Mi recai alla Normale al mattino presto e mi feci dire
a che ora ci sarebbe stata la proclamazione dei vincitori, poi andai ad
aspettare in un caffé vicino. Prolungai la colazione fino al momento che mi parve opportuno per avvicinarmi a quel tempio del sapere scolastico, nel quale avrei trovato la mia divinità vivente: Alain Badiou, un allievo di Althusser, uno che da giovane contestava Deleuze e parlava con Lacan!
Entrai alla Normale d Rue d'Ulm, facendomi strada tra ragazzi e ragazze eccitatissimi, dato che essere ammessi là dentro significa vedere il proprio destino pesantemente mutato. Chiesi di Badiou, e qualcuno mi disse che lo avrei trovato nel cortile. Non sapevo che faccia avesse, non l'avevo mai visto prima (sui suoi libri non c'erano fotografie), ma vidi un uomo di mezza età attorniato da ragazzi e qualche adulto e capii che si trattava di lui. Mi avvicinai e aspettai che finisse di parlare con gli astanti adoranti.
- E' lei il signor Badiou?
- Assolutamente.
Questo "assolutamente" mi parve brillantissimo (e allora non sapevo ancora che per quel filosofo un oggetto qualsiasi può essere più o meno se stesso).
- Buongiorno, io sono lo studente italiano che l'ha cercata per l'iscrizione al D.E.A. Le ho telefonato molte volte ma non l'ho mai trovata...
- Ah sì.
- Ecco, mi scusi se la disturbo oggi, qui, ma siccome devo sapere con certezza se lei acconsente alla mia iscrizione o no, sono venuto a disturbarla qui, mi scusi ma non potevo fare diversamente.
- Ma non c'è nessun problema, lei può iscriversi al D.E.A.
- Ma... sotto la sua direzione?
- Sotto la mia direzione!
Gli feci firmare il foglio che mi avevano dato a Paris8, e per tenerglielo fermo lo appoggiai sul tetto di una macchina parcheggiata nel cortile: era rovente e mi bruciai la mano ma sopportai stoicamente il dolore per non mettere a rischio la preziosissima firma.
Poi me ne andai un po' stordito. Questo semplice incontro di origine burocratica mi sembrava allora un evento quasi impensabile, qualcosa infinitamente superiore alla mia identità. Mi pareva di subire una splendida metamorfosi, come se la mia penosa persona iniziasse un processo di accrescimento glorioso. Mi sentivo circonfuso dalla luce del destino. O come si potrebbe più appropriatamente dire: mi sentivo preso in una procedura di fedeltà a quell'Evento che per me Badiou rappresentava necessariamente.
Per andare a Parigi e incontrare Badiou avevo chiesto ospitalità a un'amica di mio padre. Era una psicoanalista che avevo conosciuto anni prima in Italia. Quella sera, dopo avere incontrato Badiou, ero elettrizzato e durante la cena non mi trattenni dal parlarne. Raccontai che Badiou era un seguace di Lacan ma diceva di non avere mai fatto un'analisi; anzi in un suo testo si definiva "inanalizzato". Il compagno di Margaret, anche lui psicoanalista, disse che questa era una fortuna: aveva ancora la possibilità di farlo. Umorismo da strizzacervelli. Il mio leggero risentimento per quell'affermazione - di presunta superiorità dell'analizzato sul non analizzato - trovò vendetta quando Margaret si dichiarò "abbastanza lacaniana".
- Tu lacaniana? - disse il suo compagno stupito - non me lo avevi mai detto!
- Be' dai, in Francia siamo un po' tutti lacaniani., disse lei in modo poco convincente.
Andai a dormire soddisfatto, avevo seminato la giusta zizzania. Lacaniani, tzé.
Entrai alla Normale d Rue d'Ulm, facendomi strada tra ragazzi e ragazze eccitatissimi, dato che essere ammessi là dentro significa vedere il proprio destino pesantemente mutato. Chiesi di Badiou, e qualcuno mi disse che lo avrei trovato nel cortile. Non sapevo che faccia avesse, non l'avevo mai visto prima (sui suoi libri non c'erano fotografie), ma vidi un uomo di mezza età attorniato da ragazzi e qualche adulto e capii che si trattava di lui. Mi avvicinai e aspettai che finisse di parlare con gli astanti adoranti.
- E' lei il signor Badiou?
- Assolutamente.
Questo "assolutamente" mi parve brillantissimo (e allora non sapevo ancora che per quel filosofo un oggetto qualsiasi può essere più o meno se stesso).
- Buongiorno, io sono lo studente italiano che l'ha cercata per l'iscrizione al D.E.A. Le ho telefonato molte volte ma non l'ho mai trovata...
- Ah sì.
- Ecco, mi scusi se la disturbo oggi, qui, ma siccome devo sapere con certezza se lei acconsente alla mia iscrizione o no, sono venuto a disturbarla qui, mi scusi ma non potevo fare diversamente.
- Ma non c'è nessun problema, lei può iscriversi al D.E.A.
- Ma... sotto la sua direzione?
- Sotto la mia direzione!
Gli feci firmare il foglio che mi avevano dato a Paris8, e per tenerglielo fermo lo appoggiai sul tetto di una macchina parcheggiata nel cortile: era rovente e mi bruciai la mano ma sopportai stoicamente il dolore per non mettere a rischio la preziosissima firma.
Poi me ne andai un po' stordito. Questo semplice incontro di origine burocratica mi sembrava allora un evento quasi impensabile, qualcosa infinitamente superiore alla mia identità. Mi pareva di subire una splendida metamorfosi, come se la mia penosa persona iniziasse un processo di accrescimento glorioso. Mi sentivo circonfuso dalla luce del destino. O come si potrebbe più appropriatamente dire: mi sentivo preso in una procedura di fedeltà a quell'Evento che per me Badiou rappresentava necessariamente.
Per andare a Parigi e incontrare Badiou avevo chiesto ospitalità a un'amica di mio padre. Era una psicoanalista che avevo conosciuto anni prima in Italia. Quella sera, dopo avere incontrato Badiou, ero elettrizzato e durante la cena non mi trattenni dal parlarne. Raccontai che Badiou era un seguace di Lacan ma diceva di non avere mai fatto un'analisi; anzi in un suo testo si definiva "inanalizzato". Il compagno di Margaret, anche lui psicoanalista, disse che questa era una fortuna: aveva ancora la possibilità di farlo. Umorismo da strizzacervelli. Il mio leggero risentimento per quell'affermazione - di presunta superiorità dell'analizzato sul non analizzato - trovò vendetta quando Margaret si dichiarò "abbastanza lacaniana".
- Tu lacaniana? - disse il suo compagno stupito - non me lo avevi mai detto!
- Be' dai, in Francia siamo un po' tutti lacaniani., disse lei in modo poco convincente.
Andai a dormire soddisfatto, avevo seminato la giusta zizzania. Lacaniani, tzé.
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