E’ tutta, In ogni umano stato, ozio la vita, Se quell’oprar, quel procurar che a degno Obbietto non intende, o che all’intento Giunger mai non potria, ben si conviene Ozioso nomar. (Giacomo Leopardi)

sabato 11 novembre 2017

Il filo d'erba (Roman Nouveau, 33)

Deleuze dice che il divenire è come la crescita del filo d'erba, che avviene al centro e non alle estremità. Questo tipo di crescita è anti-arborescente e anti-gerarchico. Così dice Deleuze, proponendo quest’immagine come modello di pensiero per il divenire, che poi per lui è doppio, in quanto manifestazione del biforcarsi dell’istante temporale verso il passato e verso il futuro.
Sto scrivendo questo libro in modo antisimmetrico al divenire del filo d’erba: l’evento centrale è la morte di mio padre, ma poiché mi è troppo faticoso giungere a narrare quell’evento, che è il cuore di tutto questo mio ricordo, ho cominciato dall’inizio e dalla fine, in modo retrogrado, sicché terminerò di scrivere quando riuscirò ad approdare al centro, il solido cuore ben rotondo della morte di mio padre.
Vero è che la narrazione bipartita tende a dilatarsi sempre più procedendo verso il doloroso medio, ma la situazione è molto meno paradossale di quella rappresentata nel Tristram Shandy, dove si crea un regresso all’infinito chiaramente unilaterale e votato a un unico esito: l’impossibilità della narrazione.
Qui la situazione è diversa: gli estremi sono narrabilissimi, e il peggio che possa accadere è che il libro rimanga monco del suo centro, che diventerebbe così una macchia cieca della vostra conoscenza del mio passato.

Ma forse questo non accadrà.

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