E’ tutta, In ogni umano stato, ozio la vita, Se quell’oprar, quel procurar che a degno Obbietto non intende, o che all’intento Giunger mai non potria, ben si conviene Ozioso nomar. (Giacomo Leopardi)

domenica 12 agosto 2018

Stawac (Roman nouveau, 39)

Quella notte dormii a casa della zia Pierina e dello zio Luigi. Immaginatevi di passare la notte nell’attesa che vostro padre muoia: immaginatevi però di non essere a casa vostra ma in una lugubre casa di vecchi zii, dove non c’è un letto e nemmeno un divano. Pertanto dovete arrangiare un paio di poltrone l’una contro l’altra per ricavare uno spazietto nel quale rannicchiarvi coi piedi che sporgono. Ecco, oltre al danno sembra che si aggiunga una schifosa beffa perché dormire almeno un po’ su un letto degno di questo nome parrebbe il minimo per prepararsi a ricevere la notizia più brutta. 

Il telefono squillò verso le quattro del mattino: sentii la zia rispondere a monosillabi con la voce di un vecchio uccellino e chiudere ringraziando il dottore con un sussiego che mi rivoltò lo stomaco. Mio padre era già morto da circa un’ora.

Quando hai la cirrosi (Roman nouveau, 32 bis)

Comunque quando hai la cirrosi il tuo fegato si ricopre di ricciolini di malattia che deformano il fegato e si propagano agli organi circostanti. Ma questo solo nella fase ultima, che è gravissima. Se no, se lo puoi fare, ti trapianti il fegato.
Mio padre aveva il diabete ed era quindi impossibile trapiantargli il fegato e secondo un mio amico medico sarebbe forse morto sotto i ferri a causa della complicazione di dovere distaccare i ricciolini, i cirri, dal fegato da buttare e dagli organi adiacenti, che invece vanno lasciati dentro perché tutto non si può trapiantare.
Secondo me il mio amico medico mi aveva detto così anche un po’ per calmarmi, per non farmi pensare che forse c’era una possibilità di salvare mio padre.


Accelerare il tempo scrivendo (Intuizione, 48)

Dopo anni di famigliarità con la lettoscrittura ho improvvisamente scoperto un modo per accelerare l'esperienza del tempo: concentrarsi scrivendo, lasciarsi trasportare dal flusso del da-scrivere.
Come sempre, quando si parla di analisi dell'esperienza temporale, sembra che si possano invertire accelerazione/rallentamento (cfr. la discussione pertinente in La montagna incantata): mentre scrivi hai l'impressione che il tempo acceleri, ma ti sembra anche di occuparlo senza contarlo (cfr. Boulez/Deleuze: spazi e tempi lisci/striati).
Quindi accelera o rallenta? Sembra rallentare considerando la quantità di azioni che svolgi al suo interno, ma l'esperienza soggettiva è di velocità: quando interrompi la scrittura credi che sia passato più tempo di quello che è efettivamente passato.

Ho l'impressione che nella lettura accada il contario: mentre leggi hai l'impressione che il tempo rallenti (invece trascorre).

Ovviamente, tutto questo potrebbe essere ampiamente soggettivo: per un primo riscontro in letteratura, verificare in: