Digressione sull’inconscio
Mi rendo conto che finora non ho parlato molto del concetto di inconscio, ma noi deleuziani siamo fatti così: con l’inconscio abbiamo un rapporto strano, di odio-amore. Innanzitutto è chiaro che dicendo “l’inconscio” sembra che io presupponga la sua esistenza, ma non è affatto così. L'inconscio non è una cosa, una parte della mente, bensì un dispositivo. Dispositivo è la parola che usano Foucault e Deleuze, e i filosofi come Agamben che da quegli autori dipendono strettamente. Anche in Heidegger c'è il “Gestell”, che Vattimo traduce come “Im-pianto”, ma è una cosa un po' diversa perché si riferisce all'Essere nel suo insieme, al modo in cui esso Essere si dà, si dis-vela in epoche della sua storia (dell'Essere), l'ultima delle quali sembrerebbe essere quella della metafisica, che si estende grossomodo da Platone a Nietzsche.
L'inconscio è un dispositivo psichico ma anche fisico, per noi deleuziani. Sul piano metafisico, Deleuze è un filosofo monista, un filosofo del'Uno-tutto, come del resto lo ha ben dipinto Badiou nel suo Deleuze. Il clamore dell'Essere.
A guardar bene Deleuze si potrebbe anche considerare un filosofo panpsichista, ossia per lui tutto l’Essere è animato, e preso in un circuito di contrazione e distensione da cui derivano le diverse vibrazioni del mlteplic reale.
In ogni caso l'inconscio è per Deleuze un modo di produzione della realtà. Ho già detto che per Deleuze (e Guattari), in contrasto con quella che loro chiamano concezione idealista del desiderio, il desiderio è creazione e non mancanza, vuoto da riempire. Ora devo aggiungere che per Deleuze (e Guattari) l’inconscio è acefalo, ossia: a-soggettivo. L’inconscio, cioè, non è il sapere inaccessibile del soggetto che non sa di sapere, come per Freud e Lacan, bensì un campo trascendentale di produzione schizofrenica automatica.
(continua...)
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