E’ tutta, In ogni umano stato, ozio la vita, Se quell’oprar, quel procurar che a degno Obbietto non intende, o che all’intento Giunger mai non potria, ben si conviene Ozioso nomar. (Giacomo Leopardi)

giovedì 29 settembre 2011

Adieu Monsieur Novecento (Vogue32)



La musica del Novecento ha 86 anni e attualmente il suo nome è Pierre Boulez. È lui l'ultimo grande della Nuova Musica (etichetta che designa la musica d’avanguardia del secondo dopoguerra), uno dei più straordinari musicisti viventi e l'ultimo della sua generazione. La stessa di Stockhausen, Berio, Nono, Maderna, Ligeti. Il celebrato compositore ed eccelso direttore d'orchestra sta portando in tournée in Europa (in Italia, a Torino e a Milano, per il Festival MITO) il suo Pli selon Pli, un astratto ritratto musicale del poeta Mallarmé, costruito su alcuni sonetti del poeta francese.
Boulez porta benissimo i suoi anni ed è molto emozionante vederlo dirigere con una precisione ineguagliabile e un’energia tutta intellettuale (siamo agli antipodi della figura del direttore romantico). La sua musica  è un misto di invenzione sublime e regole formali ferree (all’università Boulez studiò matematica). Comunica emozioni per la sua ostentata assenza di emozioni.
Ascoltare oggi queste potenti e gelide composizioni per soprano e orchestra non può non far riflettere sulla grande musica del Novecento, di cui Boulez è ormai il glorioso superstite. La musica di Boulez (il cui “serialismo integrale” è uno sviluppo estremo della dodecafonia di Schoenberg) ha ovviamente i suoi detrattori. Basterebbe ricordare un articolo sardonico di Glenn Gould: “Boulez non sarà magari un grande compositore, ma è certamente un artista interessante” (L’ala del turbine intelligente). O il giudizio tranchant del grande musicista ungherese Ligeti, secondo cui la musica seriale è il frutto di un metodo dovuto a una nevrosi compulsiva. D’altra parte un evento come la collaborazione di Boulez con Frank Zappa, il geniale e dirompente musicista rock (ma l’etichetta “rock” non è mai stata meno sufficiente) per il disco The Perfect Stranger, proietta un fascio di luminosa simpatia umana sul compositore francese, da molti considerato né più ne meno che un cervellotico dittatore (per anni ha diretto – verrebbe da dire con pugno di ferro – l’IRCAM di Parigi, uno dei più importanti centri di ricerca acustica e musicale al mondo).
Tornando al concerto, l'ultimo verso di Pli selon pli gela il sangue nelle vene: “un poco profondo ruscello calunniato la morte”, con la parola “morte” urlata sottovoce (non so come altro dire) dal soprano canadese Barbara Hannigan (http://www.barbarahannigan.com/). Un gesto musicale difficilmente dimenticabile e che basterebbe a smentire l’idea di una musica anaffettiva (quelle che scarseggiano, per non dire che sono del tutto assenti, sono le emozioni positive…). Se Boulez, dirigendo quest'opera grandiosa e gelida voleva farci pensare all’imminente fine, sua e del Novecento musicale con lui, ci è riuscito perfettamente. Per fortuna la bellezza quasi aggressiva della Hannigan, personaggio sempre più di spicco della musica contemporanea (ha esordito recentemente anche come direttrice d'orchestra), fa da perfetto contraltare alle emozioni cupe del concerto.
Nel suo seducente e geometrico perfezionismo, Boulez avrà certamente calcolato anche questo.

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