Con la vicenda recente di Scattone, il giustizialismo non c'entra molto, se è giustizialismo l'atteggiamento di chi chiede violentemente che giustizia sia fatta. Qui, giustizia è stata fatta, anche se all'italiano medio 5 anni per omicidio colposo non sembrano una pena sufficiente. Non spetta naturalmente all'italiano medio decidere l'adeguatezza di una pena, in generale e tantomeno nel caso particolare. Certo, la sopraggiunta mancanza di fiducia popolare nei "sistemi esperti" come la magistratura (ma anche il sistema medico, quello assistenziale) non aiuta l'opinione pubblica, o meglio ciò che ne rimane camuffato da folla sbraitante (e mi includo nella folla) per il panem et circenses, ad avere un rapporto sereno con un simile fattoide. Dico fattoide perché non era accaduto nessun fatto fino all'abbandono della cattedra da parte di Scattone, evidentemente per l'ostilità mediatica (per non dire linciaggio), ma forse anche per quella ambientale di cui non sappiamo (mi immagino il preside e i colleghi della scuola nella quale sarebbe dovuto andare ad insegnare).
Il punto su cui mi pare si dovrebbe riflettere non è emerso. Se Scattone non è stato condannato all'interdizione dai pubblici uffici ha pieno diritto di concorrere a un qualsiasi posto pubblico, e in questo senso ha torto chi vuole negargli questo diritto. Tuttavia mi pare che ci sia un sintomo grosso come una casa nel trattare L'INSEGNAMENTO NELLA SCUOLA DELL'OBBLIGO COME UN IMPIEGO PUBBLICO QUALSIASI. Non parlo di difficoltà, conoscenze e competenze, ma di responsabilità. A torto o a ragione siamo abituati ad attribuire all'insegnante una responsabilità diretta che non attribuiamo a un postino oppure a un funzionario ministeriale. Con responsabilità diretta intendo dire che vi sono molti gradi di responsabilità in chiunque viva e lavori in società, ma quella dell'insegnante sembra essere maggiore di altre, paragonabile per certi versi a quella del medico o del giudice, e sembra poter avere degli effetti diretti sulle giovani persone affidate al professore. Ora, noi siamo abituati ad attribuire agli insegnanti questa responsabilità, ma siamo anche abituati ad attribuire loro una sorta di aura morale che non è prevista nel contratto. La domanda è: anche per un insegnante vale la battuta di Max Scheler, professore universitario di etica sorpreso dal suo rettore all'uscita da un bordello: "i filosofi sono come i cartelli stradali, indicano la strada giusta ma non la prendono essi stessi"? Un insegnante deve essere campione e simbolo di moralità a prescindere dalla correttezza con cui svolge il suo lavoro? Sembrerebbe di poter rispondere di no. Ma si dirà che il caso di Scattone è diverso: qui si tratta di un omicida che ha sparato per gioco a una ragazza, uccidendola. La condanna però è per omicidio colposo. Sosterremmo che chi ha ucciso qualcuno in automobile debba essere privato della possibilità di insegnare a scuola? I casi sono molto diversi, certamente, ma intravvedo una china pericolosa imboccata la quale si potrebbe voler sostenere che anche un insegnante condannato per furto non sarebbe degno di insegnare (quanto meno certe materie, come diritto ed educazione civica?). Avere Scattone per collega mi avrebbe creato un profondo disagio. Mi darebbe forse anche disagio avere per collega qualcuno che avesse ucciso in automobile o che fosse stato condannato per qualche violenza (un padre violento può insegnare matematica agli adolescenti?). Le potenziali situazioni di disagio sono tante, bisogna pensarle caso per caso ma sentiamo il bisogno di un criterio generale, di una legge dello Stato o di una direttiva del ministero competente che ci tolga dall'imbarazzo. Forse basterebbe separare l'interdizione dai pubblici uffici e quella dall'insegnamento.
La vicenda Scattone ci fa puntare i riflettori dell'attenzione su due sfere molto critiche della nostra società, che fino a oggi non si erano mai intersecate (tranne sporadiche proteste contro qualche reduce degli anni di piombo imvitato occasionalmente a parlare in qualche scuola): il ruolo della pena e il ruolo morale della scuola e degli insegnanti.
Concordo con chi dice che la nostra società ha dimostrato anche in questo caso di essere in profonda crisi; aggiungo che è in crisi perché è diventata una società incapace di pensare.
Il punto su cui mi pare si dovrebbe riflettere non è emerso. Se Scattone non è stato condannato all'interdizione dai pubblici uffici ha pieno diritto di concorrere a un qualsiasi posto pubblico, e in questo senso ha torto chi vuole negargli questo diritto. Tuttavia mi pare che ci sia un sintomo grosso come una casa nel trattare L'INSEGNAMENTO NELLA SCUOLA DELL'OBBLIGO COME UN IMPIEGO PUBBLICO QUALSIASI. Non parlo di difficoltà, conoscenze e competenze, ma di responsabilità. A torto o a ragione siamo abituati ad attribuire all'insegnante una responsabilità diretta che non attribuiamo a un postino oppure a un funzionario ministeriale. Con responsabilità diretta intendo dire che vi sono molti gradi di responsabilità in chiunque viva e lavori in società, ma quella dell'insegnante sembra essere maggiore di altre, paragonabile per certi versi a quella del medico o del giudice, e sembra poter avere degli effetti diretti sulle giovani persone affidate al professore. Ora, noi siamo abituati ad attribuire agli insegnanti questa responsabilità, ma siamo anche abituati ad attribuire loro una sorta di aura morale che non è prevista nel contratto. La domanda è: anche per un insegnante vale la battuta di Max Scheler, professore universitario di etica sorpreso dal suo rettore all'uscita da un bordello: "i filosofi sono come i cartelli stradali, indicano la strada giusta ma non la prendono essi stessi"? Un insegnante deve essere campione e simbolo di moralità a prescindere dalla correttezza con cui svolge il suo lavoro? Sembrerebbe di poter rispondere di no. Ma si dirà che il caso di Scattone è diverso: qui si tratta di un omicida che ha sparato per gioco a una ragazza, uccidendola. La condanna però è per omicidio colposo. Sosterremmo che chi ha ucciso qualcuno in automobile debba essere privato della possibilità di insegnare a scuola? I casi sono molto diversi, certamente, ma intravvedo una china pericolosa imboccata la quale si potrebbe voler sostenere che anche un insegnante condannato per furto non sarebbe degno di insegnare (quanto meno certe materie, come diritto ed educazione civica?). Avere Scattone per collega mi avrebbe creato un profondo disagio. Mi darebbe forse anche disagio avere per collega qualcuno che avesse ucciso in automobile o che fosse stato condannato per qualche violenza (un padre violento può insegnare matematica agli adolescenti?). Le potenziali situazioni di disagio sono tante, bisogna pensarle caso per caso ma sentiamo il bisogno di un criterio generale, di una legge dello Stato o di una direttiva del ministero competente che ci tolga dall'imbarazzo. Forse basterebbe separare l'interdizione dai pubblici uffici e quella dall'insegnamento.
La vicenda Scattone ci fa puntare i riflettori dell'attenzione su due sfere molto critiche della nostra società, che fino a oggi non si erano mai intersecate (tranne sporadiche proteste contro qualche reduce degli anni di piombo imvitato occasionalmente a parlare in qualche scuola): il ruolo della pena e il ruolo morale della scuola e degli insegnanti.
Concordo con chi dice che la nostra società ha dimostrato anche in questo caso di essere in profonda crisi; aggiungo che è in crisi perché è diventata una società incapace di pensare.
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