E’ tutta, In ogni umano stato, ozio la vita, Se quell’oprar, quel procurar che a degno Obbietto non intende, o che all’intento Giunger mai non potria, ben si conviene Ozioso nomar. (Giacomo Leopardi)

sabato 16 settembre 2017

Lacan ha rotto i coglioni (da Fools, Frauds and Firebrands di Roger Scruton)

Lacan è stato descritto da Raymond Tallis come "lo strizzacervelli venuto dall'inferno", parole che caratterizzano in modo adeguato la pratica di uno psicoanalista che poteva vedere dieci clienti in un'ora, a volte assistito dal suo barbiere, sarto o pedicurista e la cui idea di cura era quella di insegnare ai pazienti a parlare, pensare e sentire nello stesso linguaggio paranoico del proprio medico. Ma forse non dovremmo essere troppo duri con Lacan da questo punto di vista. Le persone diventano famose come psicoanalisti non per i loro successi terapeutici (forse non ce ne sono), ma per le loro idee. E la fama di un'idea nasce dalla sua influenza, non dalla sua verità. Lo stesso valeva per Freud, Jung e Adler; così è stato per Klein, Binswanger, Lacan e molti altri.
L'inconscio, ha scritto Lacan, è strutturato come un linguaggio. Ed egli ha cominciato a interpretare questo linguaggio prendendo a prestito termini della linguistica saussuriana, insieme all'idea dell'Altro, come l'aveva trovata in Kojève. Ha anche disseminato i suoi scritti e le sue lezioni di gergo matematico, tratto da teorie che non si curava capire, ma cui si riferiva aleatoriamente come "matemi",  per analogia con i fonemi e i morfemi in cui i linguisti dividono le parti funzionali linguaggio. (Con una mossa simile, Lévi-Strauss più o meno nello stesso tempo introdusse il 'mitema' e Derrida il 'filosofema', un uso che era stato anticipato da Schelling).
C'è, suggerisce Lacan, un grande Altro (A maiuscola per "Autre"), che è la sfida presentata al sé dal non-sé. Questo grande Altro insegue il mondo percepito con il pensiero di un potere dominante e di controllo - un potere che allo stesso tempo cerchiamo e fuggiamo. C'è anche il piccolo altro (a minuscola per "autre") che non è veramente distinto dal sé, ma è la cosa vista nello specchio durante quella fase di sviluppo che Lacan chiama lo "stadio dello specchio ", quando il bambino apparentemente si è riconosciuto nello specchio e dice 'ah-ha!'. Questo è il punto di riconoscimento, quando l'infante incontra prima l'oggetto = 'a', che in qualche modo -  che ritengo impossibile decifrare - indica sia il desiderio che la sua assenza. (Si noti, però - anche se Lacan caratteristicamente non lo fa - che i bambini ciechi diventano abili nella pratica di distinguere sé dagli altri alla stessa età dei bambini vedenti).
La fase dello specchio fornisce all'infanzia un'idea illusoria (e breve) del Sé, come un onnipotente altro nel mondo degli altri. Ma questo sé è presto schiacciato dal grande Altro, un personaggio basato sullo scenario del seno buono/cattivo, poliziotto buono/poliziotto cattivo inventato da Melanie Klein. Nel corso dell'esposizione delle tragiche conseguenze di questo incontro, Lacan si presenta con intuizioni sorprendenti, spesso ripetute senza spiegazioni dai suoi discepoli, come se avessero cambiato il corso della storia intellettuale. Una in particolare viene continuamente ripetuta: «non c'è relazione sessuale», un'osservazione interessante proveniente da un seduttore seriale da cui nessuna donna, nemmeno le sue analizzanti, era sicura.

(traduzione in fieri, continua...)

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