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lunedì 4 aprile 2011

Frammenti del romanzo, 1


Per scrivere, bisognerebbe saper scrivere. Lui scrive senza uno stile decentemente costruito, e soprattutto senza una cultura sufficiente a soddisfare il suo  desiderio di cultura. Il resoconto che scrive è un’attività senza pregio, come dormire. È una materia della specie più fetente, come lo sporco, il fango o i capelli. È un flusso merdoso riterritorializzante (e mentre scrive beve come Deleuze). Questo flusso non lo abolirà cancellando i files in cui scrive, non lo farà perché gli tiene compagnia nel suo lutto. Forse ne ha bisogno, visto che lo attrae senza che nemmeno se ne accorga. Sta per andare a dormire e si mette a scrivere. Così gode almeno un po’, si illude di avere la potenza di scrivere un libro, lui. Scrivere un libro: lo vogliono molti piccoloborghesi, persino suo padre l’aveva voluto scrivere da giovane, Agostino lo sapeva per certo, suo padre gliel’aveva detto.
Insomma non riesce a smettere di scrivere, e gli viene da pensare che se continua così il libro si scriverà da sé, senza fatica mortale.
Lui vuole raccontare. Però, se non lo facesse le immagini non lo ossessionerebbero affatto: ha già rimosso tutto, come se suo padre fosse morto da tempo, da sempre. Come se suo padre addirittura non fosse mai stato altro che una figura di sogno. Ora è passato tanto tempo che non lo conta più. Ha lasciato che le cose si muovessero liberamente nella sua psiche, senza forzarle. E sta anche bene, o così gli pare, o almeno non sta molto male. Adesso soffre, sta bene e contemporaneamente si fa schifo.
Lui non vuole scrivere, questo è chiaro. Che gliene sbatte di scrivere ora che suo padre è morto? Non ha niente da dire e niente da fare. Deve solo starsene lì, vivo davanti a un padre morto, un cadavere immobile privo di sensibilità, a guardarlo si direbbe che da un momento all’altro debba rianimarsi, risvegliarsi, alzarsi dal letto di morte, tanto sembra assurdo che lui stia lì fermo per sempre, che abbia perduto quella semplice proprietà che prima lo rendeva diverso, vivo. Un insieme di proprietà, a pensarci bene, è ciò che lo rendeva vivo, non si tratta di una cosa sola, eppure sembra proprio che la differenza tra il vivente e il morto sia una questione puntuale, che basterebbe un atomo di apparenza per riportare in vita l’uomo non più vivo. Suo padre.

Un ente è pura molteplicità senz’Uno, molteplicità di molteplicità, generate dall’insieme vuoto. Due molteplicità possono differire per un solo elemento ed essere identiche per tutto il resto. Basta quell’elemento per renderle integralmente differenti. Un uomo morto è del tutto identico all’uomo vivo, tranne che per quella cosa in meno che era la vita e gli è stata sottratta. A suo padre quel punto di vita è stato sottratto.


***

Agostino non vuole solo smettere di bere e diventare un igienista. Si sente debole e stupido, come si è sempre sentito anche prima di iniziare a bere tanto (almeno un litro di birra al giorno). Poi in Collegio ha preso a bere e tutto è diventato migliore. Tutti i piccoloborghesi bevono.
Certo, sarebbe meglio che anziché bere Agostino continuasse le sue ricerche sullo spaziotempo in Deleuze. Limitando il campo a Deleuze, si avanza di dover studiare tutto quello che ci sarebbe da studiare sul tempo e lo spazio.
Lui è dottore in filosofia! È incredibile, com’è stato possibile? Sembra irreale, la sua ignoranza è grandissima, catastrofica. Eppure i professori universitari gli hanno permesso di arrivare al titolo, probabilmente pensano che sia un allievo abbastanza bravo. Probabilmente pensano che sia un allievo mediocre.
Anche Alain Badiou deve pensare che lui sia un bell’ignorante; ma sarebbe come dire che un genio pensa che lui non sia un genio: che c’è di strano...
Pur essendosi laureato con 110 e lode in filosofia, Agostino si sente ignorante, privo di una cultura generale che possa inquadrare i suoi pensieri e le sue ricerche. Agostino vede molti coetanei nelle sue condizioni. Perché allora è diventato Dottore? Dev’essere l’università di massa, che pure è certamente una conquista democratica. Seppure ignoranti, gli sembra che i ragazzi d’oggi siano più saggi dei loro genitori, che erano sicuramente dei pazzi o degli imbecilli. E che possono continuare a esserlo, se non sono morti come suo padre.
Del resto non bisogna lasciare la parola ai fascistoni, come avrebbe detto suo padre, i quali potrebbero solo deprecare che un ignorante possa diventare Dottore ecc. ecc. No, lui ha fatto una sua personale ricerca, che tra l’altro è stata un’alternativa al farsi curare da uno psicologo o psicanalista, mentre ne avrebbe avuto bisogno come pure tutti i suoi amici, che difatti se hanno i soldi si curano quasi tutti dallo psicanalista.
Ha un amico borderline, due amiche isteriche, una depressa, vari amici ingurgitano psicofarmaci antidepressivi e lui stesso è assai nevrotico: tutti insieme, pensa Agostino, fanno una bella banda di storpi interiori.

