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domenica 23 marzo 2014

Roman nouveau, 2.1

Di fini d'agosto a Parigi ne ho viste tante perciò mi pare comprensibile che io le confonda le une con le altre. Quella del mio primo anno a Parigi però la ricordo piuttosto bene.
Appena arrivato nella metropoli iniziai a cercare casa insieme a  Yves, uno studente di filosofia con cui avevo fatto grande amicizia a Strasburgo durante l'Erasmus. C'erano le Giornate Mondiali della Gioventù, che erano un raduno giovanile di massa voluto dal papa polacco. Le strade di Parigi formicolavano di scout. Nella metropolitana non c'era spazio per procedere sulla banchina e spesso bisognava saltare sui rialzi per non essere urtati, ti aggrappavi per non cadere: c'erano giovani cattolici dappertutto con il loro strascico di immondizie. Sembrava un'invasione, era un'invasione, io la percepivo come tale. Yves era più contrariato di me: lui era cresciuto in una specie di comune hippy e odiava i cattolici (in effetti odiava anche gli hippy.
Il primo impatto con la città non era dunque quello che mi ero figurato. Mi sforzavo di visualizzare l'infinito che finalmente mi si apriva davanti. Scout a parte, ero arrivato nella città dei miei sogni.

La ricerca di appartamento a Parigi, per uno studente straniero non ricco è cosa difficile e disgustosa: il fatto che fossi in compagnia di un francese rendeva le cose un po' più più facili, ma subivamo il trattamento riservato a tutti gli studenti. Gli appuntamenti per la visita dell'appartamento erano organizzati tramite annunci su giornaletto settimanale. In base all'ordine di arrivo si formava una coda disciplinata, ma la maggior parte dei postulanti non riusciva nemmeno a vedere l'appartamento. Di solito veniva scelto uno studente tra i primi della coda, purché avesse le carte in regola. Se riuscivi a vederlo non potevi concederti il lusso di dire "ci penso un attimo": o firmavi o perdevi l'occasione. In questo modo, dopo parecchie tentate visite, uno si riduceva nello stato d'animo di prendere la prima cosa possibile.
Uno straniero da solo avrebbe trovato più penosa la selezione subita: l'anno successivo - abbandonai Yves perché la notte tornava spesso a casa ubriaco e poi diffondeva musica rap a tutto volume - visitai decine di appartamenti schifosi e costosissimi, stanzette della servitù (chambre de bonnes, le chiamano) ricavate tra un appartamento borghese e l'altro: nove metri quadrati con muri sottilissimi che ti fanno peneterare nell'intimità della famiglia accanto.
Ciononostante trovarne una in affitto era difficilissimo. Mentre mi rifiutava, un proprietario mi piagnucolò  che dovevo capire, non ce l'aveva con gli stranieri ma una volta un caraibico lo aveva fregato, era partito senza pagare e i tribunali non avevano fatto nulla per riparare al torto: non ce l'aveva con me ma non ero francese e non poteva rischiare di nuovo. "La capisco, mi dispiace", dissi consolandolo.
Ma il primo anno a Parigi avevo al mio fianco Yves. Era la persona meno accomodante del mondo. Gli facevano schifo i padroni e non gliene fregava un cazzo di trovare un appartamento decente: purché ci dessero qualcosa in fretta e ad un prezzo accettabile. Accettabile, a Parigi significa: carissimo.