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martedì 7 dicembre 2010

WikiLeaks tra bene e male.

Sapere è potere, diceva il filosofo Francis Bacon pensando alla tecnica: rovesciando il suo slogan e applicandolo alla politica si potrebbe affermare che potere è sapere, e, soprattutto non far sapere. Fino a oggi, almeno, ossia prima di WikiLeaks.
Terrorismo mediatico, secondo alcuni; secondo altri, invece, una preziosa possibilità per l’opinione pubblica mondiale di conoscere compromettenti documenti segreti.
Di WikiLeaks si parlava molto da anni (Guantanamo fu conosciuta anche grazie a WikiLeaks), ma secondo qualche commento giornalistico a caldo, il 28 novembre 2010 verrà ricordato come un punto di non-ritorno: il giorno in cui i media tradizionali hanno dovuto inseguire le rivelazioni di WikiLeaks relative a governi di tutto il mondo.
WikiLeaks mette le informazioni a disposizione di chiunque sia dotato di un computer e di una connessione internet. Si tratta di informazioni da interpretare, contestualizzare, analizzare e comprendere: ma è di forte impatto psicologico, ancor prima che mediatico, sapere di poter venire a conoscenza di giudizi denigratori rilasciati dalle diplomazie mondiali a proposito di questo o quel personaggio politico.

PERCHE’ E’ UNA RIVOLUZIONE
 …

PERCHE’ E’ UN BENE
Si può sostenere con buone ragioni che l’azione di WikiLeaks sia buona e preziosa (nessuno l’aveva fatto prima su questa scala) perché, tra l’altro, rende trasparente ciò che normalmente è opaco: le azioni governative e aziendali destinante a produrre un determinato effetto.
Gandhi ha insegnato a rovesciare Machiavelli: nessun fine buono può essere ottenuto con mezzi non buoni. Ora, tradizionalmente gli stati nazionali e le istituzioni con qualche parvenza di fondamento democratico, e i loro sostenitori attivi o passivi, difendono il loro operato con la massima “il fine giustifica i mezzi”. Il famoso esperimento mentale del carrello … mostra che in realtà le nostre intuizioni etiche non vanno in quella direzione.
Il potere ha spesso sacrificato risorse e vite per (presuntivamente) salvarne altre, e nel consenso verso i sistemi di potere vigenti è incorporata anche l’accettazione del fine che giustifica i mezzi.
Possiamo ora iniziare a pensare che se l’opinione pubblica sapesse che per salvare alcune persone bisogna sacrificarne altre, non tutti sarebbero così pronti a sacrificare vite altrui.

PROBLEMI.
Ma l’opinione pubblica mondiale è davvero sensibile alla verità? Verrebbe da dire di no, perché i cittadini spesso sembrano non voler sapere, o voler sapere il meno possibile. In questo senso, rivelazioni “scandalose” sul potere ce ne sono sempre state, senza che per questo venisse mai meno la legittimazione democratica del potere statale.

WikiLeaks, forse, viene troppo presto, o forse il tempo della trasparenza del potere non verrà mai, perché è strutturalmente impossibile.

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