Inizia a essere stanco di scrivere. Tutto questo tempo sprecato, e per produrre una merce che non vale niente. Potrebbe studiare il soggetto della sua tesi: “La fine del tempo e l’inizio dello spazio nella filosofia di Gilles Deleuze”: rischia di perdere l’anno dopo che è  venuto in Italia a seppellire papà. Ma chi se ne frega del tempo e dello spazio nel pensiero di quel pazzo di Deleuze?
È attratto dallo scrivere, ma vorrebbe risparmiare tempo. Vorrebbe risparmiare tempo e quindi fare altro, non scrivere (vorrebbe studiare la temporalità) però non riesce a smettere di scrivere.
Forse l’illusione che lo fa continuare a scrivere lo danneggia. Perderà tempo inutilmente... Svuoterà i suoi forzieri di tempo conservato.
Ha iniziato a raccontare pensando a quale sarebbe stata la reazione di suo padre. Edoardo sarebbe contento se sapesse che Agostino ha scritto un romanzo, ci scherzerebbe su, direbbe poco, perché di appropriato sapeva dire poco.
Scherzava indifeso di fronte alla propria idiozia, si sentiva indifeso, non c’è nulla di peggio. Se lui si fosse sentito così povero e indifeso come suo padre doveva sentirsi, si sarebbe comportato esattamente come lui. Sentirsi indifesi e inetti è umiliante: suo padre si sentiva di certo continuamente umiliato.
Talvolta lui l’aveva deriso, lo umiliava non per cattiveria, ma perché suo padre gli faceva perdere le staffe, lo attaccava nel suo intimo essere, e più si ammalava e più cercava di distruggere moralmente suo figlio. Cercava di scuotere la forza minima di convinzione con cui talvolta Agostino poteva affermare tesi come la non necessità dello Stato e il comunismo come sola politica razionale per gli individui liberi (non era ancora diventato anarchico).
Suo padre lo aveva guardato un paio di volte con estrema aggressività dicendogli di smetterla e perché mai doveva ostinarsi a dire cose tanto assurde. Erano effettivamente cose assurde, specie dette in quel modo, a tavola e guardando la televisione; ma lui non gli lasciava scelta: o dirgliele sinceramente o tacere pensando alla sua mediocrità.
Forse suo padre ne aveva abbastanza di percepire che lui vedeva la sua mediocrità. Talvolta non lo guardava neppure negli occhi, per paura che si accorgesse del suo sentirsi superiore. Se ne accorgeva di rado, e suo padre era così depresso che non gliene fregava più niente nemmeno del disprezzo di suo figlio. Suo padre era depresso, ma in questo caso aveva ragione lui, non accettava la posizione della questione edipica in quei termini, se ne fregava e gli voleva bene comunque, pensava che fosse un po’ squinternato, troppo aggressivo rispetto alle sue reali possibilità.
Non gli piaceva parlare con Agostino, perché diceva sempre le stesse ovvietà politiche. Lo annoiava. Agostino diceva cose che non erano scientificamente rilevanti e che andavano contro la coscienza di suo padre: la sua coscienza filo-capitalista e liberale.
No, la sua normale coscienza naturale. Era Agostino ad essere ossessionato dalla politica come via di salvezza dalla pochezza sociale propria e di suo padre. Era Agostino che aveva una coscienza distorta, ma non lo capiva, e suo padre non riusciva a farglielo capire.

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