E’ tutta, In ogni umano stato, ozio la vita, Se quell’oprar, quel procurar che a degno Obbietto non intende, o che all’intento Giunger mai non potria, ben si conviene Ozioso nomar. (Giacomo Leopardi)

martedì 8 marzo 2011

Dispacci di memoria involontaria, 4. Letture interrotte

Durante il primo anno di liceo classico, quindi il terzo anno di superiori, ebbi la mia prima fortissima crisi di ipocondria, di cui non parlerò perché non mi sento in grado di farlo (non mi sono nemmeno mai trovato nella condizione di parlarne allo psicanalista, quando andavo dallo psicanalista).
Più o meno all'uscita da questa crisi, iniziai a non terminare i libri che iniziavo a leggere.
Non ricordo come fu, che cosa avvenne, quali pensieri formulai, se ne formulai, ma so che a un certo punto mi cadde il vincolo creduto di dover leggere un libro fino in fondo.
Non che abbandonassi i libri che avevo iniziato: soltanto ne iniziavo degli altri, ripromettendomi di continuare anche i precedenti, senza vedere l'impossibilità materiale di terminare tutte le letture iniziate.

Ricordo che un giorno in classe, prima della ginnastica (avevo indosso la felpa che usavo per l'ora di ginnastica) mentre il mio professore preferito (greco e latino, marxista, comunista del PCI, ora in SEL, presente su Facebook ma mai interloquente) stava divagando su non so cosa, pensai che fosse il momento giusto per dichiarare alla classe intera il mio problema con la lettura.
Cogliendo un attimo di pausa nelle sue parole mi agganciai come se vi fosse un qualche appiglio e dissi in maniera udibile da tutta la classe che io leggevo numerosi libri contemporaneamente senza mai finirli.
Ricordo lo sguardo obliquo del professore che subito scivolò altrove per cancellare l'ipotesi di una mia successiva presa di parola. E nessuno tra i miei compagni disse niente: ero stato così poco rilevante che nessuno aveva nemmeno ascoltato quello che avevo detto.

Più tardi, all'università, scoprii il concetto di Semiosi Infinita, di Peirce, e capii che era esattamente quella l'immagine del pensiero che più si addiceva a me: un segno ha un oggetto e un interpretante che può a sua volta farsi oggetto di un altro segno e un altro interpretante e così via all'infinito. E Peirce aggiunge che talvolta si torna a un segno precedente, e che tutto il processo è interrotto soltanto dalla morte.

Ancora adesso faccio così, e raramente termino un libro iniziato.
Non ne soffro, perché rimuovo il pensiero del semplice fatto: io non termino mai quasi nessun libro.

Questa cosa la so da quando ho quindici anni circa, e ci penso spesso, ma è la prima volta che riesco a scriverla - in età adulta.

Kairòs

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