 27 giugno 2012

Vogue35 - St Vincent e David Byrne

Pubblicato su Vogue.it


Annie Erin Clark, in arte St Vincent, ha finalmente terminato il disco cui lavorava da due anni e mezzo insieme a David Byrne, l'ex leader degli archetipici Talking Heads ormai trasfigurato in vera e propria icona-pop (lo si è visto recentemente nel film di Sorrentino, This Must Be the Place, titolo tratto da una canzone dell'epico gruppo).

Il lavoro con Byrne, a quanto pare perfettamente equilibrato tra i due artisti, ha prodotto 13 canzoni scritte a quattro mani, anche se il duo non ha ancora deciso quali includere nel disco, né tantomeno il nome dell'album. Anche se la cosa non può farle che un piacere estremo ("I think I've reached the pinnacle of who I want to work with", ha detto elegantemente Annie), non c'era forse bisogno di questa santificazione per accorgersi che la Clark è una delle musiciste più interessanti che animino l'attuale scena musicale americana, e non soltanto americana.

La bella cantante, 30 anni a settembre, ha al suo attivo tre dischi (l'ultimo, in tournée adesso, è Strange Mercy), che hanno avuto gran successo di critica e di pubblico. L'impasto sonoro esaltante è piuttosto melodico e connotato da ricchi espedienti elettronici oltre che dal vezzo di piegare alle sonorità del rock alcuni stilemi del minimalismo americano di Philip Glass o John Adams. I suoi brani si basano sovente su netti contrasti strutturali, a sezioni più cool e cantabili si aggiungono scatenati intermezzi elettro-grunge.

Qualcuno potrà scorgere un po' troppo l'influenza di Björk, ma qui siamo in terra americana, lontani dai ghiacci rivoluzionari dell'Islanda, e ci si può attendere che l'imminente disco con David Byrne accentuerà ulteriormente la cifra culturale USA.



Adso da Melk

Ho letto Il nome della rosa quando avevo più o meno 14 anni (mi piacque da morire, a parte le pagine di storia e i testi interpolati in latino).

A un certo punto ripetendo il misterioso nome del suo protagonista, Adso da Melk, mi resi conto che pronunciandolo ripetutamente (adsodamelkadsodamelkadsodamelkadso), si ode quasi subito distantemente "dame 'l cazzo", un imperativo categorico che potrebbe essere un misto di italiano e non meglio precisato dialetto nordico, forse il piemontese dello scrittore.

La letteratura non conferma la mia "intuizione", e lo stesso Eco ha ricollegato il suo Adso alla figura storica del monaco Adso da Montier-en-Der.
Ma sono convinto che quel sapiente burlone non possa essersi imbattuto per caso in questo gioco fonetico. Non certo lui, che diede una tesi di laurea consistente nel calcolare il numero di occorrenze del nome Laura nelle poesie di Leopardi e del nome Silvia in quelle di Petrarca :-D