Pubblicato su Vogue.it
Annie Erin Clark, in arte St Vincent, ha finalmente terminato il disco cui lavorava da due anni e mezzo insieme a David Byrne, l'ex leader degli archetipici Talking Heads ormai trasfigurato in vera e propria icona-pop (lo si è visto recentemente nel film di Sorrentino, This Must Be the Place, titolo tratto da una canzone dell'epico gruppo).
Il lavoro con Byrne, a quanto pare perfettamente equilibrato tra i due artisti, ha prodotto 13 canzoni scritte a quattro mani,
anche se il duo non ha ancora deciso quali includere nel disco, né
tantomeno il nome dell'album. Anche se la cosa non può farle che un
piacere estremo ("I think I've reached the pinnacle of who I want to
work with", ha detto elegantemente Annie), non c'era forse bisogno di
questa santificazione per accorgersi che la Clark è una delle musiciste più interessanti che animino l'attuale scena musicale americana, e non soltanto americana.
La bella cantante, 30 anni a settembre, ha al suo attivo tre dischi (l'ultimo, in tournée adesso, è Strange Mercy), che hanno avuto gran successo di critica e di pubblico.
L'impasto sonoro esaltante è piuttosto melodico e connotato da ricchi
espedienti elettronici oltre che dal vezzo di piegare alle sonorità del
rock alcuni stilemi del minimalismo americano di Philip Glass o John
Adams. I suoi brani si basano sovente su netti contrasti strutturali, a sezioni più cool e cantabili si aggiungono scatenati intermezzi elettro-grunge.
Qualcuno potrà scorgere un po' troppo l'influenza di Björk, ma qui siamo in terra americana, lontani dai ghiacci rivoluzionari dell'Islanda, e ci si può attendere che l'imminente disco con David Byrne accentuerà ulteriormente la cifra culturale USA.
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