E’ tutta, In ogni umano stato, ozio la vita, Se quell’oprar, quel procurar che a degno Obbietto non intende, o che all’intento Giunger mai non potria, ben si conviene Ozioso nomar. (Giacomo Leopardi)

venerdì 8 novembre 2013

BES per Gli Asini (in fase di scrittura)



    Estensione del dominio dell'inclusività

Remember me, special needs (Placebo)

Bisogni Educativi Speciali è l'etichetta italiana con cui il MIUR ha recepito l'orientamento europeo sugli Special Educative Needs (SEN: pare che sia il Regno Unito ad averne parlato per primo). L'etichetta nostrana, buffamente omofona del nome del dio minore del pantheon egizio (spesso rappresentanto come un vecchio nano con gambe storte e ornato di piume di struzzo), ha subito attecchito nel gergo scolastichese: pochi sanno che cosa significhi e quand'anche si sappia sembra che si consideri ovvio il significato di un concetto tecnico che ovvio non è affatto. Dato il contesto scolastico, che cosa significa bisogni? Che cosa significa educativo? Che cosa significa speciale? È un concetto tripartito che prima di essere applicato in modo intuitivo o burocratico andrebbe pensato e analizzato molto bene.
Non c'è una normativa comune a livello di Unione Europea, ma da anni i SEN fanno parte del repertorio concettuale degli esperti educativi. Si dice per esempio nell'incipit di un rapporto della Commissione europea del 2005, giocando sull'ambiguità di “speciale” (che infatti qualcuno propone di sostituire con “specifico”): “Like DNA each individual is unique. Being unique makes that individual special. The word special is used to describe something that relates to one particular individual, group or environment. Special also means different from normal. Normal is used to refer to what is ordinary, as in what people expect.”

Nella scuola italiana i BES sono stati introdotti con la Direttiva Ministeriale BES (27/12/2012) dal ministro Profumo. Il ministro Carrozza ha poi diramato una circolare ministeriale (n.8 del 6/03/2013) nella quale precisava (non senza qualche vaghezza) in che modo dovrebbe avvenire l'implementazione del dispositivo normativo. Profumo, per chi non lo sapesse, è il ministro dell'infelice frase sul bastone e la carota per gli insegnanti1. Era considerato un “tecnico”,ambigua etichetta che sembra quasi oler giustificare l'aggressività rivolta versi i propri stessi dipendenti (il ministro Brunetta chiamava “fannulloni” i dipendenti pubblici, ma l'espressione di Profumo mi sembra peggiore, connotata com'è in senso bellico-fascista2).
L'attuale ministro Mariagrazia Carrozza, invece, esperta mondiale di meccatronica e già direttrice del Sant'Anna è un ministro politico, espressione del PD, pur continuando la breve serie dei ministri dotati di expertise (a differenza di Mariastella Gelmini che poco o niente aveva a che fare con istruzione università e ricerca). Da lei, dunque, qualcuno poteva forse aspettarsi una qualche sensibilità “di sinistra” riguardo alla scuola, ma. Suppongo che quel qualcuno sia rimasto deluso dalle recenti notizie: per fare solo due esempi, secondo il ministro il liceo di quattro anni andrebbe benissimo, così come il meccanismo della cooptazione per l'arruolamento dei docenti universitari, introdotto dalla riforma Gelmini e sostenuto anche da molti professori universitari di centrosinistra (perché affaticarsi a fare concorsi truccati quando si sa che la cooptazione di fatto già avviene?).
Insomma, i BES sono stati introdotti da due ministri che non sembrano avere molto a cuore il sistema educativo pubblico così come consegnatoci dalla Costituzione.
Tornando ai BES, la Direttiva Profumo rinvia all'elaborazione teorica dell'Organizzazione Mondiale della Sanità relativa al “funzionamento” degli esseri umani (e qui si potrebbe discutere parecchio della legittimità di tale concetto). Dice infatti quanto segue: “[...] è rilevante l’apporto, anche sul piano culturale, del modello diagnostico ICF (International Classification of Functioning) dell’OMS, che considera la persona nella sua totalità, in una prospettiva bio-psico-sociale. Fondandosi sul profilo di funzionamento e sull’analisi del contesto, il modello ICF consente di individuare i Bisogni Educativi Speciali (BES) dell’alunno prescindendo da preclusive tipizzazioni.” C'è insomma un tentativo di coniugare il tecnicismo di una razionalizzazione mondiale con il contrasto alle stigmatizzazioni di chi si trovi in situazione di bisogno. La Direttiva Ministeriale di Profumo in pratica ha esteso a tutti gli studenti in difficoltà il diritto alla personalizzazione dell’apprendimento. L'area dei Bisogni Educativi Speciali comprende infatti: “svantaggio sociale e culturale, disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture diverse”. La Direttiva riconosce che esistono tanti tipi di disagi oltre a quelli già classificati come “diversabilità” (Ianes) e come “Disturbi Specifici dell'Apprendimento” (DSA: dislessie, discalculie, disgrafie, disortografie).
Da questo punto di vista mi pare che il testo della Direttiva ponga un problema reale, perché la natura pervasiva e sociopolitica del disagio non può essere ignorata da nessun insegnante. Ogni classe è un piccolo mondo che riflette in qualche modo il vasto mondo sociale, attualmente in forte crisi, come ben noto. Che la scuola possa prendersi cura del disagio dei giovani cittadini, istituzionalmente e non solo in maniera volontaristica e asistematica, come da sempre avviene, è positivo. È una potenziale apertura della scuola verso la società e le sue tensioni, che troppo spesso filtrano all'interno in maniera asettica, come se ci fosse per davvero una separazione tra dentro e fuori, tra incluso ed escluso.

