E’ tutta, In ogni umano stato, ozio la vita, Se quell’oprar, quel procurar che a degno Obbietto non intende, o che all’intento Giunger mai non potria, ben si conviene Ozioso nomar. (Giacomo Leopardi)

venerdì 17 dicembre 2010

Johan Galtung. Pace con mezzi pacifici (Senza violenza2)

Il norvegese Johan Galtung (1930), fondatore nel 1959 dell’International Peace Research Institut e della rete Transcend per la risoluzione dei conflitti, di formazione è sociologo e matematico. Le sue opere ammontano a qualcosa come 95 libri e oltre 1000 articoli.
Numerose sono le situazioni nelle quali le istituzioni internazionali si sono rivolte a lui per consulenze tecniche in fatto di mediazioni di conflitti.

Il padre e il nonno di del professor Galtung erano medici, sua madre un’infermiera: «La mia intera famiglia era dedita alla cura della malattia. Ciò mi ha educato alla credenza ottimistica che ogni problema può essere risolto» (Intervista1).
Anziché diventare un dottore che cura le malattie del corpo, Galtung divenne uno studioso delle malattie che affliggono la razza umana nel suo complesso: la guerra e la violenza. Galtung ha infatti inventato un nuovo settore di studi delle scienze sociali la peace research, una disciplina che si sta affermando nelle Università di tutto il mondo e da ultimo, lentamente, anche in Italia.
Di primo acchito può forse sfuggire l’innovazione apportata da Galtung alle scienze umane, ma è sufficiente osservare che prima di Galtung non esistevano centri di studi sulla pace. Certamente esistevano studiosi di problemi militari. Ma definire la pace come assenza di guerra è secondo Galtung come definire la salute come assenza di malattia: significa perdere interamente di vista  che cos’è che rende salute la salute, e come essa funzioni.
Il punto di forza del pensiero di Galtung è quello di avere fatto della pace un concetto ben determinato, anzi un intero vastissimo campo di ricerche. Sua è la distinzione del concetto di pace in pace negativa (assenza di guerre), positiva (tensione verso una società più giusta), nonviolenta (superamento delle ingiustizie con mezzi nonviolenti).
Per chi pensasse al professor Galtung come a un compassato accademico, ecco un episodio che mostra come anche i teorici sappiano essere coerenti con le loro idee a prezzo di rischi personali. Nel 1968 durante una conferenza nella Germania dell’est iniziò a criticare l’intervento militare del Patto di Varsavia a Praga, nella primavera dello stesso anno : venne subito afferrato braccia e gambe da due robusti uomini vestiti di nero e trasportato via di peso. Siccome il microfono era acceso continuò a parlare per un certo tempo, poi fu infilato su un’auto e portato all’aereoporto.
L’indagine di Galtung sulla pace e la nonviolenza parte da Gandhi e passa per il buddismo, che gli appare come l’unica filosofia in grado di spiegare pienamente l’essenza della pace. Ma il sincretismo proprio del suo stile di pensiero lo porta a ricercare idee interessanti e feconde in ogni orizzonte culturale: «In quanto norvegese, sono molto più pragmatico di un francese o dei tedeschi. Mi sembra naturale prendere una cosa qui, un’altra là, e mescolarle. Conoscendo un po’ le religioni, ho trovato qualche idea meravigliosa e affascinante che posso usare come riferimento nella mia vita. [...] Non credo nelle barriere. È molto più eccitante non curarsi delle barriere e scoprire vaste aree di saggezza...» (Intervista2).
L’attività di Galtung non è puramente accademica, perché il suo ruolo di consulente in situazioni di conflitto ha spesso portato a risultati concreti. Per esempio, in un dissidio relativo alla linea di frontiera fra Perù ed Ecuador. La proposta di Galtung constava di quattro parole (pare che le soluzioni ai conflitti debbano poter essere formulate così): area binazionale, parco naturale. Proposta accettata.
Il segreto dell’arte della mediazione nonviolenta? «In primo luogo identificare i partecipanti, fare una ricognizione dei loro obiettivi,  e trovare le loro contraddizioni ; in secondo luogo distinguere fra obiettivi legittimi e illegittimi ; infine costruire ponti fra rispettive posizioni legittime» (intervista2).
È il concetto di costruzione di ponti a dover guidare la mediazione. Normalmente si parla di compromessi, ma la parola, anche in italiano, ha una connotazione negativa, implica l’idea che nella migliore delle ipotesi ci sia una perdita del 50% per ciascuna delle parti. Ma la mediazione può far emergere nuove possibilità (come l’area binazionale fra Perù ed Ecuador trasformata in parco naturale), ci si può accorgere che la situazione non è necessariamente un “gioco a somma zero” dove quello che guadagna l’uno lo perde l’altro.
Nelle numerose esperienze concrete di mediazione fatte da Galtung, alcune si sono concluse bene, altre no. Ma nella prospettiva del mediatore di conflitti, un fallimento non è un punto conclusivo.
La regola da seguire? Dialogare, dialogare e ancora dialogare.


Interviste consultate (in inglese):
1.   Father of Peace Studies: http://www.sgi.org/english/Features/quarterly/0201/portraits.htm
2.   Johan Galtung, expert in peace negotiations: “The world’s main terrorist is in Washington”: http://www.barcelona2004.org/common/imprimir.cfm ?id=F042731
3.   Johan Galtung: “With a little creativity, there is no conflict that cannot be resolved”: http://www.coe.intr/T/E/Com/Files/interviews/20021019_Interview_galtung.asp


Testi consultati:
Johan Galtung, Pace con mezzi pacifici, Esperia, Milano, 2000
Id., Il buddhismo come via
Id., Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1987


(Pubblicato in Senza violenza. Idee e storie dei movimenti per la pace, a cura di Edoardo Acotto, “Giorni di storia” n. 38, L’Unità, 2004)

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