Il risultato di questo processo, che si avvicina sempre più al completo fallimento della lotta difensiva iniziale, è un Io straordinariamente limitato, e costretto a cercare nei sintomi i propri soddisfacimenti. (Sigmund Freud)
Che senso ha la vita di una persona? È una domanda assurda, spesso non ce la poniamo che troppo tardi, quando questa persona non c’è più, o quando quasi già non la ricordiamo. Viviamo il flusso dell'esistenza e ci barcameniamo tra gli eventi e le cose che compongono la nostra quotidianità: rifacciamo il letto, cuciniamo la pappa per il bambino, suoniamo il piano, leggiamo qualche pagina di un libro noioso, eccetera. E poi, zac, a un certo punto quando meno ce l'aspettiamo succede qualcosa. Qualcosa di terribile che ci fa cambiare prospettiva su tutto. Qualcosa che ci lascia senza fiato, distrutti, schiacciati, esausti e sporchi, dimentichi di tutto quello che prima era l’orizzonte della nostra speranza.
La morte giunge nelle nostre vite e è sempre un uragano contro il quale nessun allarme vale. Fluttuiamo ignari in una vastità terribile. Siamo fuscelli nell’oceano, strappati da un albero di cui non ricordiamo nulla. O come dice Freud: noi non siamo padroni a casa nostra. (D'accordo, ma vorremmo almeno capire perché l'affitto è tanto caro.)
Quando mio padre è morto ho subito sentito l'esigenza di trasformare la sua morte in narrazione. A quel tempo non sapevo che è un'esigenza del nostro cervello, la narrazione.
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