Con la nuova normativa BES è responsabilità degli insegnanti e del consiglio di classe individuare a tutela dell'alunna o dell'alunno in situazione di disagio la possibilità di tenere conto dei “livelli minimi attesi per le competenze in uscita”, per ciascun ciclo di studi (primo biennio, secondo biennio, quinto anno). Questo non significa poter “promuovere tutti” (l'eterna paura di certi insegnanti un po' reazionari) ma significa evitare che un* giovane con . Farò un solo esempio personale: a metà ottobre il coordinatore di una classe mi parla di una alunna con BES certificato (possono esserlo o non esserlo) e mi dice che non ha speranza di farcela nella nostra scuola. Ma durante il primo collloquio con la madre della ragazza si scopre che alle medie era abituata a usare un pc portatile, per compensare la sua disgrafia: fino a quel momento nessun insegnante aveva pensato di chiederglielo e ci si accingeva già a “riorientare” la ragazza verso un'altra scuola. Non per cattiveria ma perché a scuola spesso si ragiona ancora sulla base di una semplice logica binaria: ce la fa/non ce la fa, è da promuovere/è da bocciare, è bravo/non è bravo. Il concetto di inclusività potrebbe forse scardinare questa logica, o almeno indebolirla (non dirò “decostruirla” perché questo mutamento, se avviene, non avviene affatto da sé, c'è anzi bisogno di molto lavoro culturale sul campo).

I BES sono stati recepiti abbastanza male: molti insegnanti li hanno identificati come un potenziale “bastone”, non certo come una carota. Si è temuto un carico supplementare di lavoro unito a una subdola manovra per diminuire gli insegnanti di sostegno (è questa la prima interpretazione che si è levata da sinistra, da parte sindacale e sui siti specializzati).
Non ne sanno quasi nulla, o forse proprio nulla, i cosiddetti "utenti" (squallido lessema neoliberista), cioé alunn* e famiglie. Del resto, in apparenza questo è un cambiamento normativo che riguarda soltanto il corpo insegnante: per gli "utenti" dovrebbe manifestarsi come surplus di tutele. Invece... Invece è nell'interesse di tutti i cittadini italiani che hanno a che fare con la scuola conoscere bene questo nuovo dispositivo (che si potrebbe chiamare “biopolitico”, per scomodare il concetto di Foucault ultiamente molto di moda): in certi casi potrebbe essere un'utile arma difensiva contro certe inerzie nocive di un'istituzione fortemente in crisi come la scuola.
I BES sarebbero un indubbio bene se venissero effettivamente usati per aumentare l'inclusività della scuola. Sulla carta sono progettati così, naturalmente come dispositivo propositivo e non come “grimaldello” decostruttivo dell'esclusione scolastica. Ma è questa una prospettiva che si può aggiungere da una posizione militante, diffidente verso le buone intenzioni meccatronico-ministeriali.
I BES possono anche essere un rischio: come ogni rivoluzionario sa, il fallimento è sempre in agguato. Con il prodigioso (e misterioso) aumento dei disturbi specifici e aspecifici dell'apprendimento, nei prossimi anni si avranno scuole che per ingrandirsi accetteranno alunni con problemi, mentre altre potrebbero scegliere una politica di “pulizia”: nonostante si parli di scuola pubblica statale, le scelte dei dirigenti possono infatti esssere diametralmente opposte, grazie a quell'altro flagello neoliberale che è la cosiddetta Autonomia scolastica3. La percentuale di BES nelle scuole potrebbe anche diventare uno stigma socialmente divisivo: qualcuno non vorrà iscriversi in una scuola con troppi bisogni speciali.
C'è ovviamente anche un'altra possibilità, e cioé che i BES non abbiano nessuna efficacia, non servano ad aumentare l'inclusività e lascino tutto così com'è, solo con qualche modulo compilato in più. In questo caso l'ominimia col personaggio egizio, omino piccolo e brutto ma vestito di piume di struzzo, risulterebbe profeticamente e tristemente azzeccata.

Bisogna soprattutto tenere conto che l'introduzione dei BES avviene in un contesto scolastico gravemente degradato, a causa della riforma Gelmini ma non soltanto: c'è un fil rouge abbastanza evidente che collega il finanziamento anticostituzionale della scuola privata, avviato dal ministro di centrosinistra Luigi Berlinguer enl 1998, con le tre "I" berlusconiane e la riforma Gelmini ("la prima e unica dopo quella di Gentile"), e con la tecnicizzazione anche della politica scolastica propria agli ultimi due governi. La criticità della situazione si manifesta in modo molto concreto: cominciano a essere frequenti le cosiddette “classi pollaio” con trentacinque alunni di cui magari, per semplice statistica, circa tre con DSA, uno o due con BES, un diversamente abile e almeno uno straniero. E poi ovviamente con molti altri disagi psicologici, sociali ed economici non facilmente formalizzabili. Si aggiunga che una simile classe-polveriera, sempre per semplice statistica, viene spesso lasciata in mano a un insegnante - più spesso una insegnante - mediamente ultracinquantenne, sovente sull'orlo del burn out anche solo per semplici ragioni anagrafiche e sociali (ho visto diverse colleghe con genitori anziani e malati faticare per fornire loro un'assistenza ormai quasi insostenibile sul piano economico).
I BES vengono dunque gettati nella mischia senza aver prima fornito ai lavoratori della scuola gli adeguati strumenti, dato che il taglio degli investimenti per la scuola pubblica non soltanto ci condanna a stazionare in edifici non a norma (e talvolta crollano) ma anche a non poter svolgere appieno e serenamente la nostra funzione.

Ma nonostante tutto questo, io penso che i BES possono comunque essere un'opportunità. Non vedo infatti che cosa dovrebbe trattenere gli insegnanti che non rinunciano all'utopia di una rivoluzione nonviolenta da attuarsi giorno dopo giorno, dall'impegnarsi per far funzionare questo dispositivo normativo in modo rivoluzionario. Mentre la nave Scuola affonda, insomma, non vedo perché dovremmo rinunciare a estendere il dominio della lotta. Mi rendo conto che la scuola come nave che affonda non è certo un'immagine rassicurante e sembra implicare che qualcuno non si salverà. L'inclusività può essere una buona scialuppa di salvataggio? Io lo voglio sperare: è un ideale che parla di una scuola aperta, forse addirittura di una futura società aperta, nel senso capitiniano dell'apertura al tu-tutti.
Bisognosi di tutta la società unitevi (dentro e fuori la scuola)!


Edoardo Acotto

1 “Il Paese va allenato. Dobbiamo usare un po' di bastone e un po' di carota e qualche volta dobbiamo utilizzare un po' di piu' il bastone e un po' meno la carota. In altri momenti bisogna dare piu' carote, ma mai troppe”.
2“Pare che in questo senso la frase sia stata usata anche da Winston Churchill, in due discorsi alla Camera dei Comuni nel maggio e nel luglio del 1943, in merito al modo in cui secondo lui andava trattato il popolo italiano. Nel 1945 Benito Mussolini riprese il tema e la locuzione in una serie di articoli sul Corriere della Sera.” (http://dizionari.corriere.it/dizionario-modi-di-dire/B/bastone.shtml#6)

      Onto-teo-logia della pigrizia (Intuizione, 10)

      Se fosse per me, l'Essere (anche Dio) se ne starebbe quieto a non far nulla, si metterebbe eventualmente in azione solo quando richiesto.
      Vantaggi e svantaggi.
      Vantaggi: apertura fondativa all'altro, grande o piccolo. Disponiblità all'ascolto della chiamata.
      Svantaggi: l'assenza d'opera è un'opzione come un'altra. Si rischia il nulla di fatto.
      Vantaggi: quiete della possibilità, potenza di non creare, non agire, non essere.